di Roberto Benigni
con Roberto Benigni, Nicoletta
Braschi, Giorgio Cantarini
Italia, 1997
Attenzione: contiene spoiler
«La vita è bella. Invito le
generazioni future a purificarla da ogni male, oppressione e violenza e a
goderla a pieno». È quanto riporta Lev Trockij – politico e rivoluzionario bolscevico
– nel Testamento politico del 27
febbraio 1940. E’ anche la frase che ha ispirato Roberto Benigni per dare il
titolo all’opera cinematografica che molti, critici e non, ritengono il suo
massimo capolavoro.
Il titolo originariamente pensato
dal regista e attore è “Buongiorno principessa” (la frase che Guido, il
protagonista, usa per salutare la sua amata Dora), ma Benigni decide di
cambiarlo all’ultimo, poco prima dell’uscita nelle sale cinematografiche. In
questa frase di Trockij vi è racchiusa l’essenza del film: il male, l’oppressione e la
violenza sono rappresentati dal nazismo e dal folle piano dello sterminio degli
ebrei, mentre la bellezza della vita è rappresentata dall’amore, quello che si prova
per la propria famiglia.
Nonostante il film tratti di un
tema così delicato e toccante come lo sterminio degli ebrei, la violenza non è
tangibile e visibile, ma è comunque intuibile e immaginabile. Gli orrori
perpetrati dal regime nazista sono trattati con garbo e leggerezza, ma non con
superficialità. Ciò che nel film è invece tangibile ed evidente è l’amore, che
pervade le due parti in cui esso è nettamente diviso.
La prima parte si svolge ad
Arezzo, nel 1938, anno in cui Mussolini introduce le leggi razziali in Italia. Guido
Orefice è un giovane italiano ebreo che sogna di aprire una libreria e, nel
frattempo, si guadagna da vivere lavorando come cameriere nell’hotel in cui
lavora anche suo zio Eliseo. Guido possiede una personalità spiccata e una comicità
innata, caratteristiche che gli consentono di essere benvoluto da tutti,
eccetto da Rodolfo, un arrogante burocrate fascista, che non vuole concedergli
i permessi per avviare l’attività di libraio. La vita di Guido è allietata dagli
incontri fortuiti e casuali con la dolce Dora, maestra della scuola locale, che
rapisce il suo cuore. Questi, inizialmente ignaro che lei sia fidanzata con
Rodolfo, comincia un corteggiamento serrato, dimostrandole di essere veramente
innamorato di lei e disposto a tutto per lei, ma sempre con ironia, tenerezza e
un pizzico di follia. Guido, nella sua “stranezza” e particolarità, dimostra a
Dora di essere un uomo di gran cuore e disposto a tutto pur di conquistarla, come
ad esempio rapirla durante la sua festa di fidanzamento con Rodolfo, portandola
via in sella ad un cavallo che i fascisti hanno sfregiato con la scritta
“cavallo ebreo” e colorato di verde.
Passano sei anni e lo spettatore
è condotto nella seconda parte del film. Guido e Dora sono ormai sposati e hanno un figlio, il piccolo Giosuè.
Siamo nel 1944 e la vita della famiglia Orefice trascorre abbastanza tranquillamente,
nonostante il periodo storico sia ancora critico a causa delle dittature
fascista e nazista. Guido ha finalmente aperto la libreria e Dora continua a
insegnare a scuola. Il piccolo Giosuè è molto amato dai genitori, che vivono
un’esistenza serena e appagante. Un giorno, all’improvviso, il loro mondo
crolla: Guido, Giosuè ed Eliseo, in quanto ebrei, vengono prelevati dalle SS e
caricati sui vagoni di un treno destinato al campo di concentramento di Gries
(Bolzano). Dora, che non è ebrea, supplica la guardia di lasciarla salire sul
treno: non vuole abbandonare la propria famiglia e lo dimostra con questo
grande gesto di amore e sacrificio.
Guido intuisce immediatamente il destino al quale stanno andando incontro e decide di proteggere il figlio inscenando un gioco: racconta al piccolo che si tratta di uno speciale regalo di compleanno, in cui è necessario superare delle difficili prove per vincere un carro armato. Nonostante i toni della vicenda siano ora più cupi, Guido mantiene sempre il sorriso e con le sue parole riesce a trasformare la prigionia e le sue rigide regole in divertimento agli occhi di Giosuè, che rimane ignaro del presagio di morte che aleggia nel campo. Come tutti i bambini, Giosuè è sveglio e curioso e con le sue domande riesce spesso a mettere in difficoltà Guido, che ha comunque sempre una risposta pronta per dissipare i dubbi del bambino.
L’amore di questo padre per il proprio figlio supera le difficoltà e le torture fisiche e psicologiche alle quali i detenuti sono quotidianamente sottoposti. Guido salva la vita del piccolo Giosuè una prima volta quando tutti i bambini prigionieri vengono condotti alle camere a gas: egli nasconde il figlio nella baracca degli uomini e, sempre attraverso il gioco, lo convince a non uscire mai dal nascondiglio. La vita del campo subirà un drastico cambiamento con l’invasione delle truppe alleate: i nazisti, ormai circondati dagli americani e dai sovietici, intendono attuare la “soluzione finale” per eliminare ogni prigioniero e, con essi, le prove delle loro nefandezze.
Una notte, mentre le guardie del campo sono in preda a una grande agitazione per l’avvicinarsi dei nemici, Guido intuisce che la fine è vicina e mette in salvo Giosuè nascondendolo all’interno di una cabina, mentre egli cerca disperatamente di trovare Dora. L’uomo verrà però scoperto dalle SS e fucilato. L’indomani giungono gli alleati americani per liberare il campo e Giosuè, uscito dal nascondiglio, può finalmente salire sul carro armato e avere il suo premio, come promesso dal padre. Si ricongiungerà presto alla madre, sopravvissuta allo sterminio.
Sulla tragedia della Shoah, dei
campi di sterminio e dei sopravvissuti alle efferatezze del nazismo si è
scritto e parlato – fortunatamente – moltissimo, e mai ci si stancherà di
farlo, per mantenerne viva la memoria. Nonostante si possano leggere libri,
vedere documentari e film sull’argomento, guardare per la prima volta o riguardare
per l’ennesima volta La vita è bella è sempre magnifico. Il film non vuole
essere una ricostruzione storica degli avvenimenti; vuole, piuttosto, narrare
una storia “di amore”: l’amore di Guido per Dora, l’amore di Guido per Giosuè e
quello di Dora per la famiglia. L’amore che, in tutte le sue declinazioni,
vince sul male e sulla paura, anche quella più viscerale per la morte, e spinge
a compiere prodezze incredibili per salvare la vita dei propri cari, con il
sorriso sulle labbra come Guido.
Guido intuisce immediatamente il destino al quale stanno andando incontro e decide di proteggere il figlio inscenando un gioco: racconta al piccolo che si tratta di uno speciale regalo di compleanno, in cui è necessario superare delle difficili prove per vincere un carro armato. Nonostante i toni della vicenda siano ora più cupi, Guido mantiene sempre il sorriso e con le sue parole riesce a trasformare la prigionia e le sue rigide regole in divertimento agli occhi di Giosuè, che rimane ignaro del presagio di morte che aleggia nel campo. Come tutti i bambini, Giosuè è sveglio e curioso e con le sue domande riesce spesso a mettere in difficoltà Guido, che ha comunque sempre una risposta pronta per dissipare i dubbi del bambino.
L’amore di questo padre per il proprio figlio supera le difficoltà e le torture fisiche e psicologiche alle quali i detenuti sono quotidianamente sottoposti. Guido salva la vita del piccolo Giosuè una prima volta quando tutti i bambini prigionieri vengono condotti alle camere a gas: egli nasconde il figlio nella baracca degli uomini e, sempre attraverso il gioco, lo convince a non uscire mai dal nascondiglio. La vita del campo subirà un drastico cambiamento con l’invasione delle truppe alleate: i nazisti, ormai circondati dagli americani e dai sovietici, intendono attuare la “soluzione finale” per eliminare ogni prigioniero e, con essi, le prove delle loro nefandezze.
Una notte, mentre le guardie del campo sono in preda a una grande agitazione per l’avvicinarsi dei nemici, Guido intuisce che la fine è vicina e mette in salvo Giosuè nascondendolo all’interno di una cabina, mentre egli cerca disperatamente di trovare Dora. L’uomo verrà però scoperto dalle SS e fucilato. L’indomani giungono gli alleati americani per liberare il campo e Giosuè, uscito dal nascondiglio, può finalmente salire sul carro armato e avere il suo premio, come promesso dal padre. Si ricongiungerà presto alla madre, sopravvissuta allo sterminio.