di Sam Mendes
UK e USA, 2015
con Daniel Craig, Christoph Waltz, Léa Seydoux, Ralph Fiennes, Ben Whishaw, Naomie Harris
Spectre, ovvero la mia prima volta con James Bond. Ebbene sì, lo
ammetto: non avevo mai visto un film dell’agente segreto più famoso al mondo. Eppure
non sono completamente digiuna dallo spionaggio: ho appena finito di leggere Diario di un killer sentimentale (1996)
di Luis Sepúlveda, in passato ho letto qualche racconto
pulp di Victor Banis (The man from
C.A.M.P. (1966), ad esempio, che narra di un agente 007 con licenza di
uccidere gli omofobi che complottano contro i gay) e mi sono sbellicata dalla
risate con il film Casino Royale del
1967 con Woody Allen nel ruolo del cattivo in una parodia del vero James Bond.
E allora perché mi sono
finalmente decisa ad andare al cinema a vedere proprio Spectre? La risposta è una: Sam Mendes. Tutti i film che ha diretto
come regista sono tra i miei preferiti: American
Beauty (1999), Era mio padre (2002), Jarhead
(2005),
Revolutionary Road (2008) e American Life (2009). Sam Mendes non è
comunque nuovo ai film di 007 perché ha diretto anche Skyfall nel 2012, sempre con Daniel Craig nei panni di Bond.
Ancora prima di entrare al
cinema, la mia mente già dava per scontata la presenza nel film di uno “stacco
di coscia” femminile e di lui, Bond, che salta da un elicottero per salvarsi da
un’esplosione. E infatti proprio nei primi cinque minuti del film ecco che
James Bond seduce una bellissima donna messicana, per abbandonarla pochi
secondi dopo per andare a uccidere il cattivo di turno e saltare da un
elicottero fuori controllo.
La scena si apre a Città del
Messico durante la sfilata del Día
de Muertos, durante la quale Bond uccide il membro di una misteriosa
organizzazione criminale. La scena spettacolare e variopinta della festa e
l’inseguimento all’ultimo respiro con tanto di sparatoria ricordano molto
un’analoga scena nel film C’era una volta in Messico (2003) di Robert
Rodriguez. Ma questo è solo l’inizio della storia, non l’epico finale come in
un film normale.
Dopo il Messico, Bond fa ritorno a Londra,
dove sono in corso molti cambiamenti: il “programma 00” di cui fa parte è destinato
ad essere sostituito da “Nove occhi”, un progetto che ambisce a riunire in
un’unica organizzazione lo spionaggio mondiale. Inoltre James viene sospeso per
aver agito senza mandato a Città del Messico. Incurante, Bond prosegue per
proprio conto le indagini per smascherare la famigerata organizzazione che si
nasconde dietro attentati dinamitardi nei quattro angoli del mondo e per capire
chi ne è a capo.
Per arrivare alla mente malefica del piano,
che è in combutta con il nuovo capo dei servizi segreti, l’agente 007
attraversa ogni continente alla ricerca degli indizi per comporre l’intero
quadro. A Roma, dopo aver sedotto la vedova dell’uomo ucciso in Messico, Bond
sopravvive a un inseguimento lungo il Tevere alla guida di un bolide. Riesce
poi a scovare, in uno chalet delle montagne austriache, Mr. White, un ex membro ormai in fin di vita della
misteriosa organizzazione e ad avere nuove informazioni per risolvere il caso.
L’uomo fa promettere a Bond di trovare sua figlia Madeleine e salvarla.
Recuperata la bionda e algida Madeleine sulle montagne svizzere, Bond e
la ragazza vanno a Tangeri, in Marocco, sulle tracce dell’indizio decisivo
fornito da Mr. White.
Bond scopre che la famigerata
congregazione è la SPECTRE e riesce ad arrivare al cuore della sua sede
centrale nel mezzo del deserto africano, dove scopre finalmente chi si cela
dietro il piano diabolico. Dopo aver evitato una lobotomia con un
orologio-bomba e aver fatto saltare per aria la SPECTRE, Bond è di nuovo a
Londra per l’epilogo finale, ovvero una corsa contro il tempo per salvare la
bella Bond-girl, veramente innamorata dell’intramontabile rubacuori in smoking
che, pare, sia disposto a mettere la testa a posto.
Da profana del genere dello
spionaggio e da non amante dei film d’azione “all’americana”, ammetto che Spectre mi è piaciuto. Ovviamente, ancor
prima di mettere piede nella sala, già sapevo cosa aspettarmi: inseguimenti
inverosimili, cattivi che non muoiono mai, James Bond impeccabile in giacca e
cravatta anche nel deserto (e suda solo in due occasioni!), donne affascinanti
e letali, il giro del mondo in pochi giorni… Insomma, tutto come da copione. Perché
James Bond è ormai da decenni un’icona cinematografica (nonostante alcuni
puristi della saga non apprezzino Daniel Craig e altri, che nutrivano forti
aspettative dopo Skyfall, non hanno
apprezzato Spectre ritenendolo lento
e noioso). Bond, quindi come icona, che nasce negli anni Sessanta, epoca di
grandi cambiamenti storici, sociali e culturali: la lotta al comunismo, la
Guerra Fredda, la rivolta studentesca, l’emancipazione degli afroamericani, il
femminismo. Per alcuni studiosi di cultura moderna, la figura di James Bond rappresenta
un mito rassicurante – in un’epoca di forti cambiamenti che la classe borghese
non condivide – che alimenta gli stereotipi che da sempre dividono l’uomo e la
donna: James Bond, l’uomo che non deve chiedere mai e che ha la licenza di
uccidere e di sedurre qualsiasi bella donna, e la Bond-girl di turno che si
lascia sedurre e salvare dall’impenitente rubacuori.
Non vi è dubbio che questi stereotipi
siano presenti in Spectre, come del
resto in tutti i film della saga 007. Però, una volta seduta sulla poltrona
davanti allo schermo, va anche bene abbandonare analisi sociali e godersi il
film, lasciandosi trasportare dalle scene inverosimili, proprio come quando si legge
un libro di fantascienza, consapevole che è fiction.