di Jack London
1903
Sono sempre più convinta
che frequentare un gruppo di lettura sia estremamente stimolante.
È vero, comodini e
scaffali di casa sono già invasi da cataste di libri in attesa di
essere letti, ma una volta al mese è anche interessante uscire dai
propri schemi e preferenze di genere, per dedicarsi a quei piccoli ma
grandi tesori che la letteratura – soprattutto del passato – ci
ha regalato e che magari ancora non abbiamo scoperto.
E così, puoi scoprire
che un romanzo tanto noto, quanto personalmente ignorato, è
bellissimo e ti maledici un po' per non averlo letto prima.
Sto parlando de Il
richiamo della foresta di Jack London.
Il romanzo narra delle
vicende e della sorprendente trasformazione di Buck, giovane
esemplare di incrocio tra San Bernardo e Pastore Scozzese, che
assomiglia a un gigantesco lupo. Buck vive nell'assolata California,
nella fattoria del giudice Miller. Tra tutti i cani che vi abitano,
Buck è il preferito e si muove indisturbato in ogni angolo della
magione, scorrazzando libero, ma consapevole di avere un rifugio,
coccole e un pasto caldo che lo aspettano ogni giorno.
Siamo nel 1897 e impazza
la corsa all'oro nel Klondike, una remota e inospitale regione del
Canada Nord Occidentale in cui gente da ogni parte del mondo si
riversa per conquistarsi l'agognato metallo prezioso. Indispensabile
per ogni cercatore d'oro è avere una muta di cani da slitta, unico
mezzo all'epoca disponibile per percorrere le distese di ghiacciai.
Il giardiniere del
giudice Miller rapisce Buck e lo vende a un trafficante di cani che,
a sua volta, lo rivende a un temibile addestratore, ribattezzato
“l'uomo dal maglione rosso”. Buck è costretto a subire ogni tipo
di maltrattamento e violenza, ma la sua tempra gli permette di
resistere alle angherie e di mostrare tutta la sua forza.
Non solo il rapporto con
gli umani è terribile. Non vi è pace nemmeno tra il gruppo di cani
da slitta cui Buck entra a far parte durante l'addestramento: il più
forte sopravvive, il più debole muore. Il duro addestramento deve
preparare la muta a resistere alle condizioni di vita più estreme.
Buck riesce ad affermarsi
nel branco e a diventare il cane in testa alla slitta, un posto
riservato solo al più forte.
Dopo essere passato per
diversi padroni in cerca di oro, Buck passa a John Thornton,
anch'egli in cerca di fortuna ma, diversamente da tutti gli uomini
incontrati fino a ora, con un lato umano. Tra il cane e Thornton si
instaura da subito un legame fortissimo di lealtà e affetto, tanto
che Buck salverà la vita al padrone in diverse occasioni,
dimostrandosi fedele e pronto a sacrificarsi.
In viaggio verso una
miniera d'oro abbandonata, Buck sembra avere finalmente trovato il
giusto equilibrio: una vita all'aria aperta, a contatto con la
natura, ma al fianco di un padrone che lo ama e dal quale far sempre
ritorno a fine giornata.
In realtà, qualcosa si
muove in Buck: l'attuale condizione non è un punto di arrivo, ma uno
snodo verso un'ulteriore evoluzione. Buck, a contatto con la foresta
che ogni giorno esplora sempre più a fondo, inizia a sentire un
richiamo, dapprima lontano e indistinto, che si fa velocemente più
chiaro e nitido.
Il cane capisce che è
inevitabilmente attratto dagli spazi più reconditi e oscuri della
macchia verde, nella quale si spinge sempre più a fondo,
allontanandosi per giorni interi dall'accampamento di Thornton. Qui,
l'istinto primordiale di Buck si amplifica fino all'apice con
l'uccisione di un gigantesco alce.
Di ritorno
all'accampamento, Buck scopre che il padrone è stato brutalmente
ucciso dai nativi americani. Ecco il punto di rottura con qualsiasi
legame con l'uomo: accecato dalla sete di vendetta, Buck stanerà gli
assassini di Thornton e scaglierà contro di loro tutta la sua furia
omicida, fuggendo poi nella foresta.
Inizia così la leggenda
del temibile lupo che domina la vallata, imbattibile e libero.
Appena terminata la
lettura, ho provato dispiacere per il destino di Buck, privato
dell'amore di Thornton e di una vita in perfetto equilibrio, tra
natura e addomesticamento. Poi però, dopo averne ampiamente discusso
con il gruppo di lettura, ci ho ripensato: il finale è quello giusto
per il protagonista. L'istinto primordiale stimolato dalla foresta va
assecondato, poiché risiede nella natura stessa di Buck e non deve
essere represso.
Tolto dal suo contesto
nativo di agio e comodità dal giudice Miller e trovatosi nella
natura più selvaggia ed estrema, Buck si è abilmente – e non
senza difficoltà – adattato alle circostanze, dimostrando il suo
valore, consapevole che non si può tornare indietro e riavere la
vita di prima alla fattoria. E di questo, deve esserne consapevole,
seppure a malincuore, anche il lettore.