di Guillermo Del Toro
2017
In un mondo di apparenza
e superficialità, il film di Guillermo Del Toro ci ricorda che, per
fortuna, il vero amore – quello fatto di empatia, sacrificio e
sincerità – esiste ancora.
La forma dell'acqua
si va ad aggiungere alla mia lista di film preferiti sull'amore,
accanto alle storie di Eternal
Sunshine of the Spotless Mind
(2004, di Michel Gondry) e I
segreti di Brokeback Mountain
(2006, Ang Lee).
Non
mi era mai capitato di “tifare” per la vittoria di una pellicola
agli Academy Awards, ma questa volta sono stata felice di sapere che
il film ha vinto quattro dei tredici Oscar per cui era nominato:
miglior film, miglior regista, migliore colonna sonora originale e
miglior sceneggiatura.
Sin
dalla prima scena – che in pochi secondi ci guida dalle profondità
marine fino a un appartamento in città – lo spettatore è
catturato dalla magia onirica della storia (e capisce subito che non
sarà un film convenzionale!).
In
un'atmosfera ovattata che evoca Il
favoloso mondo di Amélie
(2001, Jean-Pierre Jeunet), conosciamo Elisa Esposito, una donna muta
(e qui mi permetto di fare un plauso al regista che ha scelto
un'attrice, Sally Hawkins, di straordinaria bravura che non rientra
nei canoni della giovane bellezza hollywoodiana, ma non per questo
meno affascinante) che vive in solitudine nel suo appartamento a
Baltimora.
Siamo
nel 1962, nel pieno della Guerra fredda, e nell'aria si respira
l'astio degli americani per i russi nella corsa alle conquiste
spaziali. Lo sa bene Elisa, che lavora di notte come inserviente in
una grande struttura governativa in cui scienziati e militari
eseguono esperimenti e ricerche per la potenza americana.
In
una sequenza di rituali che ogni giorno si ripetono allo stesso modo,
entriamo nella vita di Elisa seguendola dalla notte, quando si
sveglia e si prepara per recarsi al lavoro, al giorno, momento in cui
rincasa e torna a dormire.
La
monotonia della donna è spezzata dagli unici amici che ha: Zelda,
una loquace collega di lavoro, e Giles, il suo vicino di casa. Con
questi due personaggi (interpretati rispettivamente da Octavia
Spencer e Richard Jenkins ed entrambi candidati all'Oscar come
miglior attrice e attore non protagonisti) il regista evidenzia due
temi di attualità e molto sentiti oggi come nell'America degli anni
Sessanta in cui è ambientata la storia: la discriminazione etnica e
l'omosessualità.
Zelda,
infatti, è una esuberante donna afroamericana in eterna lotta con il
marito fannullone, mentre Giles è un pittore gay con il cuore a
pezzi. Entrambi sono ritenuti “inferiori” e “diversi”dal
resto della società e, a mio avviso, c'è un personaggio che seppur
secondario – praticamente una comparsa – incarna perfettamente il
clima xenofobo e omofobo dell'epoca: si tratta del ragazzo che
gestisce una tavola calda e di cui Giles è segretamente innamorato.
In un'unica scena Guillermo Del Toro dà vita alle peggiori paure di
un americano bianco bigotto: Giles si dichiara al ragazzo
accarezzandogli la mano, mentre nel locale per soli bianchi (siamo
ancora nell'epoca della segregazione razziale) entra una coppia nera.
Il terrore sul volto del ragazzo è impagabile.
Tuttavia,
anche la stessa Elisa è ritenuta “diversa”: una donna non
completa a causa del suo mutismo causato dalla recisione delle corde
vocali che ha subìto da neonata, prima di essere abbandonata.
In
forte contrapposizione a questi personaggi spicca l'antagonista, il
crudele colonnello Richard Strickland, l'incarnazione dell'americano
vincente: un lavoro di successo nell'esercito, un carattere
competitivo, una bella casa in periferia, in cui ogni giorno lo
attende la perfetta mogliettina con due adorabili bambini.
Suo
malgrado, Elisa si troverà a fare i conti con Strickland, chiamato
per un'operazione top-secret presso la società governativa in cui la
donna lavora. Elisa scopre che in uno dei laboratori è segregata una
strana creatura anfibia antropomorfa, ritrovata nell'Amazzonia, dove
era venerata come una divinità. La creatura è vittima di torture e
umiliazioni da parte di Strickland, che vuole carpirne i poteri per
sfruttarli conto i comunisti.
La
creatura, che cerca di proteggersi dagli scienziati con la forza,
sarà avvicinata con garbo e comprensione da Elisa. La donna,
intrufolandosi nel laboratorio ogni giorno, inizia a intessere un
rapporto speciale con l'uomo-anfibio, insegnandogli il linguaggio dei
segni per comunicare.
La
vita di Elisa sembra volgere al meglio, poiché si scopre innamorata
della creatura: due esseri derisi e considerati inferiori per le loro
diversità, che si trovano e comprendono grazie al linguaggio
universale dell'amore.
La favola però è
destinata a interrompersi bruscamente quando Elisa scopre che
Strickland
vuole uccidere la creatura per vivisezionarla. La donna coinvolge
quindi Zelda e Giles in un piano dagli esiti incerti per salvare la
creatura.
Una
storia mozzafiato – in cui i destini dei personaggi si scontrano
nella lotta tra buoni e cattivi (come ci insegnano i film di Steven
Spielberg) e dal finale piacevolmente inaspettato – immersa in
un'atmosfera onirica in cui il filo conduttore è l'acqua, elemento
di vita e sopravvivenza.