Chloé Zhao
USA 2020
USA 2020
Il mio ritorno in sala
cinematografica dopo il lock down non poteva che essere inaugurato
nel migliore dei modi: Nomadland
racchiude tutto quello che mi piace in un film, a cominciare dalla
straordinaria interpretazione dell'attrice protagonista, Frances
McDormand, fino ai paesaggi solitari dell'America di oggi.
I
film sono la mia passione e andare al cinema a vederli è per me
un'esperienza totalizzante, un vero e proprio momento irrinunciabile
per godere appieno del lavoro di un regista. Quando poi, condividi
questo piccolo piacere della vita con la persona amata, andare al
cinema diventa quasi un rituale: le luci si abbassano, ci si augura
a vicenda una buona visione, magari sgranocchiando M&M, e si
conservano i biglietti dei film preferiti per usarli come segnalibri.
Il film non ha una trama
vera e propria: seguiamo semplicemente la protagonista, Fern (Frances
McDormand) per un anno della sua vita itinerante, che inizia nel
periodo delle festività natalizie con un lavoro stagionale presso la
sede centrale di Amazon. La donna, come preferisce lei stessa
definirsi, è una “senzacasa” (non una “senzatetto”, precisa)
che vive in un furgoncino convertito ad abitazione, spostandosi di
luogo in luogo, in base ai lavori stagionali che riesce a trovare in
giro per gli Stati Uniti.
Fern è da poco vedova e
proviene da una piccola comunità del Nevada, Empire, dove la gente è
rimasta senza lavoro per la crisi economica del 2008. Dicembre porta
con sé un picco di ordini on line, per cui Fern, come tante altre
persone disoccupate e senza una casa, trova impiego temporaneo alla
multinazionale americana, e alloggia nel suo furgone nelle piazzole
di sosta messe a disposizione dall'azienda per i suoi dipendenti che
non possono permettersi un'abitazione. Freddo, solitudine e scomodità
si percepiscono con maggiore eco immersi nel contesto asettico e
piegato alla produzione senza sosta del colosso delle vendite on
line. Non servono parole o dialoghi, di cui il film in generale è
scarno, per criticare il sistema di disuguaglianza in cui viviamo: a
parlare sono le immagine e la condizione dell'esistenza del popolo
di invisibili e silenziosi.
La donna, terminato il
contratto con Amazon, vaga in cerca di altri impieghi, e viene a
conoscenza del raduno di nomadi a La Paz County, nel deserto
dell'Arizona. Questo singolare insediamento in mezzo al nulla è
organizzato da Bob Wells (figura che esiste veramente nella realtà),
uno stravagante guru della vita minimalista e nomade.
Qui Fern, seppure
solitaria e indipendente, viene in contatto con gente simile a lei.
Conosce persone che abbracciano la vita nomade per scelta e chi,
nella maggior parte dei casi, per necessità.
A poco a poco si apre
anche con Swankie, un'anziana donna che le insegna i trucchi per
sopravvivere nella natura arida del deserto, senza comodità, e come
organizzarsi al meglio per prevenire ogni sorta di imprevisto.
Fern è forte e temprata
come i tanti cactus che la circondano nel deserto: sopravvive alle
condizioni più estreme e disperate, anche quando, terminato il
raduno, si rimette in viaggio alla ricerca di nuovi impieghi
temporanei.
In questo lungo anno di
spostamenti, dal Nebraska al Sud Dakota, Fern avrà anche modo di
tornare, seppur per pochissimo, a contatto con la vita “normale”
di chi ha un tetto sulla testa: prima in California, dalla sorella,
alla quale chiederà un prestito per riparare un guasto al van, e
successivamente dalla famiglia di Dave, un uomo nomade conosciuto
lavorando in una tavola calda e che ha deciso di fermarsi in pianta
stabile dal figlio. Fern, tuttavia, non si farà lusingare dalle
comodità offerte dai suoi cari e non abbandona il suo van.
Fern è irrequieta, a
tratti malinconica, eppure è tenace e propositiva di fronte a quello
che la vita le riserva.
Il ciclo si chiude,
inclemente, con il ritorno al lavoro stagionale da Amazon, pronta a
lucrare sulle richieste natalizie degli utenti di tutto il mondo.
Nomadland ha vinto
innumerevoli premi – un Leone D'Oro, due Golden Globe e tre Oscar –
ed è certamente un film che consiglio, seppure non sia per niente
di facile visione: introspettivo, silenzioso e meditativo, il film
richiede un approccio empatico che predisponga il nostro animo a
cogliere la bellezza di un fiore colto nel deserto.