giovedì 24 dicembre 2015

Non conventional Christmas movies



Non conventional Christmas movies, ovvero i miei film natalizi preferiti di sempre, ma nei quali il Natale non porta allegria come da copione. Anzi, l’atmosfera natalizia non fa che rendere la storia ancor più angosciante e oscura. 


L’esempio migliore è certamente Eyes Wide Shut (1999) di Stanley Kubrick. Il film affronta i lati negativi del matrimonio (tradimento, infelicità, gelosia) attraverso una ricca coppia newyorkese, proprio durante le festività natalizie. I toni della storia, che è già di per sé piena di eventi tragici ed estremi, sono esasperati dall’uso sapiente delle immagini, nelle quali le luci natalizie sullo sfondo contribuiscono a rendere l’ambiente freddo e asettico, anziché caldo e accogliente.
Ovviamente questa atmosfera è solo uno sfondo all’azione, ma ben si integra con le vicende, per certi versi inverosimili, che coinvolgono il giovane e brillante medico, Bill Harford (Tom Cruise) e sua moglie Alice (Nicole Kidman). Proprio durante una festa natalizia a casa del potente Victor Ziegler, Bill sarà coinvolto nella morte sospetta di una giovane prostituta. E questo sarà solo l’inizio di una serie di eventi che lo porterà a mettere in discussione la sua vita coniugale e l’amore per Alice. La donna, dal canto suo, confessa al marito di aver pensato di tradirlo tempo prima, durante una vacanza, senza però farlo veramente. Bill, in reazione a questa rivelazione, si lascia tentare da una prostituta incontrata una notte mentre è in visita da un paziente, ma senza nulla fatto, interrotto da una telefonata della moglie che gli chiede di tornare a casa presto. Bill, tuttavia, vaga solitario e smarrito per le strade di Greenwich Village e grazie a un vecchio amico si ritrova, dopo una serie di incontri sconcertanti e bizzarri, in una lussuosa villa ad una festa in maschera dove sono in corso orge e riti di iniziazione con sacerdote e baccanti nude.  
Scoperto come intruso e salvato da una ragazza che si sacrifica per lui, l’indomani Bill apprende dai giornali della morte misteriosa di una giovane. Convinto che si tratti della stessa che lo ha salvato la notte prima, Bill inizia a indagare ma viene messo in guardia da Ziegler di restarne fuori e di dimenticare quanto visto nella villa.
Nella scena finale – forse una delle più sconcertanti della storia del cinema – Bill e Alice sono con la figlioletta al centro commerciale per i regali di Natale e, in un’atmosfera gioiosa di luci, festoni e bambini eccitati, Alice conclude che quello che rimane da fare per salvare il loro matrimonio è (cito testualmente) «scopare». Con questa frase, che arriva inaspettata, cala il silenzio sullo spettatore, che rimane basito per una frase così esplicita che risulta stridente e inadeguata all’atmosfera di festa e alla presenza dei bambini. 


Un film a tema natalizio e dalle tinte gotiche è invece Edward mani di forbice (1990) di Tim Burton. La capacità creativa di questo regista si commenta da sola in ogni film che dirige. Ormai il suo nome è sinonimo di una certa tipologia di storie, principalmente a carattere “dark”, e costellate da personaggi fantasiosi e magici.
La storia ha inizio quando un’anziana donna racconta alla nipotina l’origine della neve nella loro città. Peggy Boggs, rappresentante di cosmetici in cerca di nuovi clienti, girovagando per le strade della perfetta cittadina che incarna lo stereotipo americano, si avventura nel castello in cima a una collina e qui vi trova uno strano ragazzo: è Edward (Johnny Depp), metà uomo e metà macchina. È stato creato da uno scienziato, che è però morto prima di completare la sua opera. Edward, infatti, è privo di mani umane, al posto delle quali ha enormi e affilate cesoie.
Peggy, dall’animo buono e caritatevole, decide di portare Edward a casa e farlo vivere insieme alla sua famiglia. La donna cercherà di insegnarli a vivere insieme agli altri e a rispettare le regole della società civile. Con il tempo il vicinato, costituito soprattutto da donne false e pettegole, impara ad accettare Edward, che si scopre prima abile a scolpire statue di ghiaccio e poi nel tagliare i capelli. Divenuto l’idolo delle massaie, Edward decide di aprire un negozio di parrucchiere ma i suoi progetti si sgretolano perché verrà coinvolto dal fidanzato di Kim (Winona Ryder), la figlia di Peggy e della quale Edward è innamorato, in un furto. Un tempo osannato come genio delle acconciature, ora Edward viene additato come “diverso” e pericoloso.
Sarà Kim a metterlo in salvo, riconducendolo al suo castello. Kim farà credere ai cittadini che Edward è morto, così che possa vivere al sicuro lontano dall’odio della gente. Saprà sempre che il ragazzo è vivo e sta bene perché ogni anno, a Natale, Edward scolpisce blocchi di ghiaccio e i fiocchi di neve che cadono sulla cittadina, nella quale non aveva mai nevicato prima, arrivano proprio dallo sforbiciare delle sue “mani” laboriose sul ghiaccio.
La voce narrante dell’anziana donna si scopre così essere quella di Kim che, ormai vecchia, non ha più rivisto Edward.

Ancora Tim Burton in un’altra storia a tinte natalizie. Non si tratta però di attori in carne e ossa, bensì di un film di animazione in motion picture, ovvero con pupazzi mossi a mano fotogramma per fotogramma. Si tratta di Nightmare Before Christmas (1993), la cui storia è stata ideata da Burton e diretta da Henry Selick.
In questo film d’animazione si intrecciano la festa del Natale e quella di Halloween. Jack Skeleton è il re delle zucche e vive nel mondo di Halloween, abitato da bizzarre creature, mostri e fantasmi. In questo mondo si trascorre l’intero anno occupandosi dei preparativi per la festa di Halloween. Jack però si annoia e, vagando nel bosco, trova diverse porte, ciascuna delle quali conduce a un altro mondo. Ci sono il mondo della Pasqua, del Giorno del Ringraziamento e quello del Natale.
Scoperto il mondo del Natale e la magnificenza dei preparativi di questa festa, Jack decide che anche nel suo mondo si dovrà festeggiare il Natale. Gli abitanti di Halloween seguono le direttive di Jack, ma il risultato non è quello sperato perché in questo mondo nessuno riesce a cogliere il vero spirito della festa natalizia. Non solo: fraintendendo gli ordini di Jack, alcuni mostri rapiscono Babbo Natale, il quale viene tenuto in ostaggio da una creatura maligna che vuole ucciderlo.
Dopo una serie di peripezie Jack riuscirà a liberare Babbo Natale e a garantire al mondo degli umani la festa più attesa dell’anno. E, finalmente, imparerà cosa sia lo spirito del Natale.
Nightmare Before Christmas nasce in realtà come poesia illustrata, che Tim Burton aveva realizzato per la Disney, la quale però rifiutò il progetto a causa delle tinte gotiche. Fortunatamente Burton non ha rinunciato al progetto e ha trovato il modo di dargli nuova vita in motion picture. Jack Skeleton, riconoscibile dalla sua silhoutte algida e il testone a forma di teschio, diventa poi un simbolo ricorrente di molti altri film del regista: da Il mistero di Sleepy Hollow (1999) a La fabbrica di cioccolato (2005) ad Alice in Wonderland (2010), Jack compare sottoforma di apparizione – ad esempio lo spaventapasseri di Sleepy Hollow – o di motivo decorativo – ad esempio sul cravattino del Cappellaio Matto.

Il profumo: dal libro di Patrick Süskind al film di Tom Tykwer


Il profumo (1985) di Patrick Süskind è un romanzo drammatico e cruento che racconta la tormentata vita del giovane e solitario Jean-Baptiste Grenouille, nella Francia del Settecento.
La narrazione è particolare perché l’autore esalta al massimo le descrizioni olfattive, che arrivano dal naso del protagonista, piuttosto che quelle visive a cui il lettore è di solito abituato.
Sia Martin Scorsese che Stanley Kubrick si sono interessati alla singolare storia ma non sono riusciti a ottenere i diritti cinematografici, che Süskind ha concesso solo nel 2001 al regista Tom Tykwer, il quale ha girato il film dal titolo Profumo – Storia di un assassino, uscito nel 2006.
Il protagonista è appunto Jean-Baptiste (Ben Whishaw nel film), un ragazzo povero la cui esistenza è segnata dalla malasorte fin dalla nascita: la madre, una pescivendola parigina, lo dà alla luce sotto il banco del pesce al mercato e lo abbandona tra i rifiuti. Il neonato sopravvive e la madre viene impiccata con l’accusa di infanticidio. Jean-Baptiste viene affidato all’orfanotrofio dell’avida Madame Gaillard che, dopo anni, lo vende al proprietario di una conceria.
Sempre solo, indifferente agli altri e immune ai sentimenti, il piccolo lavora come uno schiavo fino all’adolescenza. Jean-Baptiste è però dotato di un dono, che è anche una condanna: possiede una fortissima sensibilità agli odori altrui ma non percepisce il proprio odore, e questo lo rende incapace di provare emozioni. Crescendo, imparerà a potenziare il suo dono e a distinguere gli odori e discernere i profumi dagli olezzi di una Parigi sommersa dai rifiuti. 
Per proseguire la lettura dell'articolo completo cliccate qui, sulla rivista Libreriamo.

domenica 13 dicembre 2015

Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino: dal romanzo di Christiane F. al film di Uli Edel


Ero adolescente quando ho letto il romanzo biografico Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino (1979) di Christiane F. E, come la maggior parte della critica e del pubblico, sono rimasta molto colpita dall’esperienza cruenta di tossicodipendenza narrata dalla protagonista, Christiane per l’appunto. Poco più che bambina, Christiane inzia infatti a fare uso di droghe sintetiche a dodici anni e a tredici anni risale la sua prima dose di eroina, la cui dipendenza la spingerà alla prostituzione per procurarsi la dose giornaliera.
Il romanzo nasce da un’intervista condotta da due giornalisti del settimanale tedesco Stel, che hanno intervistato Christiane nel 1978 in merito a un processo per adescamento e abuso di minori a carico di un uomo e nel quale la ragazza è coinvolta. Il racconto di Christiane viene pubblicato a puntate sulla rivista e l’anno successivo diventa un romanzo, con grande successo di pubblico. Viene anche trasposto al cinema, con omonimo titolo, nel 1981, diretto da Uli Edel.
Cliccando qui trovate l'articolo intero sulla storia di Christiane F. (che ho scritto per la rivista Libreriamo) e sulle notizie recenti che si hanno di lei.

lunedì 30 novembre 2015

SPECTRE


di Sam Mendes
UK e USA, 2015
con Daniel Craig, Christoph Waltz, Léa Seydoux, Ralph Fiennes, Ben Whishaw, Naomie Harris

Spectre, ovvero la mia prima volta con James Bond. Ebbene sì, lo ammetto: non avevo mai visto un film dell’agente segreto più famoso al mondo. Eppure non sono completamente digiuna dallo spionaggio: ho appena finito di leggere Diario di un killer sentimentale (1996) di Luis Sepúlveda, in passato ho letto qualche racconto pulp di Victor Banis (The man from C.A.M.P. (1966), ad esempio, che narra di un agente 007 con licenza di uccidere gli omofobi che complottano contro i gay) e mi sono sbellicata dalla risate con il film Casino Royale del 1967 con Woody Allen nel ruolo del cattivo in una parodia del vero James Bond.
E allora perché mi sono finalmente decisa ad andare al cinema a vedere proprio Spectre? La risposta è una: Sam Mendes. Tutti i film che ha diretto come regista sono tra i miei preferiti: American Beauty (1999), Era mio padre (2002), Jarhead (2005), Revolutionary Road (2008) e American Life (2009). Sam Mendes non è comunque nuovo ai film di 007 perché ha diretto anche Skyfall nel 2012, sempre con Daniel Craig nei panni di Bond.
Ancora prima di entrare al cinema, la mia mente già dava per scontata la presenza nel film di uno “stacco di coscia” femminile e di lui, Bond, che salta da un elicottero per salvarsi da un’esplosione. E infatti proprio nei primi cinque minuti del film ecco che James Bond seduce una bellissima donna messicana, per abbandonarla pochi secondi dopo per andare a uccidere il cattivo di turno e saltare da un elicottero fuori controllo.
La scena si apre a Città del Messico durante la sfilata del Día de Muertos, durante la quale Bond uccide il membro di una misteriosa organizzazione criminale. La scena spettacolare e variopinta della festa e l’inseguimento all’ultimo respiro con tanto di sparatoria ricordano molto un’analoga scena nel film C’era una volta in Messico (2003) di Robert Rodriguez. Ma questo è solo l’inizio della storia, non l’epico finale come in un film normale.
Dopo il Messico, Bond fa ritorno a Londra, dove sono in corso molti cambiamenti: il “programma 00” di cui fa parte è destinato ad essere sostituito da “Nove occhi”, un progetto che ambisce a riunire in un’unica organizzazione lo spionaggio mondiale. Inoltre James viene sospeso per aver agito senza mandato a Città del Messico. Incurante, Bond prosegue per proprio conto le indagini per smascherare la famigerata organizzazione che si nasconde dietro attentati dinamitardi nei quattro angoli del mondo e per capire chi ne è a capo.
Per arrivare alla mente malefica del piano, che è in combutta con il nuovo capo dei servizi segreti, l’agente 007 attraversa ogni continente alla ricerca degli indizi per comporre l’intero quadro. A Roma, dopo aver sedotto la vedova dell’uomo ucciso in Messico, Bond sopravvive a un inseguimento lungo il Tevere alla guida di un bolide. Riesce poi a scovare, in uno chalet delle montagne austriache, Mr. White, un ex membro ormai in fin di vita della misteriosa organizzazione e ad avere nuove informazioni per risolvere il caso. L’uomo fa promettere a Bond di trovare sua figlia Madeleine e salvarla. Recuperata la bionda e algida Madeleine sulle montagne svizzere, Bond e la ragazza vanno a Tangeri, in Marocco, sulle tracce dell’indizio decisivo fornito da Mr. White.
Bond scopre che la famigerata congregazione è la SPECTRE e riesce ad arrivare al cuore della sua sede centrale nel mezzo del deserto africano, dove scopre finalmente chi si cela dietro il piano diabolico. Dopo aver evitato una lobotomia con un orologio-bomba e aver fatto saltare per aria la SPECTRE, Bond è di nuovo a Londra per l’epilogo finale, ovvero una corsa contro il tempo per salvare la bella Bond-girl, veramente innamorata dell’intramontabile rubacuori in smoking che, pare, sia disposto a mettere la testa a posto.
Da profana del genere dello spionaggio e da non amante dei film d’azione “all’americana”, ammetto che Spectre mi è piaciuto. Ovviamente, ancor prima di mettere piede nella sala, già sapevo cosa aspettarmi: inseguimenti inverosimili, cattivi che non muoiono mai, James Bond impeccabile in giacca e cravatta anche nel deserto (e suda solo in due occasioni!), donne affascinanti e letali, il giro del mondo in pochi giorni… Insomma, tutto come da copione. Perché James Bond è ormai da decenni un’icona cinematografica (nonostante alcuni puristi della saga non apprezzino Daniel Craig e altri, che nutrivano forti aspettative dopo Skyfall, non hanno apprezzato Spectre ritenendolo lento e noioso). Bond, quindi come icona, che nasce negli anni Sessanta, epoca di grandi cambiamenti storici, sociali e culturali: la lotta al comunismo, la Guerra Fredda, la rivolta studentesca, l’emancipazione degli afroamericani, il femminismo. Per alcuni studiosi di cultura moderna, la figura di James Bond rappresenta un mito rassicurante – in un’epoca di forti cambiamenti che la classe borghese non condivide – che alimenta gli stereotipi che da sempre dividono l’uomo e la donna: James Bond, l’uomo che non deve chiedere mai e che ha la licenza di uccidere e di sedurre qualsiasi bella donna, e la Bond-girl di turno che si lascia sedurre e salvare dall’impenitente rubacuori.
Non vi è dubbio che questi stereotipi siano presenti in Spectre, come del resto in tutti i film della saga 007. Però, una volta seduta sulla poltrona davanti allo schermo, va anche bene abbandonare analisi sociali e godersi il film, lasciandosi trasportare dalle scene inverosimili, proprio come quando si legge un libro di fantascienza, consapevole che è fiction.


 

sabato 28 novembre 2015

Dal libro Aria sottile di Krakauer al film Everest, storia di una tragedia annunciata



E’ ufficiale: la montagna e le scalate in quota sono ormai la moda del momento nel settore dello sport. Sugli scaffali delle librerie ci sono numerosi libri scritti da alpinisti-giornalisti e nelle sale cinematografiche il fenomeno inizia a diffondersi grazie il film Everest (2015), ambientato appunto sulla vetta più alta del mondo. E poi ci si mette pure la tv, con il reality ambientato sul Monte Bianco,
Scrivo da amante delle tranquille camminate domenicali in montagna. Il mio primissimo esordio su una montagna anni fa fu letteralmente «Io non sono fatta per la montagna», frase sospirata per tutta la durata del tragitto. Eh sì, perché la montagna richiede sicuramente passione e amore per la natura, ma anche preparazione fisica, determinazione e forza di volontà. Sulla montagna, insomma, non ci si può improvvisare. E pensare che ci sono persone – trattasi di turisti e non di professionisti – disposte a pagare migliaia di dollari per scalare le montagne più impervie del mondo, con tanto di società che, a suon di denaro contante, organizzano le ascese in gruppo, mettendo a disposizione guide alpine e tutta l’attrezzatura necessaria all’impresa.
È quello che è successo sull’Everest, nel maggio del 1996, la cui scalata da parte di alcuni gruppi di spedizioni commerciali è finita in tragedia. Gli avvenimenti sono stati raccontati dal giornalista e alpinista Jon Krakauer (già autore della biografia Into the Wild – Nelle terre selvagge, da cui Sean Penn ha tratto l’omonimo film) nel saggio-reportage Aria sottile (1997), dal quale è stato tratto il film Everest di Baltasar Kormákur.
Per proseguire con la lettura dell'articolo pubblicato sulla rivista Libreriamo, clicca qui.

lunedì 16 novembre 2015

Into the Wild, la storia di Supertramp raccontata dallo scrittore Jon Krakauer e dal regista Sean Penn


La prima volta che ho visto il film Into the Wild – Nelle terre selvagge (2007) di Sean Penn, ho provato incomprensione mista a stupore per Christopher McCandless, il giovane protagonista della storia, che racconta di una vicenda realmente accaduta. Perché mai andare in pellegrinaggio fino in Alaska per capire che «la felicità è reale sono quando condivisa», come scrive sul suo diario di viaggio? C’era bisogno di morire in solitudine in mezzo ai ghiacciai per contestare la società consumistica, salvo poi capire troppo tardi che si può cercare di migliorare i rapporti conflittuali con la famiglia? Ho dovuto rivedere il film una seconda e poi una terza volta per comprendere meglio e farmi una ragione sulle scelte di vita di Christopher. 
Ma, andiamo con ordine. Prima che questa vicenda approdasse sul grande schermo, è stato il giornalista e alpinista Jon Krakauer a far conoscere al pubblico la storia del giovane Christopher. Krakauer è un professionista e grande conoscitore delle montagne più impervie: partecipa a numerose missioni di scalata, tra cui le cime degli Arrigetch Peaks in Alaska (1974-1975), le Ande in Patagonia (1992) e l’Everest (1992). È uno dei pochi sopravvissuti alla scalata sull’Everest e sulla vicenda ha scritto prima un articolo per la rivista Outside e poi il saggio Aria sottile (1997), dal quale è stato tratto il recente film Everest (2015) di Baltasar Kormákur. 
Per sapere come Krakauer ha ha scritto Nelle terre selvagge e come Sean Penn ha realizzato l'omonimo film, cliccate qui per leggere l'intero articolo che ho scritto per la rivista Libreriamo...

giovedì 12 novembre 2015

CARI MOSTRI

di Stefano Benni
2015


Stefano Benni è un autore poliedrico che si dedica alla cultura attraverso numerosi progetti. Non è infatti solo scrittore di romanzi e racconti, ma è stato anche sceneggiatore, poeta, regista e autore televisivo. A lui si deve il merito della pubblicazione in Italia del romanziere, suo amico, Daniel Pennac (di cui trovate un articolo sulla saga Malaussène qui e uno su Storia di un corpo qui): fu lui infatti a convincere l’editore Feltrinelli a promuove i romanzi dello scrittore francese.
Benni ci ha sempre abituati a storie raccontante con uno stile molto particolare e personale, che punta soprattutto su ironia e comicità (come non citare il celebre Bar Sport del 1976?), giochi di parole e neologismi, senza privarsi mai di una critica velata – ma sempre presente – alla società moderna attraverso una sottile satira.
Nella raccolta di brevi racconti Cari mostri (2015), Benni non priva il lettore di nessuno di questi elementi stilistici, compresa l’aspra critica all’uomo e alla società, ma lo fa attraverso un genere letterario a lui nuovo: l’horror. L’autore si diverte a sperimentare in venticinque brevi storie elementi come i mostri, la follia, il vuoto esistenziale, l’angoscia, la paura, le bugie, l’omicidio, gli incubi, la mancanza di valori e scomoda anche Satana, protagonista di uno degli episodi.
Le storie sono molto eterogenee: si passa da un uomo che acquista un Wenge, un animale metà cane e metà pesce, che porterà morte e violenza nella sua vita, a due ragazzine che sono disposte a tutto pur di andare al concerto dei loro idoli; c’è anche una versione 2.0 di Hansel e Gretel, che sfuggono alla strega che li vuole vendere ai pedofili; Antonietta, pacata guida di un museo egizio, si trasforma invece in imbalsamatrice pur di evitare la chiusura del suo reparto. E poi, ancora, la storia di Falco Bianco e Corvo Nero, stregoni indiani che si contendono una donna; un hotel infestato di fantasmi che si trovano durante serate danzanti, con un chiaro rimando a Shining (sia al romanzo di King che al film di Kubrick). Altro evidente rimando è nel personaggio MJ, star della musica ormai sul letto di morte che racconta al suo medico del patto tra suo padre e il diavolo, che rappresenta Michael Jackson.
Di personaggi ce ne sono molti altri, e tutti diversi, ma le storie sono accomunate da angoscia e paura, sentimenti viscerali che emergono dal profondo malvagio che – forse – c’è in ognuno di noi. E se ci sono persone che sanno reprimere questa parte oscura, altre la lasciano libera di esprimersi o la celano dietro una maschera, incuranti delle conseguenze spesso letali, sia per se stesse che per gli altri.
Cimentandosi con il genere horror e catapultando il lettore in un vortice di stati d’animo negativi e corrotti, Benni riesce comunque a strappare un sorriso al lettore, seppure amaro, e a descrivere in pochissime pagine storie complete ed evocative grazie a uno stile asciutto e conciso.


lunedì 2 novembre 2015

TUTTO PUO’ ACCADERE A BROADWAY


di Peter Bogdanovich
USA 2014
con Owen Wilson, Imogen Poots, Kathryn Hahn, Jennifer Aniston; special guest Quentin Tarantino 


Il regista Peter Bogdanovich rende omaggio alla screwball comedy (letteralmente “commedia svitata”) degli anni Trenta e Quaranta con un film basato su equivoci, coincidenze improbabili, imbarazzanti segreti, personaggi assurdi e un ritmo incalzante.
L’attrice Isabella Patterson, detta Izzy, racconta in un’intervista gli esordi della sua carriera in teatro, a Broadway. Attraverso lunghi flash-back la ragazza evoca l’incontro con il regista Arnold Albertson che, indirettamente, segnerà il suo destino. Arnold viaggia spesso per lavoro e conduce una vita tra alberghi di lusso e squillo, nonostante sia sposato con l’attrice Delta Simmons e abbia due figli. Quando soggiorna a New York, Arnold si affida a un’agenzia di prostitute, che gli procura ogni volta una ragazza diversa. Il regista si trova nella Grande Mela per fare un casting alla ricerca di un’attrice per la sua nuova pièce teatrale a Broadway e, anche questa volta, non esita a contattare la maîtresse, che gli manda in albergo una giovane squillo. Si tratta di Izzy, una ragazza di umili origini e aspirante attrice che arrotonda facendo la prostituta per ricchi clienti.
Arnold, presentandosi con un falso nome e ben lungi dal rivelarle che è un regista, dopo una notte passata con la ragazza, le offre trentamila dollari se in cambio smetterà di fare la prostituta e si dedicherà seriamente a diventare un’attrice. Izzy accetta i soldi e mantiene la promessa, mentre le loro strade si dividono.
Il destino li farà presto ritrovare in teatro durante le audizioni: Izzy ottiene un provino proprio per la nuova pièce di Arnold, nella quale recitano anche sua moglie Delta e Ryhs Ifans, con cui Delta ha avuto una relazione extra coniugale anni addietro e il quale ha colto sul fatto Arnold e Izzy in hotel. Nonostante la riluttanza di Arnold, Izzy ottiene la parte. La situazione si complica ulteriormente quando lo sceneggiatore dell’opera, fidanzato con Jane, si innamora di Izzy. Jane è una terapeuta nevrotica e svitata e tra i pazienti che ha in cura c’è anche il giudice Pendergast, cliente abituale dell’agenzia di squillo e così ossessionato da Izzy da assumere un improbabile investigatore privato per seguirla.
Mentre il film si sviluppa e le vicende si evolvono, cresce anche l’intreccio di relazioni e segreti che legano con un invisibile fil rouge tutti i personaggi, destinati a incontrarsi in un incontro / scontro in cui la miccia innescata dai tradimenti farà esplodere la bomba.
Il film, di primo impatto, può sembrare banale e scontato perché sfrutta canoni narrativi visti e rivisti nelle commedie degli equivoci. Tuttavia, i rimandi meta-cinematografici in esso presenti sono numerosi. Innanzitutto, il richiamo all’arte come vita e alla vita come arte: arte e vita si incontrano e si mescolano, confondendosi (ad esempio, Izzy che fa un provino per il ruolo di prostituta nella pièce di Arnold), rimescolando le carte in tavola e rinegoziando le relazioni sentimentali. Questo aspetto, unitamente alla colonna sonora dal sapore jazz, richiamano molto i film di Woody Allen.
Altro rimando alla storia del cinema è la frase con cui Arnold conquista le ragazze e fa colpo sulle squillo: una frase divertente che definisce la felicità con una metafora a proposito di scoiattoli e nocciole, che in realtà è presa dal fil Fra le sue braccia (1946) di Lubitsch.
Un altro aspetto ricco di rimandi al meta-cinema presente nel film di Bogdanovich è l’incontro tra Broadway e Hollywood. Da sempre, nell’immaginario collettivo e nella storia, Broadway rappresenta il teatro, focalizzato sulla recitazione mimica e la performance “dal vivo”, mentre Hollywood è simbolo del cinema e della recitazione del divo sul “grande schermo”. Notoriamente, la crisi e il declino di Broadway e del teatro nei primi decenni del Novecento furono causati dell’ascesa del cinema e dello star system di Hollywood, ponendo così le due realtà sul piano dell’antagonismo. Ebbene, in Tutto può accadere a Broadway si assiste alla contaminazione di cinema, che è il veicolo dell’opera di Bogdanovich, e teatro, che è il set del film e nel quale star hollywoodiane (come Owen Wilson e Jennifer Aniston) recitano. Un incrocio di rimandi tra cinema e teatro che si snodano lungo tutto il film, richiamando a tratti la messa in scena teatrale e cinematografica di Birdman del regista Iñárritu (del quale trovate la recensione qui).
Insomma, il film Tutto può accadere a Broadway è sicuramente una commedia divertente e ben riuscita che, ad attenta analisi, risulta molto più di quanto appare.
 

venerdì 30 ottobre 2015

Trainspotting di Irvine Welsh, ritratto di una gioventù bruciata



Ho avuto la fortuna di leggere Trainspotting di Irvine Welsh da adolescente. Avere questo romanzo tra le mani è stato per me illuminante perché mi ha permesso di conoscere un filone alternativo alla narrativa ordinaria – e spesso banale – che si legge solitamente. Il romanzo, pubblicato nel 1993, è una finestra che si apre su un mondo fatto di storie cruenti, realistiche e grezze; storie di persone povere, spesso ignoranti, annoiate ma non per questo prive di sentimenti.
Dal romanzo è stato tratto l’omonimo film, diretto da Danny Boyle e uscito nel 1996, che vanta una colonna sonora all’altezza delle grandi aspettative, grazie a Iggy Pop, Damon Albarn, Lou Reed e Underworld, che ben si adatta alle atmosfere cupe e a tratti esilaranti della storia (esattamente come gli alti e bassi di un tossicodipendente).
Irvine Welsh, scrittore scozzese che ha vissuto in prima persona la rivoluzione punk nella Londra di fine anni Settanta e la sperimentazione delle droghe sintetiche, riversa nel romanzo il suo background fatto di esperienze illegali, risse, violenza, tifo calcistico sfrenato, povertà e disoccupazione nella Edimburgo degli anni Ottanta. 
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domenica 25 ottobre 2015

Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve, come sentirsi giovani a cento anni


Per la rivista Libreriamo oggi vi racconto di Allan Karlsson, lo stravagante protagonista centenario del romanzo Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve scritto dall’autore svedese Jonas Jonasson e pubblicato nel 2009. Dal romanzo è stato tratto un film, dall’omonimo titolo, diretto da Felix Herngren e uscito nel 2013.
Attraverso una moltitudine di avventure inverosimili che Allan vive alla veneranda età di cento anni, Jonasson trasmette ai lettori un messaggio positivo: la vita è sorprendente, in ogni momento, e bisogna vivere ogni esperienza come fosse un’avventura che permette di fare nuove conoscenze e intrecciare rapporti inaspettati, di amicizia e di amore, anche a cento anni.
Se volete sapere cosa succede ad Allan e cosa rivela il suo inaspettato passato, cliccate qui e lo scoprirete...
 

martedì 13 ottobre 2015

Dal libro al cinema, la saga di Malaussène di Daniel Pennac



Mi obbligarono a leggere La fata carabina (1987) – in lingua francese, per giunta – per i compiti delle vacanze estive al liceo. Nonostante la copia in italiano che avevo letto al posto di quella in lingua originale, all’età di quindici anni capii ben poco dello stile e del linguaggio di Daniel Pennac. Un po’ perché ero poco predisposta verso i libri letti “per forza” a scuola e un po’ perché trovai il romanzo strano e poco comprensibile. Fortuna vuole che, terminato il liceo, l’autore, nella sua stranezza, mi avesse così colpita che decisi di leggere di mia iniziativa il primo romanzo del cosiddetto “Ciclo di Malaussène”, ovvero Il paradiso degli orchi (1985). E lì fu amore: fui folgorata dallo stile eclettico e tagliente di Pennac e mi procurai tutti i romanzi della saga Malaussène e me li lessi tutti d’un fiato. Mi innamorai all’istante delle storie incredibili narrate da Pennac e di ogni singolo, strampalato personaggio. 
Per continuare a leggere l'articolo che ho scritto per la rivista Libreriamo, cliccate qui...

giovedì 1 ottobre 2015

Pet Sematary, Stephen King indaga l’animo umano più oscuro



Pet Sematary è un romanzo horror scritto da Stephen King e pubblicato nel 1983. Il romanzo può anche essere definito come gotico per le ambientazioni cupe e inquietanti (come il cimitero e il bosco di notte), le presenze demoniache (come il Wendigo, figura demoniaca mitologica dei Nativi Americani Algonchino) e lo sdoppiamento della personalità del protagonista, diviso tra il bene e il male. Dal romanzo è anche stato tratto un film, con omonimo titolo, uscito nel 1989 e nel quale compare anche lo stesso Stephen King in un cammeo.
Ancora una volta, Stephen King, oltre che genio della suspance, in questo romanzo dalle tinte gotiche si rivela anche un grande indagatore dell’animo umano e del suo lato più oscuro. Per leggere l’articolo completo, che ho scritto per la rivista Libreriamo, cliccate qui...

martedì 22 settembre 2015

Bridget Jones, la parabola discendente della donna moderna



Bridget Jones è la single per eccellenza. La trentenne che combatte con la bilancia e il vizio del fumo e che non riesce a trovare un fidanzato è nota a tutti, non solo ai lettori, grazie alla trasposizione cinematografica dei romanzi di Helen Fielding Il diario di Bridget Jones (1996) e Che pasticcio, Bridget Jones! (1999).
Il successo dei film ha spinto l’autrice a scrivere anche un terzo romanzo, dal titolo Bridget Jones, un amore di ragazzo (2013), per completare la saga della single più amata dai lettori del genere “chick lit”, letteralmente “letteratura per pollastrelle”, che comprende tutti quei romanzi d’amore destinati a un target femminile.
I tre libri sono indubbiamente romanzi di svago e di facile lettura, si leggono in breve tempo e sono anche divertenti, grazie alle imprese tragicomiche di cui la buffa e impacciata Bridget è protagonista.
I tre romanzi seguono la vita di Bridget attraverso gli anni, che da donna single prima si fidanza e poi diventa madre. Ebbene sì, anche Bridget Jones riesce nella titanica impresa di sposarsi e avere dei figli con l’amato Mark Darcy, anche se non mancano colpi di scena e brutte sorprese per i fan della coppia Bridget-Mark.
E tuttavia, da questi romanzi ho tratto spunto per riflettere sulle aspettative che la società moderna riversa sulla donna, che pare debba seguire l’iter predefinito di fidanzamento – matrimonio – maternità. Se la donna non segue questo percorso, gli altri la compatiscono e la giudicano, dietro un malcelato sorrisetto di convenienza, come un essere egoista che sta sprecando il poco tempo che le rimane del suo orologio biologico.
Per leggere l’articolo completo che ho scritto per la rivista Libreriamo, cliccate qui...

mercoledì 16 settembre 2015

MIA MADRE


con Nanni Moretti, Margherita Buy, Giulia Lazzarini e John Turturro
di Nanni Moretti
Italia, 2015

Nanni Moretti, regista e interprete di Mia madre, porta sul grande schermo un film intenso e drammatico che, nella sua (apparente) semplicità, proietta lo spettatore in scene di vita quotidiana vissute da molti: la consapevolezza dell’imminente morte di un genitore, ormai malato e senza speranza di guarigione, e la rabbia che scaturisce dinnanzi alla sofferenza del proprio caro e il sentirsi impotenti di fronte a tutto ciò.
Margherita, donna divorziata e madre, è una regista romana che sta girando un film corale sugli scioperi condotti dagli operai di una fabbrica che è stata venduta a un americano, che minaccia tagli e licenziamenti. Le riprese sembrano procedere tra alti e bassi: Margherita non è mai soddisfatta delle scene girate, manifesta molti dubbi su ogni minimo dettaglio e deve gestire il pretenzioso attore italoamericano che interpreta il ruolo del nuovo proprietario.
Come se non bastasse, Margherita ha appena lasciato il suo amante e deve seguire la figlia adolescente, a cui non piace studiare. Le riprese del film, già di per sé difficoltose, procedono a rilento anche perché Margherita, appena può, si reca in ospedale in visita alla madre Ada, malata di cuore. Ad aiutarla c’è Giovanni, il fratello ingegnere, che ha deciso di prendere un’aspettativa dal lavoro per stare accanto alla madre.
Tra i due è Giovanni quello che riesce a gestire meglio la delicata situazione, a mantenere la calma dinnanzi agli implacabili verdetti dei medici e ad avere ben chiaro cosa succederà alla madre. Margherita invece non vuole accettare l’idea del destino della madre e la sua rabbia e frustrazione si riversano nella vita privata – per quel poco che ne ha – e sul lavoro finché, dopo una chiacchierata con l’ex amante, prendere consapevolezza dei suoi limiti e dei suoi errori.
Margherita si muove tra sogno, incubo e realtà, in un intreccio di scene oniriche irreali interrotte da bruschi risvegli. Perché il sonno spesso prende il sopravvento, soprattutto quando passi tutto il tempo libero in ospedale a vegliare il genitore malato, con l’intento di esorcizzare la sua morte nella speranza che, finché sei lì accanto, non potrà succedergli nulla. E poi, il peso di dover affrontare amici, parenti e conoscenti del malato e dire loro che sta bene, che presto guarirà e con queste medesime parole rassicurare anche il malato stesso, avere la forza di guardalo negli occhi e dirgli che tutto si risolverà per il meglio e che presto potrà fare ritorno a casa. Con la consapevolezza però che, quando viene dimesso e riportato a casa, è perché ormai non c’è più niente da fare.
I temi della malattia e della morte di un genitore non sono gli unici affrontati da Moretti in questo film. Questo è infatti un film che racconta del cinema, il film nel film. Sono molte le sequenze in cui Margherita è sul set e che ci illustrano come viene girato un film, i trucchi del mestiere e il lavoro della troupe. Una mise en abîme di cinema nel cinema e di metalinguaggio cinematografico, ma anche personale, perché si riferisce anche al regista stesso, ovvero Nanni Moretti/regista che compare nel film nei panni di Giovanni/attore e che è rappresentato nel film da Margherita /regista, interpretata da Margherita Buy/attrice. Insomma, un complicato sistema di realtà nella realtà, di finzione nella realtà e di realtà nella finzione.
Nanni Moretti ci lascia un film molto forte e quasi crudele, che risveglia nello spettatore emozioni forti nel ripercorre l’iter della malattia di un genitore: il ricovero in ospedale, l’incredulità che lascia poi spazio alla rassegnazione, l’impotenza dinnanzi ai verdetti dei dottori, i ricordi di una vita passata a litigare con il genitore e il pentirsi di non aver trascorso con lui abbastanza tempo. 
Perché ognuno di noi, salvo eccezioni, potrebbe essere o è stato Giovanni e Margherita.
 


domenica 30 agosto 2015

Chelsea Hotel, lo storico albergo di New York che racconta decenni di cultura americana


Per la rivista Libreriamo, oggi vi racconto del Chelsea Hotel, uno dei più famosi alberghi di New York (e dell’intera America). Esso deve la sua fama ai celebri personaggi che in passato, tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, l’hanno frequentato. Scrittori, artisti, registi, attori e musicisti hanno abitato le stanze di questo palazzo e qui, alcuni di loro, hanno dato vita alle loro opere più famose, mentre altri vi hanno trovato la morte.
Costruito tra il 1883 e il 1885, a partire dagli anni Cinquanta diventa meta fissa di Jack Kerouac (che in una delle stanze scrisse On the Road) e di William Burroughs, Gregory Corso e Allen Ginsberg, insomma i massimi esponenti della Beat Generation. Ma anche molti altri noti scrittori soggiornarono nelle squallide camere del Chelsea Hotel: Mark Twain, Arthur Clarke, Leonard Cohen, Arthur Miller (il quale vi si rifugiò dopo la rottura con Marilyn Monroe), Gore Vidal, Tennessee Williams, Simone de Beauvoir, Jean-Paul Sartre, Thomas Wolfe e Charles Bukowski, sono solo alcuni.
L'hotel è anche stato meta, soprattutto negli anni Sessanta, di celebri rock star (tra cui Patti Smith, Iggy Pop, Édith Piaf, Bob Dylan, Alice Cooper, Janis Joplin, Pink Floyd, Jimi Hendrix, Peter Walker, Sid Vicious, Leonard Choen) e di artisti quali Andy Warhol e Jackson Pollock.
Il Chelsea Hotel, avvolto da un'aurea bohémien, è tuttavia attorniato anche da un alone di mistero, dovuto a diverse morti e suicidi avvenuti in passato nelle sue stanze. Il più famoso è certamente l'omicidio di Nancy Spungen, avvenuto nel 1978, per opera di Sid Vicious, il cantante del gruppo punk Sex Pistols.
Per continuare la lettura dell'articolo e scoprire altre curiosità sul Chelsea Hotel, cliccate qui...

sabato 8 agosto 2015

Sicilia, un viaggio tra gli scrittori e i registi che l'hanno raccontata



Ispirata dall’imminente viaggio che farò in Sicilia, per la rivista Libreriamo vi racconto di alcuni tra i più importanti scrittori e registi che hanno raccontato con le loro opere questa terra meravigliosa.
Ho riscoperto i romanzi di Giovanni Verga, Luigi Pirandello e Leonardo Sciascia, grandi autori siciliani che hanno segnato il panorama della letteratura italiana.
Ho rievocato registi quali Giuseppe Tornatore e Marco Tullio Giordana e i loro capolavori cinematografici: Baarìa, Nuovo Cinema Paradiso e I cento passi.
Ovviamente questi sono solo alcuni nomi di scrittori e artisti che ci hanno raccontato della Sicilia; ve ne sono sicuramente tantissimi altri e in questo spazio limitato vi parlo dei miei preferiti.
Per l’articolo completo cliccate qui

venerdì 31 luglio 2015

The Help, storia di una rivincita afroamericana




Un nuovo appuntamento con la rivista Libreriamo: oggi per voi recensisco il romanzo The Help di Kathryn Stockett, dal quale è stato tratto l’omonimo film vincitore di un Oscar.
The Help è la storia di un gruppo di domestiche afroamericane, che vivono in una piccola cittadina bigotta nell’America degli anni Sessanta e che sono costrette a subire ogni angheria e sopruso dalle “padrone” bianche, e di Skeeter, una brillante giovane ragazza bianca, che le aiuterà a denunciare i soprusi subiti. Si tratterà di una piccola ma altrettanto significativa rivincita per queste donne e, soprattutto, di un grande atto di coraggio: in quegli anni gli afroamericani, segregati a causa delle leggi razziali, potevano essere liberamente uccisi dai bianchi o incorrere nelle persecuzioni del temibile Ku Klux Klan.
Per leggere la storia di Skeeter, Aibileen e Minny, cliccate qui...

mercoledì 22 luglio 2015

A sangue freddo, apice e declino di Truman Capote




Eccoci con un altro appuntamento in collaborazione con la rivista Libreriamo.
Oggi vi racconto del romanzo-reportage A sangue freddo, l’opera che ha consacrato Truman Capote nell’olimpo degli scrittori più famosi di sempre in America ma che, paradossalmente, lo ha spinto a vedere la propria vita in un’altra prospettiva, cambiandola per sempre.
A sangue freddo è un’opera di commistione di generi (letterario e giornalistico), che racconta le vicende di un fatto di cronaca nera, il massacro di una famiglia di contadini nelle campagne del Kansas. Accorso sul posto per scriverne un articolo, Truman Capote ne realizzerà un’autentica pietra miliare di un nuovo genere: il romanzo-reportage. Lavorare a stretto contatto per sei anni con gli assassini catturati dalla polizia, cambierà per sempre la visione di Capote della società americana, accorgendosi che il mondo patinato che tanto ha amato frequentare non è altro che un mondo bigotto e retrogrado. Per saperne di più, continuate la lettura cliccando qui...

martedì 21 luglio 2015

Gary Rydstrom, l’uomo dai mille effetti sonori di Jurassic Park



 


Alzi la mano chi non ha mai visto almeno una volta il film Jurassic Park di Steven Spielberg. Se rientrate tra coloro che non l’hanno mai visto, avrete comunque sicuramente sentito dei dinosauri, i veri protagonisti del film. Già, “sentito” è la parola giusta: il ruggito possente del T-rex e le grida furiose dei velociraptor sono entrati nella storia degli effetti sonori del cinema americano. Il sound designer – ovvero colui che ha creato i versi di questi spaventosi rettili – è Gary Rydstrom, il mago degli effetti speciali del suono di Hollywood.
Rydstrom ha vinto ben sette premi Oscar per il miglior montaggio sonoro e i suoi capolavori del suono sono presenti in molti film: Indiana Jones e il tempio maledetto (1984), Balle spaziali (1987), Ghostbusters II (1989), Terminator II (1990), Fuoco assassino (1991), Jurassic Park (1993), Toy Story (1995), Titanic (1997), Salvate il soldato Ryan (1998) e Alla ricerca di Nemo (2003).
Tra tutti i film per i quali Gary Rydstrom ha lavorato, certamente Jurassic Park è quello che gli ha permesso di dare libero sfogo alla sua vena creativa. Prima di svelare come Gary abbia fatto a creare i versi dei dinosauri, ecco una sintesi della trama del film: siamo su Isla Nublar, a qualche chilometro dalla Costa Rica, insieme a John Hammond, eccentrico miliardario che vuole aprire un parco a tema con dinosauri. Ma non dinosauri finti, bensì veri. Il suo team di esperti è infatti riuscito a trovare il modo di clonare questi enormi rettili, i cui embrioni fanno gola alla concorrenza. Hammond chiama sull’isola una coppia di paleontologi e un matematico affinché diano un giudizio positivo ai lavori in corso (ci sono già dei dinosauri adulti: alcuni, i più innocui, sono liberi di girare sull’isola; altri, come il T-rex e i velociraptor vivono confinati in zone recitante) in modo da convincere i finanziatori che il progetto procede per il meglio. In realtà, sta per succedere il peggio: un sabotatore, inviato dalla concorrenza per rubare gli embrioni, causerà un black out totale sull’isola, permettendo così ai dinosauri più violenti di uscire dalle recinzioni. I paleontologi e il matematico, insieme ai nipotini di Hammond, si troveranno così nel parco inseguiti da T-rex e velociraptor in un’emozionante fuga per la sopravvivenza.
Il lavoro di Gary Rydstrom per la realizzazione dei versi dei dinosauri si è articolato principalmente in due fasi: una prima parte di registrazione sul campo dei versi di numerose specie di animali e una seconda parte, in studio, per selezionare e unire i suoni campionati.
Gary, in una lunga intervista che trovate cliccando qui, racconta delle peripezie che ha dovuto affrontare per registrare i versi di ogni sorta di animale. Lui e il suo assistente, Chris Boyes, hanno girato fattorie, zoo, acquari, riserve naturali e negozi di animali in tutta l’America per campionare il più alto numero di suoni. Hanno così raccolto i versi di tigri, leoni, tartarughe in amore, balene, coccodrilli, cavalli, cani, delfini ed elefanti.
Raccolti tutti questi suoni e senza ancora avere un’idea di come utilizzarli, Gary è passato alla fase successiva, ovvero la selezione e l’unione dei suoni. Un lavoro alquanto difficile, che richiede una certa creatività nell’ottenere dei suoni armoniosi e credibili. Ed ecco che dall’unione di suoni a bassa frequenza quali il ruggito di un leone e di una tigre e il verso di un coccodrillo, e il suono ad alta frequenza del barrito di un cucciolo di elefante, prende vita il verso del temibile T-rex. Il suo respiro è invece costituito dallo sfiato della balena, mentre il rumore prodotto quando divora l’avvocato è dato dal ruminare di un cavallo che mangia una pannocchia, unitamente al rumore del cane di Gary che sgranocchia un giocattolo.
Grande lavoro e maestria anche per ottenere i versi del velociraptor: per la scena dell’inseguimento nella cucina, l’ira del velociraptor è data dal verso emesso da due tartarughe che si accoppiano; per ricreare il suo respiro è stato usato il rumore di un cavallo affamato, mentre per simulare il suono del rettile all’attacco è stato usato il verso del delfino.
Un lavoro lungo e laborioso quello di Gary Rydstrom e del suo assistente, che hanno avuto incontri ravvicinati con animali di ogni specie, anche le più temibili, come leoni, coccodrilli e tigri, ma che ha permesso al film di vincere tre Oscar (miglior sonoro, miglior montaggio sonoro, oltre a quello per migliori effetti speciali).

mercoledì 8 luglio 2015

Animali nella letteratura, ecco cosa hanno da insegnarci



Ecco il mio nuovo articolo per la rivista Libreriamo. Oggi vi racconto di storie incredibili i cui protagonisti sono gli animali, che hanno molto da insegnare a noi umani.
Sono molti gli autori che hanno scelto gli animali più diversi per raccontare diversi tipi di storie. Storie di amicizia come quella tra la volpe e il piccolo principe nel romanzo Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry. Oppure lo speciale rapporto che c'è tra il gatto Zorba e la gabbianella Fortunata di cui il felino si prende cura come fosse una mamma e che ci narra Luis Sepúlveda in Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare. Dello stesso autore vi è anche Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico, in cui i protagonisti sono un gatto cieco, Mix, e un topolino, Mex.
Ancora, di amicizia ne parla Daniel Pennac nel racconto Ernest e Celestine. Un orso il primo, una topolina la seconda, ci insegnano che l'amicizia tra specie diverse è possibile.
Infine, gli animali utilizzati per rappresentare l'allegoria della società umana corrotta con George Orwell nel romanzo La fattoria degli animali: gli animali si ribellano al padrone e stabiliscono il comando nella fattoria, diventando tuttavia loro stessi corrotti quanto l'uomo.
Trovare l'articolo completo cliccando qui...

mercoledì 1 luglio 2015

Thelma & Louise: in fuga verso l’emancipazione





Ecco il mio secondo articolo pubblicato sulla rivista Libreriamo. Oggi vi racconto di Thelma & Louise, il film di Ridley Scott uscito nel 1991 e vincitore di un premio Oscar.
Nella storia del cinema Thelma & Louise è ormai un vero cult movie, simbolo cinematografico dell’emancipazione femminile. Certo, all’epoca dell’uscita del film non mancarono le critiche, ma resta il fatto che sia uno splendido film grazie all’indimenticabile interpretazione di Geena Davis (Thelma) e Susan Sarandon (Louise).
Per sapere la storia della fuga di queste due amiche a bordo di una Ford Thunderbird attraverso gli Stati più polverosi e solitari dell’America, non dovere fare altro che cliccare qui per leggere l'articolo...