lunedì 12 marzo 2018

LA FORMA DELL'ACQUA




di Guillermo Del Toro
2017

In un mondo di apparenza e superficialità, il film di Guillermo Del Toro ci ricorda che, per fortuna, il vero amore – quello fatto di empatia, sacrificio e sincerità – esiste ancora.
La forma dell'acqua si va ad aggiungere alla mia lista di film preferiti sull'amore, accanto alle storie di Eternal Sunshine of the Spotless Mind (2004, di Michel Gondry) e I segreti di Brokeback Mountain (2006, Ang Lee).
Non mi era mai capitato di “tifare” per la vittoria di una pellicola agli Academy Awards, ma questa volta sono stata felice di sapere che il film ha vinto quattro dei tredici Oscar per cui era nominato: miglior film, miglior regista, migliore colonna sonora originale e miglior sceneggiatura.
Sin dalla prima scena – che in pochi secondi ci guida dalle profondità marine fino a un appartamento in città – lo spettatore è catturato dalla magia onirica della storia (e capisce subito che non sarà un film convenzionale!).
In un'atmosfera ovattata che evoca Il favoloso mondo di Amélie (2001, Jean-Pierre Jeunet), conosciamo Elisa Esposito, una donna muta (e qui mi permetto di fare un plauso al regista che ha scelto un'attrice, Sally Hawkins, di straordinaria bravura che non rientra nei canoni della giovane bellezza hollywoodiana, ma non per questo meno affascinante) che vive in solitudine nel suo appartamento a Baltimora.
Siamo nel 1962, nel pieno della Guerra fredda, e nell'aria si respira l'astio degli americani per i russi nella corsa alle conquiste spaziali. Lo sa bene Elisa, che lavora di notte come inserviente in una grande struttura governativa in cui scienziati e militari eseguono esperimenti e ricerche per la potenza americana.
In una sequenza di rituali che ogni giorno si ripetono allo stesso modo, entriamo nella vita di Elisa seguendola dalla notte, quando si sveglia e si prepara per recarsi al lavoro, al giorno, momento in cui rincasa e torna a dormire.
La monotonia della donna è spezzata dagli unici amici che ha: Zelda, una loquace collega di lavoro, e Giles, il suo vicino di casa. Con questi due personaggi (interpretati rispettivamente da Octavia Spencer e Richard Jenkins ed entrambi candidati all'Oscar come miglior attrice e attore non protagonisti) il regista evidenzia due temi di attualità e molto sentiti oggi come nell'America degli anni Sessanta in cui è ambientata la storia: la discriminazione etnica e l'omosessualità.
Zelda, infatti, è una esuberante donna afroamericana in eterna lotta con il marito fannullone, mentre Giles è un pittore gay con il cuore a pezzi. Entrambi sono ritenuti “inferiori” e “diversi”dal resto della società e, a mio avviso, c'è un personaggio che seppur secondario – praticamente una comparsa – incarna perfettamente il clima xenofobo e omofobo dell'epoca: si tratta del ragazzo che gestisce una tavola calda e di cui Giles è segretamente innamorato. In un'unica scena Guillermo Del Toro dà vita alle peggiori paure di un americano bianco bigotto: Giles si dichiara al ragazzo accarezzandogli la mano, mentre nel locale per soli bianchi (siamo ancora nell'epoca della segregazione razziale) entra una coppia nera. Il terrore sul volto del ragazzo è impagabile.
Tuttavia, anche la stessa Elisa è ritenuta “diversa”: una donna non completa a causa del suo mutismo causato dalla recisione delle corde vocali che ha subìto da neonata, prima di essere abbandonata.
In forte contrapposizione a questi personaggi spicca l'antagonista, il crudele colonnello Richard Strickland, l'incarnazione dell'americano vincente: un lavoro di successo nell'esercito, un carattere competitivo, una bella casa in periferia, in cui ogni giorno lo attende la perfetta mogliettina con due adorabili bambini.
Suo malgrado, Elisa si troverà a fare i conti con Strickland, chiamato per un'operazione top-secret presso la società governativa in cui la donna lavora. Elisa scopre che in uno dei laboratori è segregata una strana creatura anfibia antropomorfa, ritrovata nell'Amazzonia, dove era venerata come una divinità. La creatura è vittima di torture e umiliazioni da parte di Strickland, che vuole carpirne i poteri per sfruttarli conto i comunisti.
La creatura, che cerca di proteggersi dagli scienziati con la forza, sarà avvicinata con garbo e comprensione da Elisa. La donna, intrufolandosi nel laboratorio ogni giorno, inizia a intessere un rapporto speciale con l'uomo-anfibio, insegnandogli il linguaggio dei segni per comunicare.
La vita di Elisa sembra volgere al meglio, poiché si scopre innamorata della creatura: due esseri derisi e considerati inferiori per le loro diversità, che si trovano e comprendono grazie al linguaggio universale dell'amore.
La favola però è destinata a interrompersi bruscamente quando Elisa scopre che Strickland vuole uccidere la creatura per vivisezionarla. La donna coinvolge quindi Zelda e Giles in un piano dagli esiti incerti per salvare la creatura.
Una storia mozzafiato – in cui i destini dei personaggi si scontrano nella lotta tra buoni e cattivi (come ci insegnano i film di Steven Spielberg) e dal finale piacevolmente inaspettato – immersa in un'atmosfera onirica in cui il filo conduttore è l'acqua, elemento di vita e sopravvivenza.