martedì 22 settembre 2015

Bridget Jones, la parabola discendente della donna moderna



Bridget Jones è la single per eccellenza. La trentenne che combatte con la bilancia e il vizio del fumo e che non riesce a trovare un fidanzato è nota a tutti, non solo ai lettori, grazie alla trasposizione cinematografica dei romanzi di Helen Fielding Il diario di Bridget Jones (1996) e Che pasticcio, Bridget Jones! (1999).
Il successo dei film ha spinto l’autrice a scrivere anche un terzo romanzo, dal titolo Bridget Jones, un amore di ragazzo (2013), per completare la saga della single più amata dai lettori del genere “chick lit”, letteralmente “letteratura per pollastrelle”, che comprende tutti quei romanzi d’amore destinati a un target femminile.
I tre libri sono indubbiamente romanzi di svago e di facile lettura, si leggono in breve tempo e sono anche divertenti, grazie alle imprese tragicomiche di cui la buffa e impacciata Bridget è protagonista.
I tre romanzi seguono la vita di Bridget attraverso gli anni, che da donna single prima si fidanza e poi diventa madre. Ebbene sì, anche Bridget Jones riesce nella titanica impresa di sposarsi e avere dei figli con l’amato Mark Darcy, anche se non mancano colpi di scena e brutte sorprese per i fan della coppia Bridget-Mark.
E tuttavia, da questi romanzi ho tratto spunto per riflettere sulle aspettative che la società moderna riversa sulla donna, che pare debba seguire l’iter predefinito di fidanzamento – matrimonio – maternità. Se la donna non segue questo percorso, gli altri la compatiscono e la giudicano, dietro un malcelato sorrisetto di convenienza, come un essere egoista che sta sprecando il poco tempo che le rimane del suo orologio biologico.
Per leggere l’articolo completo che ho scritto per la rivista Libreriamo, cliccate qui...

mercoledì 16 settembre 2015

MIA MADRE


con Nanni Moretti, Margherita Buy, Giulia Lazzarini e John Turturro
di Nanni Moretti
Italia, 2015

Nanni Moretti, regista e interprete di Mia madre, porta sul grande schermo un film intenso e drammatico che, nella sua (apparente) semplicità, proietta lo spettatore in scene di vita quotidiana vissute da molti: la consapevolezza dell’imminente morte di un genitore, ormai malato e senza speranza di guarigione, e la rabbia che scaturisce dinnanzi alla sofferenza del proprio caro e il sentirsi impotenti di fronte a tutto ciò.
Margherita, donna divorziata e madre, è una regista romana che sta girando un film corale sugli scioperi condotti dagli operai di una fabbrica che è stata venduta a un americano, che minaccia tagli e licenziamenti. Le riprese sembrano procedere tra alti e bassi: Margherita non è mai soddisfatta delle scene girate, manifesta molti dubbi su ogni minimo dettaglio e deve gestire il pretenzioso attore italoamericano che interpreta il ruolo del nuovo proprietario.
Come se non bastasse, Margherita ha appena lasciato il suo amante e deve seguire la figlia adolescente, a cui non piace studiare. Le riprese del film, già di per sé difficoltose, procedono a rilento anche perché Margherita, appena può, si reca in ospedale in visita alla madre Ada, malata di cuore. Ad aiutarla c’è Giovanni, il fratello ingegnere, che ha deciso di prendere un’aspettativa dal lavoro per stare accanto alla madre.
Tra i due è Giovanni quello che riesce a gestire meglio la delicata situazione, a mantenere la calma dinnanzi agli implacabili verdetti dei medici e ad avere ben chiaro cosa succederà alla madre. Margherita invece non vuole accettare l’idea del destino della madre e la sua rabbia e frustrazione si riversano nella vita privata – per quel poco che ne ha – e sul lavoro finché, dopo una chiacchierata con l’ex amante, prendere consapevolezza dei suoi limiti e dei suoi errori.
Margherita si muove tra sogno, incubo e realtà, in un intreccio di scene oniriche irreali interrotte da bruschi risvegli. Perché il sonno spesso prende il sopravvento, soprattutto quando passi tutto il tempo libero in ospedale a vegliare il genitore malato, con l’intento di esorcizzare la sua morte nella speranza che, finché sei lì accanto, non potrà succedergli nulla. E poi, il peso di dover affrontare amici, parenti e conoscenti del malato e dire loro che sta bene, che presto guarirà e con queste medesime parole rassicurare anche il malato stesso, avere la forza di guardalo negli occhi e dirgli che tutto si risolverà per il meglio e che presto potrà fare ritorno a casa. Con la consapevolezza però che, quando viene dimesso e riportato a casa, è perché ormai non c’è più niente da fare.
I temi della malattia e della morte di un genitore non sono gli unici affrontati da Moretti in questo film. Questo è infatti un film che racconta del cinema, il film nel film. Sono molte le sequenze in cui Margherita è sul set e che ci illustrano come viene girato un film, i trucchi del mestiere e il lavoro della troupe. Una mise en abîme di cinema nel cinema e di metalinguaggio cinematografico, ma anche personale, perché si riferisce anche al regista stesso, ovvero Nanni Moretti/regista che compare nel film nei panni di Giovanni/attore e che è rappresentato nel film da Margherita /regista, interpretata da Margherita Buy/attrice. Insomma, un complicato sistema di realtà nella realtà, di finzione nella realtà e di realtà nella finzione.
Nanni Moretti ci lascia un film molto forte e quasi crudele, che risveglia nello spettatore emozioni forti nel ripercorre l’iter della malattia di un genitore: il ricovero in ospedale, l’incredulità che lascia poi spazio alla rassegnazione, l’impotenza dinnanzi ai verdetti dei dottori, i ricordi di una vita passata a litigare con il genitore e il pentirsi di non aver trascorso con lui abbastanza tempo. 
Perché ognuno di noi, salvo eccezioni, potrebbe essere o è stato Giovanni e Margherita.