di Paolo Sorrentino
con Toni Servillo e Olivia
Magnani
Italia, 2004
Un anonimo albergo in una
cittadina svizzera, un uomo solo, una giovane barista e una valigia. Con questi
pochi elementi Sorrentino riesce a costruire un noir dagli sviluppi drammatici
e inaspettati in cui si intrecciano temi quali solitudine, mafia, corruzione e
amore.
Titta Di Girolamo passa le sue
giornate seduto nella hall di un albergo, fumando e osservando le persone che
gli stanno attorno, restio a condividere anche la più banale delle conversazioni
e allontanando i ficcanaso che avanzano domande troppo personali. Titta, che
soffre di insonnia e fa uso regolare di eroina (ma solo il mercoledì mattino
alle 10:00), spezza la monotonia di questa vita consegnando due volte alla
settimana una valigia piena di denaro in una banca del posto. La routine
opprimente, che schiaccia la vita di Titta, viene esasperata dalle inquadrature
che si stringono ora sul volto imperturbabile dell’uomo, ora sugli ambienti che
si ripetono sempre uguali e immutati nel tempo, giorno dopo giorno (la
claustrofobica camera da letto, il bunker della banca, le scale mobili di un
centro commerciale, il desolato parcheggio sotterraneo).
Improvvisamente, questa routine si incrina quando Sofia, la barista dell’albergo, si ribella alla scontrosità di Titta ed esige da lui una risposta cortese al suo saluto. Ecco che l’uomo inizia a guardare con occhi diversi la ragazza, che sino a quel momento era stata semplicemente una figura anonima sullo sfondo delle sue giornate all’hotel. Titta confessa alla ragazza, e allo spettatore ormai rassegnato alla banalità della vita dell’uomo, il suo segreto inconfessabile: un tempo era un importante commercialista e, a causa di investimenti azzardati, ha perso ingenti somme di denaro provenienti dalla mafia. La mafia ha però deciso di graziarlo e, anziché condannarlo a morte, lo ha condannato a vivere recluso nell’albergo in attesa della consegna settimanale della valigia, con il compito di depositare in banca a suo nome il denaro riciclato.
Improvvisamente, questa routine si incrina quando Sofia, la barista dell’albergo, si ribella alla scontrosità di Titta ed esige da lui una risposta cortese al suo saluto. Ecco che l’uomo inizia a guardare con occhi diversi la ragazza, che sino a quel momento era stata semplicemente una figura anonima sullo sfondo delle sue giornate all’hotel. Titta confessa alla ragazza, e allo spettatore ormai rassegnato alla banalità della vita dell’uomo, il suo segreto inconfessabile: un tempo era un importante commercialista e, a causa di investimenti azzardati, ha perso ingenti somme di denaro provenienti dalla mafia. La mafia ha però deciso di graziarlo e, anziché condannarlo a morte, lo ha condannato a vivere recluso nell’albergo in attesa della consegna settimanale della valigia, con il compito di depositare in banca a suo nome il denaro riciclato.
Titta è compiaciuto e al contempo
turbato dalle attenzioni di Sofia perché scopre che esiste altro al di fuori
della sua prigione. Il coinvolgimento dell’uomo nei confronti della ragazza non
si manifesta con effusioni e romanticismo, bensì con un gesto eclatante e
rischioso: Titta sottrae centomila dollari dalla valigia per regalare a Sofia
una lussuosa auto. Ed ecco che il proposito fugacemente annotato su un blocco da
Titta – che recita “Progetti per il futuro: non sottovalutare le conseguenze
dell’amore” – diventa profezia: da questo momento in poi un avvicendarsi di
fatti negativi cambierà il corso della vita di Titta, che si troverà dinnanzi
al boss mafioso a dover rendere conto della sparizione della valigia. Da qui
l’epilogo finale: Titta, chiuso nel suo silenzio e con espressione
imperturbabile, che viene calato in una vasca di cemento fresco, deciso a non
rivelare dove ha nascosto la valigia.
L’unica consolazione che rimane
allo spettatore è sapere che Titta, prima di morire, abbia potuto aprire il suo
cuore a una giovane donna in grado di portare un raggio di sole nella sua tetra
vita e che questo lo abbia indotto a ribellarsi alla sua prigionia. Certo, ci
si potrebbe chiedere perché Titta non sia fuggito con la valigia in un paese
lontano e soleggiato, a godersi i soldi rubati. Ma Titta, con la sua scelta, ci
dimostra di essere un uomo integro e di avere espiato le sue colpe con la
morte, riscattando una vita messa al servizio della mafia.
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