1959
Quello che ho appena
chiuso è uno dei libri più impegnativi che abbia mai letto. Pasto
nudo entra di diritto nella mia lista personale di libri
“difficili” e al tempo stesso unici e toccanti, facendo compagnia
ad Arancia meccanica (1962)
di Anthony Burgess, Paura e disgusto a Las Vegas (1971)
di Huter S. Thompson, L'innocenza delle caramelle
(1954) di Tennessee
Williams e Sulla strada (1951)
di Jack Kerouac.
E
proprio Kerouac avrebbe convinto l'amico Burroughs a pubblicare
l'opera, che nasce come un insieme di pensieri deliranti messi nero
su bianco. Si dice che Kerouac abbia trovato Burroughs a terra,
ricoperto di fogli, in stato di delirio e, una volta lette tutte le
pagine, lo abbia convinto a pubblicarle in forma di romanzo.
Nasce
così Pasto nudo,
un'opera che ha reso immortale Burroughs non solo tra gli autori
della cerchia della Beat Generation (che lo hanno eletto a loro padre
spirituale) ma anche nell'intera letteratura.
Burroughs,
in un post scriptum, spiega il significato del titolo: «Pasto
NUDO – l'istante, raggelato, in cui si vede quello che c'è sulla
punta della forchetta». Il titolo è stato scelto da Kerouac.
Tra
gli amici legati alla Beat Generation, spicca soprattutto Allen
Ginsberg, con il quale Burroughs ebbe una relazione. Nonostante la
sua aperta omosessualità, l'autore si sposa due volte e ha un
figlio. Si sposa una prima volta per fare ottenere un visto a
un'amica e una seconda volta con una donna con la quale ha in comune
la tossicodipendenza.
Quella
di Burroughs non è stata una vita facile: viene allontanato dalla
famiglia (che lo ha comunque sempre mantenuto); è costretto a vivere
nei tuguri delle grandi città americane in preda al delirio da
astinenza per la maggior parte del tempo, senza lavarsi anche per
molti mesi di fila e vivendo in una dimensione temporale scandita
solo dalla ricerca della prossima dose.
Credo
che sia importante soffermarsi sulla condizione di vita di questo
scrittore per cercare di capire, per quanto possibile, Pasto
Nudo.
Il romanzo è infatti un delirio totale in cui l'autore esprime le
immagini confuse che popolano la sua mente di tossico. È molto
difficile, a tratti frustrante, leggere queste pagine senza capirne
totalmente quello che Burroughs racconta. Si è costretti a tornare
indietro a rileggere alcuni passi, poiché si è sicuri che ci sia un
certo personaggio che compie determinate azioni e poi,
all'improvviso, ci si ritrova, senza sapere come, in un'altra
situazione.
Come
se non bastasse, a dare del filo da torcere anche al lettore più
attento c'è anche la tecnica di scrittura definita cut-up:
il testo scritto – già di suo delirante – viene fisicamente
tagliato e le singole parti vengono quindi mischiate e rimesse
insieme in ordine sparso. Il risultato è un testo dalla forma
sconnessa e senza logica.
L'impenetrabilità
di Burroughs non deve però scoraggiare. Le parole sono poesia e,
nonostante si racconti di droga, astinenza, sofferenza e vita di
strada, il linguaggio con cui l'autore scrive è così aulico che si
scontra con la “bassezza” dei temi trattati.
Nei momenti di massimo
delirio Burroughs racconta di due stati immaginari, Anexia e Terra
Libera, in cui la popolazione vive nel degrado in tanti
appartamenti-tuguri in cui ricevono visite improvvise dalle autorità
e delle forze dell'ordine. La gente vive sotto controllo e sotto
stretta osservazione da parte delle forze sociali, controllate da
ministeri autoritari, come una sorta di 1984 alla George Orwell. Ma,
forse, questo non è il delirio di un tossico, quanto piuttosto una
forte critica che l'autore muove alla società americana.
In numerosi punti del
romanzo, stupisce molto come al delirio puro si alternino fasi di
descrizione lucida per spiegare al lettore le varie tipologie di
droghe e gli effetti che hanno sul fisico e sugli organi del corpo.
Burroughs, che si è praticamente fumato, sniffato e iniettato
qualsiasi tipo di droga e sostanza chimica, spiega, in una lunga
nota, anche tutti i tipi di cure che nei decenni ha provato per
disintossicarsi.
William Burroughs ha
lasciato il segno nella letteratura mondiale, diventando un punto di
riferimento, non solo per gli autori a lui contemporanei della Beat
Generation, ma anche per quelli successivi. Ha inoltre partecipato
come comparsa in un videoclip degli U2 e in alcuni film, come
Drugstore Cowboy (1989) di Gus Van Sant (film che ho visto di
recente e in cui, ammetto, ho guardato a Burroughs con una sorta di
reverenza quando, nella parte finale del film, appare nei panni di un
vecchio prete tossicodipendente – ma tu sai che dietro quel nonnino
gracile e ingobbito si cela la mente di un folle che ha segnato
un'epoca della storia della letteratura).
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