mercoledì 25 ottobre 2017

DUNKIRK



di Christopher Nolan
USA, UK e Francia 2017


Era da molto che non mi capitava di gustare un film che mi tenesse incollata allo schermo dal primo all'ultimo istante. Ebbene, con Dunkirk sono stata accontentata: ci si ritrova col fiato sospeso sulla spiaggia di Dunkerque (al confine tra Francia e Belgio) a combattere a fianco dei soldati coinvolti nella “operazione Dynamo”, sperando fino alla fine che non muoiano.
Siamo nel 1940, in piena Seconda Guerra Mondiale, e le forze alleate – inglesi, francesi e belgi – sono reduci dalla sconfitta della battaglia di Dunkerque. I soldati si trovano intrappolati dai tedeschi, stipati sulla costa francese e senza via di fuga. L'unica soluzione per portare in salvo le truppe alleate è via mare: per questo motivo la Royal Navy (la Marina britannica) chiede ai civili in possesso di qualunque tipo di imbarcazione di attraversare il mare verso la costa di Dunkerque per imbarcare quanti più militari da portare in Inghilterra. L'esercito inglese sceglie di rivolgersi ai civili e non utilizzare le navi da guerra per lasciare queste ultime a guardia delle coste inglesi, poiché si teme un'avanzata tedesca via mare con attacco diretto all'Inghilterra.
La difficile evacuazione avrà luogo tra il 27 maggio e il 4 giugno, in un susseguirsi di difficoltà dovute ai bombardamenti tedeschi via cielo, che sganciano bombe sulle migliaia di soldati in addiaccio sulla spiaggia e sulle imbarcazioni che cercano di portarli in salvo.
La missione sembra impossibile: ci sono 338.226 uomini da portare oltremanica. Sembra anche impossibile raccontare tutto questo in meno di due ore di pellicola, eppure Nolan ci riesce alla perfezione, attraverso una sceneggiatura brevissima, poiché quasi priva di dialogo, e costituita per lo più dall'azione. Le immagini e i gesti dei personaggi guidano la storia, che si sviluppa in tre filoni, senza un vero e proprio protagonista unico.
Il primo filone è “Terra”: l'azione dura una settimana, ovvero la durata dell'intera evacuazione. Il soldato Tommy, unico sopravvissuto della sua truppa, spera di imbarcarsi dalla spiaggia, cercando di guadagnarsi un posto su una barca. L'impresa è difficile, poiché ogni soldato, spinto dall'istinto di sopravvivenza, pensa a se stesso e alla stretta cerchia dei compagni. Oltre a ciò, Tommy dovrà anche far fronte ai bombardamenti, che non solo mettono a repentaglio la vita di chi è in spiaggia, ma anche di chi si trova sulle navi che vengono sistematicamente affondate, trascinando in fondo al mare centinaia di uomini.
Il secondo filone è “Mare”, elemento naturale protagonista dell'intero film. In questo episodio, in cui l'azione si estende all'intera giornata, seguiamo le vicende del signor Dawson, un civile inglese che parte dal Dorset (a sud del Regno Unito) con la sua imbarcazione, portando con sé il figlio Peter e l'amico George. Totalmente impreparati agli orrori della guerra, il trio salverà alcuni soldati raccogliendoli dal mare. Avranno modo di vedere direttamente sulla pelle dei superstiti gli effetti, non solo fisici, ma anche psicologici, lasciati dalla battaglia.
L'ultimo filone, la cui storia dura un'ora, è “Aria”: la guerra si combatte anche via cielo, a bordo dei Supermarine Spitfire. A bordo dei caccia monoposto, i piloti Collins e Farrier cercano di contrastare gli aerei nemici con manovre spettacolari ad alta quota. I due rappresentano l'opposto dei soldati spiaggiati a Dunkerque: questi ultimi sono sporchi, affamati e sconvolti dai combattimenti faccia a faccia col nemico e sono pronti a uccidere per avere un posto per il rimpatrio; i piloti, invece, appaiono spavaldi e abili, quasi eleganti nelle loro uniformi e, forse, ignari della lotta alla sopravvivenza che avviene sulla terraferma.
Dunkirk è un film potente, capace di svelare gli aspetti più bassi della natura umana in guerra. Molto diverso dai tradizionali film hollywoodiani, in cui i protagonisti lottano per la patria e l'onore da vincitori, l'opera di Nolan mostra uomini – europei, non americani – distrutti dagli eventi e desiderosi di salvarsi la pelle, dopo una clamorosa sconfitta.

lunedì 18 settembre 2017

CAPTAIN FANTASTIC

di Matt Ross
USA, 2016

Mi aspetto sempre molto dalle interpretazioni di Viggo Mortensen, uno degli attori che ultimamente apprezzo molto. Ha interpretato in maniera convincente molti ruoli, dando prova di grande camaleontismo: un padre di famiglia dall'oscura identità in A History of Violence (2005, di David Cronenberg), il padre fondatore della psicoanalisi – ovvero, Sigmund Freud – in A Dangerous Method (2011, sempre di David Cronenberg) e un pluri-tatuato criminale russo in La promessa dell'assassino (2007, nuovamente diretto da David Cronenberg).
E questi sono solo alcuni, tra i miei film preferiti. Anche in Captain Fantastic, Viggo Mortensen si veste di un ruolo assai ambiguo e controverso, non certo da “buono”: interpreta Ben Cash, devoto marito e padre di famiglia di cinque ragazzi sani e intelligenti (Bodevan, Kielyr, Vespyr, Rellian, Zaja e Nai). L'originalità dei nomi dei figli è un indizio della stravaganza che caratterizza questa famiglia, perché quella di Ben non è sicuramente una famiglia “normale”. Per capirlo, basta guardare la prima scena del film: Bodevan, il figlio maggiore, uccide a mani nude un alce nel bel mezzo di un bosco, ammirato dai fratelli e dal padre per aver degnamente concluso la prova del rito di passaggio all'età adulta.
Ebbene, Ben e i figli vivono in una casa-capanna dispersa nel verde dello Stato di Washington, completamente isolati dal resto del mondo. Leslie, la moglie, è ricoverata in ospedale per problemi mentali e Ben si occupa dei figli attraverso un rigido programma educativo, che prevede lo studio – anche per i più piccoli della famiglia – delle opere dei grandi pensatori marxisti e prove fisiche estreme, come scalare una parete di roccia sotto l'acqua (e con una caviglia rotta).
Ben ha le idee molto chiare: il suo obiettivo è preparare i figli ad affrontare i pericoli della vita sottoponendoli a duro esercizio fisico e affinando il loro intelletto. E, tuttavia, questi figli non sanno nemmeno cosa sia la vita al di fuori del bosco: sono capaci di procacciarsi la cena a mani nude e di citare a memoria gli emendamenti della Costituzione americana, ma non si sono mai relazionati con nessuna persona al di fuori della famiglia.
Come prevedibile, ecco che all'improvviso gli eventi conduco a una svolta: Leslie si suicida e Ben e i figli vogliono partecipare al suo funerale, organizzato dai genitori di lei, i quali – sorpresa! – detestano il genero e lo incolpano della malattia e del suicidio della figlia.
Ben si sente pronto ad affrontare i suoceri, che gli hanno proibito di partecipare al funerale, per sottrarre il corpo della moglie e bruciarlo e disperderne le ceneri, come da sue volontà. Così, questo uomo burbero e rigido carica su un pulmino i figli e parte alla volta del Nuovo Messico, attraversando numerosi Paesi e città. Per i cinque ragazzi si tratta di un'avventura avvincente che offre loro l'opportunità di vedere per la prima volta un hamburger, una bottiglia di Coca-Cola, un supermercato e tutti quei luoghi e oggetti simbolo del consumismo americano. Inoltre, il viaggio è per loro un'opportunità per conoscere le persone e relazionarsi con loro.
Il padre, invece, reputa il viaggio un difficile percorso a ostacoli composto da diverse prove da superare, cercando di farlo apparire ai figli come una eccezione alla loro “normalità”. Ben, insomma, inconsciamente teme che questa esperienza possa ammaliare i figli, temendo che possano abbandonare la loro vita frugale nei boschi, attirati dal consumismo e dalle comodità della società.
È in Bodevan, il maggiore, che qualcosa si incrina: dopo aver sperimentato una giornata da adolescente “normale”, innamorandosi di una coetanea, il ragazzo inizia a capire che al di fuori del bosco in cui è relegato c'è un mondo di opportunità (compresa l'università) che lo aspetta e inizia a dubitare sull'operato del padre, che con la sua ferrea educazione gli ha impedito di sapersi relazione con la gente.
Dopo un viaggio avvincente, la famiglia arriva a destinazione e per Ben giunge il momento di affrontare il suocero. La posizione di questi è netta: impedisce a Ben di prendere parte al funerale della moglie e lo minaccia di farlo arrestare e di allontanarlo dai figli. Dai piccoli dettagli si può intuire che la famiglia di Leslie è benestante e, forse, si sia fatta trascinare per amore da Ben nella sua folle impresa di vivere nei boschi, a stretto contatto con la natura. Tutto questo lo si può solo desumere, in quanto è la versione dei genitori della donna. Di Ben, in effetti, non si sa assolutamente nulla: non un indizio, nemmeno un minimo flash-back, che indichi il passato o la storia dell'uomo, la sua vita precedente e cosa lo abbia spinto ad abbandonare la società e vivere isolato.
A questo punto la tensione è all'estremo e Ben sarà costretto a prendere una decisione per salvaguardare il futuro dei figli, reo confesso di non essere stato capace di venire a compromessi e aver dato ai figli una vita equilibrata.
Il film è intenso, le immagini dei paesaggi americani sono stupende, l'interpretazione di Viggo Mortensen è credibilissima (l'attore ha studiato i libri dei grandi filosofi che il suo personaggio osanna), così come quella dei cinque ragazzi, che si sono preparati per le riprese allenandosi in un parco avventura per apprendere le tecniche di sopravvivenza nei boschi.

venerdì 21 luglio 2017

FLORENCE


di Stephen Frears
2016

Tempo d'estate, tempo di cinema all'aperto e di avere quindi la possibilità di recuperare alcuni film che mi sono sfuggiti nella stagione invernale. Uno di questi è proprio Florence, film autobiografico che racconta gli ultimi mesi di vita di Florence Foster Jerkins, ricchissima e generosa mecenate dell'alta società newyorkese della prima metà nel Novecento, convinta di avere – a torto – grandi doti canore.
L'interpretazione della camaleontica Meryl Streep incarna alla perfezione il personaggio di Florence, trasmettendo allo spettatore la personalità complessa – e, solo all'apparenza, frivola – di questa donna. Sin dall'inizio del film si presenta, accanto a Florence, il marito St. Clair Bayfield, interpretato da Hugh Grant.
Ammetto che inizialmente ho faticato non poco a calarmi nella storia e a focalizzarmi sui due come coppia sposata: abituata a vedere lui nei panni dello scapolo incallito e dopo aver visto tantissimi film – anche datati – di lei, è stato difficile superare l'ostacolo di guardarli come “attori” piuttosto che come “personaggi”.
Superato questo primo ostacolo ed entrando nel vivo della storia, sono riuscita ad apprezzare entrambi i protagonisti. Nella prima parte del film, infatti, risulta un po' difficile inquadrare i ruoli di Florence e St. Clair: lei è un'amante della lirica che ha fondato un circolo musicale, il “Verdi Club”, e passa le giornate dividendosi tra il lussuoso appartamento in città, le sale da the e i teatri; lui è un conte inglese senza titolo che si diletta a recitare durante gli eventi esclusivi promossi dalla moglie. I due vivono separati e la sera, dopo il bacio della buona notte, St. Clair esce di casa per dormire in un altro appartamento, in cui condivide il letto con un'altra donna.
La vita dei due sembra una farsa scandita da vizi, rituali quotidiani. Florence sembra una diva avvizzita e St. Clair un cicisbeo pronto a soddisfare ogni suo capriccio, rendendole la quotidianità perfetta e priva di intoppo.
Tuttavia, una volta presa confidenza con i due, si ha la possibilità di conoscerli più a fondo: Florence è una donna tenace che, per superare i limiti della malattia che la affligge, si dedica anima e corpo alla passione per la musica e il canto, mentre St. Clair si prodiga per rendere la vita della moglie perfetta, proteggendola dai pericoli del mondo.
Certo, i due vivono negli agi e nel lusso, eppure dimostrano di essere una coppia solida e devota, soprattutto quando Florence decide di riprendere con le lezioni di canto al fine di esibirsi per i suoi ammiratori della cerchia del Verdi Club. Dopo aver reclutato Cosmé McMonn, un giovane pianista – che inizialmente fatica a inserirsi nella quotidianità di Florence e a capire perché chi la circonda le pianifica una vita perfetta – Florence inzia con disastrose lezioni di canto. È evidente che sia stonata come una campana e, complice le mimiche facciali degli attori, le risate in sala tra gli spettatori del film si susseguono senza sosta. Eppure, Cosmè, inizialmente restio a esibirsi a teatro accompagnando Florence al piano, nota che il pubblico del Verdi Club è totalmente rapito dagli acuti della cantante. Si tratta di stima e affetto per una donna che, nonostante tutto, si impegna assiduamente in quello che crede, o sono le banconote che St. Clair infila nella busta insieme ai biglietti del concerto che fanno applaudire la platea?
La vera Florence Foster Jerkins era consapevole delle risate che si levavano comunque in sala ed era a conoscenza delle recensioni negative sulle sue performance, mentre la Florence del film viene tenuta all'oscuro delle voci maligne, messe a bada a suon di banconote dal marito.
La situazione rischia però di sfuggire al controllo di St. Clair quando Florence, in sua assenza, organizza un concerto in grande stile al Carnegie Hall, per il quale invia centinaia di biglietti omaggio ai soldati delle truppe americane impegnate durante il secondo conflitto mondiale. Al concerto parteciperanno migliaia di persone e per St. Clair sarà ovviamente impossibile esercitare il controllo su di loro.
Il 25 ottobre 1944 Florence salirà sul palco per un'esibizione memorabile che, non senza difficoltà, le permetterà di realizzare il suo sogno di cantante lirica, prima di spegnersi il 26 novembre di quello stesso anno.
La singolare storia di Florence ci insegna che bisogna credere nei propri sogni e, se si deve sognare, bisogna farlo in grande. Certamente il caso di questa donna è raro e supera la normalità – quanti di noi potrebbero permettersi si affittare teatri a New York o pagare un pubblico perché applauda a comando? – eppure, la tenacia di Florence l'ha fatta amare e apprezzare dai suoi seguaci, rendendola immortale nella storia della lirica.



mercoledì 19 luglio 2017

PASTO NUDO

di William S. Burroughs
1959

Quello che ho appena chiuso è uno dei libri più impegnativi che abbia mai letto. Pasto nudo entra di diritto nella mia lista personale di libri “difficili” e al tempo stesso unici e toccanti, facendo compagnia ad Arancia meccanica (1962) di Anthony Burgess, Paura e disgusto a Las Vegas (1971) di Huter S. Thompson, L'innocenza delle caramelle (1954) di Tennessee Williams e Sulla strada (1951) di Jack Kerouac.
E proprio Kerouac avrebbe convinto l'amico Burroughs a pubblicare l'opera, che nasce come un insieme di pensieri deliranti messi nero su bianco. Si dice che Kerouac abbia trovato Burroughs a terra, ricoperto di fogli, in stato di delirio e, una volta lette tutte le pagine, lo abbia convinto a pubblicarle in forma di romanzo.
Nasce così Pasto nudo, un'opera che ha reso immortale Burroughs non solo tra gli autori della cerchia della Beat Generation (che lo hanno eletto a loro padre spirituale) ma anche nell'intera letteratura.
Burroughs, in un post scriptum, spiega il significato del titolo: «Pasto NUDO – l'istante, raggelato, in cui si vede quello che c'è sulla punta della forchetta». Il titolo è stato scelto da Kerouac.
Tra gli amici legati alla Beat Generation, spicca soprattutto Allen Ginsberg, con il quale Burroughs ebbe una relazione. Nonostante la sua aperta omosessualità, l'autore si sposa due volte e ha un figlio. Si sposa una prima volta per fare ottenere un visto a un'amica e una seconda volta con una donna con la quale ha in comune la tossicodipendenza.
Quella di Burroughs non è stata una vita facile: viene allontanato dalla famiglia (che lo ha comunque sempre mantenuto); è costretto a vivere nei tuguri delle grandi città americane in preda al delirio da astinenza per la maggior parte del tempo, senza lavarsi anche per molti mesi di fila e vivendo in una dimensione temporale scandita solo dalla ricerca della prossima dose.
Credo che sia importante soffermarsi sulla condizione di vita di questo scrittore per cercare di capire, per quanto possibile, Pasto Nudo. Il romanzo è infatti un delirio totale in cui l'autore esprime le immagini confuse che popolano la sua mente di tossico. È molto difficile, a tratti frustrante, leggere queste pagine senza capirne totalmente quello che Burroughs racconta. Si è costretti a tornare indietro a rileggere alcuni passi, poiché si è sicuri che ci sia un certo personaggio che compie determinate azioni e poi, all'improvviso, ci si ritrova, senza sapere come, in un'altra situazione.
Come se non bastasse, a dare del filo da torcere anche al lettore più attento c'è anche la tecnica di scrittura definita cut-up: il testo scritto – già di suo delirante – viene fisicamente tagliato e le singole parti vengono quindi mischiate e rimesse insieme in ordine sparso. Il risultato è un testo dalla forma sconnessa e senza logica.
L'impenetrabilità di Burroughs non deve però scoraggiare. Le parole sono poesia e, nonostante si racconti di droga, astinenza, sofferenza e vita di strada, il linguaggio con cui l'autore scrive è così aulico che si scontra con la “bassezza” dei temi trattati. 
Nei momenti di massimo delirio Burroughs racconta di due stati immaginari, Anexia e Terra Libera, in cui la popolazione vive nel degrado in tanti appartamenti-tuguri in cui ricevono visite improvvise dalle autorità e delle forze dell'ordine. La gente vive sotto controllo e sotto stretta osservazione da parte delle forze sociali, controllate da ministeri autoritari, come una sorta di 1984 alla George Orwell. Ma, forse, questo non è il delirio di un tossico, quanto piuttosto una forte critica che l'autore muove alla società americana.
In numerosi punti del romanzo, stupisce molto come al delirio puro si alternino fasi di descrizione lucida per spiegare al lettore le varie tipologie di droghe e gli effetti che hanno sul fisico e sugli organi del corpo. Burroughs, che si è praticamente fumato, sniffato e iniettato qualsiasi tipo di droga e sostanza chimica, spiega, in una lunga nota, anche tutti i tipi di cure che nei decenni ha provato per disintossicarsi.
William Burroughs ha lasciato il segno nella letteratura mondiale, diventando un punto di riferimento, non solo per gli autori a lui contemporanei della Beat Generation, ma anche per quelli successivi. Ha inoltre partecipato come comparsa in un videoclip degli U2 e in alcuni film, come Drugstore Cowboy (1989) di Gus Van Sant (film che ho visto di recente e in cui, ammetto, ho guardato a Burroughs con una sorta di reverenza quando, nella parte finale del film, appare nei panni di un vecchio prete tossicodipendente – ma tu sai che dietro quel nonnino gracile e ingobbito si cela la mente di un folle che ha segnato un'epoca della storia della letteratura).


lunedì 8 maggio 2017

VENIVAMO TUTTE PER MARE

 
di Julie Otsuka
2012

Un libro breve, che nelle sue poche pagine racchiude però decenni di storia ed eventi di cui, personalmente, non ero a conoscenza. Venivamo tutte per mare è un libro intenso e ricco di fatti che racconta le vicende di un gruppo di ragazzine giapponesi giunte per mare nell'America dei primi anni del Novecento.
La grande dote narrativa dell'autrice le permette di raccontare tramite un'unica voce corale una moltitudine di vicende che riguardano numerose ragazze, dando al lettore molti dettagli e informazioni sulla vita di tutte loro, senza tuttavia entrare nei dettagli di nessuna di loro.
Di queste ragazze sappiamo che salpano dal Giappone per raggiungere i loro futuri mariti (che hanno visto solo in fotografia), compatrioti che già vivono e lavorano in America e che hanno, a detta loro, raggiunto già una posizione sociale. Lo sguardo dell'autrice ci permette di cogliere le loro aspettative, le loro emozioni e le loro paure: hanno abbandonato il villaggio natìo per andare in un nuovo continente di cui non conoscono la lingua e le usanze. Nelle loro teste ronzano i consigli delle madri, che le hanno educate all'obbedienza e all'essere docili con i futuri mariti.
Al loro approdo negli Stati Uniti, però, il primo trauma: ad attenderle al porto non ci sono quei bei giovani affermati che hanno rimirato nelle fotografie, bensì uomini consumati dal duro lavoro nei campi e nelle piantagioni che vivono in totale povertà.
Le ragazze non hanno nemmeno il tempo di realizzare che sono state ingannate da famigerate agenzie di matrimonio, che arriva per loro il secondo trauma: un matrimonio lampo e la prima notte di nozze. Poche sono le fortunate andate in sorte a un uomo gentile; la maggior parte di loro viene brutalizzata e portata in un campo di raccolta di frutta o verdura a lavorare senza sosta sotto le direttive di un latifondista, mentre altre vengono impiegate come prostitute e altre ancora condotte in case lussuose per diventare le domestiche di qualche ricca signora “bianca”.
Accanto a loro, uomini di cui non sanno nulla – solo che vivono in povertà – e che lavorano come muli dall'alba al tramonto.
Le condizioni in cui vivono le ragazze condotte nei campi di raccolta sono forse le peggiori: alcune di esse vivono in baracche e altre ancora direttamente sotto gli alberi.
Ed è qui che partoriranno i loro figli, mentre altre saranno rispedite al mittente (ovvero le famiglie in Giappone) poiché non sono in grado di garantire al marito una prole.
Passano gli anni e queste ragazze sono ormai donne. Alcune di loro sono riuscite a trovare un punto di incontro con gli sconosciuti che hanno sposato, altre invece continuano a considerarli tali.
Nel frattempo molte di loro, con fatica e sacrificio, sono riuscite ad aprire una piccola attività con il marito e si sono create una posizione di rispetto nel quartiere degli immigrati, vivendo comunque in maniera morigerata.
Non dimentichiamo che siamo nell'America razzista e intollerante dei primi decenni del Novecento: i giapponesi devono subire gli stessi trattamenti degli afroamericani e di tutte le altre minoranze.
Nonostante le avversità quotidiane cui queste donne forti devono far fronte, tra le difficoltà economiche, la sottomissione ai mariti e la ribellione dei figli ormai grandi che vogliono vivere all'occidentale, molte di loro riescono a costruirsi una vita quasi normale tra lavoro e famiglia.
Eppure, l'imprevisto è sempre dietro l'angolo: questa volta sarà un evento di portata storica a cambiare radicalmente quella vita tanto faticosamente conquistata. Nel dicembre del 1941, durante la Seconda Guerra Mondiale in corso in Europa, l'America viene attaccata dall'esercito giapponese nella battaglia di Pearl Harbor e gli Stati Uniti entrano così in guerra. Da questo momento ogni migrante giapponese stanziato in America, seppur con cittadinanza americana, viene preventivamente deportato in campi di internamento siti per lo più nell'entroterra occidentale.
Anche le famiglie delle protagoniste del romanzo verranno costrette ad abbandonare quanto con fatica erano riuscire a costruire per andare, di nuovo, verso l'ignoto.
Si conclude così un romanzo breve ma denso di storia, che consiglio vivamente a tutti di leggere.



lunedì 10 aprile 2017

LA LA LAND

di Damien Chazelle
USA, 2016

Pluricandidato, pluripremiato, acclamato da tutti e osannato dalla critica. Questo, in poche parole, è il film-musical La La Land. Probabilmente ero una delle poche persone a non averlo ancora visto. Finalmente, anche se un po' in ritardo, ce l'ho fatta anche io!  
Ammetto che il genere del musical non mi attira molto, però pensavo che non fosse possibile, per una che scrive di cinema, non andare a vedere il film che ha fatto incetta di sei Premi Oscar e sette Golden Globe (solo per citare i premi più noti).
Di grande impatto la scena iniziale in cui, da un ingorgo di auto che congestionano le vie di Los Angeles, prende vita una coreografia con più di cento giovani danzerecci e canterini che ballano sui cofani delle macchine.
Ed è in questo ingorgo che ha luogo il primo incontro-scontro dei due protagonisti, Sebastian (Ryan Gosling) e Mia (Emma Stone).
Lui è un giovane pianista jazz che sogna di far rivivere l'epoca d'oro di questo genere musicale, ormai in declino, aprendo un club tutto suo, mentre lei è un'aspirante attrice cinematografica. In attesa di realizzare i rispettivi sogni, Sebastian lavora in un locale dove è costretto a suonare frustranti musiche natalizie, mentre Mia fa la cameriera in un bar all'interno degli studi della Warner Bros, correndo da un provino all'altro in cerca dell'occasione giusta.
Dopo un altro incontro-scontro, tra i due nasce una profonda amicizia che si trasforma in amore. E se, all'inizio, la spinta a realizzare i propri sogni fa da collante alla loro relazione, in seguito sarà invece motivo di incomprensioni e delusioni.
Il culmine della tensione tra la coppia giunge quando Sebastian decide di abbandonare momentaneamente l'idea di aprire un locale per dedicarsi a un tour insieme a un gruppo in cui è costretto a suonare una musica che non gli appartiene, ma che gli permette di avere un lavoro stabile e mettere da parte i soldi per il suo progetto. Inoltre, Mia riceve un brutto colpo quando quasi nessuno si presenta al monologo ideato e interpretato da lei stessa e al quale Sebastian non ha assistito a causa dei continui impegni con il gruppo.
Date le premesse e il genere del musical che solitamente dà una visione edulcorata della realtà, sono rimasta piacevolmente stupita dal finale che si distoglie dal classico lieto fine e nel quale è possibile assistere a una conclusione alternativa della vicenda, se solo i due protagonisti avessero fatto scelte diverse nell'inseguire i propri sogni.
Se si va oltre la visione superficiale di quello che solo all'apparenza è una storia d'amore raccontata tramite un musical, si possono scoprire molte cose interessanti. La prima fra tutte è, senza dubbio, la presenza del metacinema, ovvero del cinema che parla di se stesso in un sistema di rimandi. Non a caso, ad esempio, il proprietario del locale in cui Sebastian suona è interpretato da J.K. Simmons, già diretto da Damien Chazelle in Whiplash (2014), film in cui il tema portante è il jazz e in cui Simmons interpreta uno spietato insegnante di musica.
Inoltre, il richiamo agli Studios in cui la stessa Mia lavora come cameriera e che rappresentano l'emblema del cinema e il punto di arrivo delle aspiranti star. E poi, la scena del balletto della coppia che danza come se fossero Ginger Rogers e Fred Astaire sulla Mullhollan Drive, la celebre strada sulle colline di Hollywood resa ancora più famosa dal regista David Lynch con il suo omonimo film del 2001.
In un film-musical dal sapore nostalgico, Damien Chazelle ci ricorda che Hollywood è spietata e non ammette compromessi per raggiungere i propri obiettivi, nemmeno quelli dell'amore.
P.S. Un plauso a Ryan Gosling che suona il piano senza controfigura.

venerdì 7 aprile 2017

MANCHESTER BY THE SEA

di Kenneth Lonergan
USA, 2016

Film dal sapore amaro e struggente, Manchester by the Sea racconta di vite umane rassegnate e impotenti di fronte alle tragedie familiare.
Il film affronta il tema del dramma personale in cui la vita può affondare, inaspettatamente, da un giorno all'altro, e il senso di colpa con cui si è condannati a vivere.
Non si tratta di un film facile e leggero, ma l'abilità del regista e degli interpreti lo rendono straordinario. Non a caso, il film ha ricevuto numerosi premi, tra cui due Oscar, uno assegnato a Casey Affleck come Migliore attore protagonista e uno a Kenneth Lonergan come Miglior sceneggiatura originale.
Il protagonista, Lee Chandler, vive in solitaria in un seminterrato della periferia di Boston. Si guadagna da vivere lavorando come portiere e tuttofare, anche se il carattere burbero e ostile non sempre si adatta alle esigenze dei clienti e del suo capo. Rissoso e scontroso, Lee si preclude qualsiasi tipo di relazione sociale, passando le serate in solitaria di fronte a una bottiglia di birra. Quasi infastiditi dal suo comportamento, ci si chiede che problemi possa avere.
La risposta non tarda ad arrivare: Lee viene chiamato d'urgenza a Manchester-by-the-Sea, suo paese natale sulla costa del Massachussets, perché il fratello Joe ha avuto un grave attacco di cuore. Inizia così per Lee un calvario di ricordi – tramite flashback – che ci mostrano come si sia ridotto a vivere in solitaria a causa del senso di colpa per aver distrutto la sua famiglia. Scopriamo così che Lee aveva una moglie e tre figli, e che conduceva una vita normale in un pittoresco paese di pescatori, circondato da amici.
Arrivato a Manchester-by-the-Sea, Lee scopre che il fratello è ormai morto e che è stato nominato tutore del nipote Patrick, un ragazzo alle prese con i problemi adolescenziali, due fidanzate e un gruppo rock. E che ora deve affrontare la perdita del padre.
Mentre Lee si stabilisce temporaneamente a casa del fratello e cerca di gestire Patrick, nel dramma si aprono altri drammi. La vita di tutti i membri della famiglia viene eviscerata e indagata fino a portare alla luce il dolore di ognuno: non solo Lee è costretto a rivivere ogni istante della tragedia che ha distrutto la sua famiglia e che nessuno in paese ha dimenticato, ma assiste impotente alla tragedia che ora sconvolge il nipote, privato del padre e rifiutato dalla madre, e a ripercorre la vita del fratello Joe, segnato dall'abbandono di una moglie alcolizzata.
Lee vorrebbe fuggire il prima possibile da Manchester-by-the-Sea, ma la natura impervia dell'inverno sembra trattenerlo contro la sua volontà: il terreno del cimitero è così duro che non è possibile seppellire il fratello, il cui corpo dovrà essere conservato in un congelatore fino alla primavera. Lee decide di trasferirsi così a Manchester-by-the-Sea in attesa che il terreno disgeli, indeciso su come affrontare il futuro insieme a Patrick, che si rifiuta di trasferirsi con lo zio a Boston.
Giorno dopo giorno, Lee e Patrick impareranno a convivere, non solo fisicamente nella stessa casa, ma anche con se stessi e i propri drammi, in vista di una primavera che sta per sbocciare non solo sulla costa ma, forse, anche tra di loro.
La drammaticità, la solitudine e il senso di colpa e di inadeguatezza che incombono dall'inizio alla fine della storia si percepiscono non solo dai silenzi e dagli sguardi degli attori, ma anche dalle immagini evocative del paesaggio nevoso di Manchester-by-the-Sea che, non a caso, dà il titolo al film.  

martedì 28 marzo 2017

L'ESPERIMENTO (racconto inedito)

 
 
1962, da qualche parte nell'Universo

Nolan se ne stava appoggiato al muro del corridoio in attesa che loro arrivassero. Guardò la Cyber Clessidra che portava con sé: era in anticipo di quaranta grani.
Era così elettrizzato dall'opportunità che il Maestro gli aveva offerto, che quella mattina aveva ingollato d'un fiato la sua tazza di lactolis e germe di granato. Si era poi precipitato fuori dal suo Scomparto Oblò ed era salito sulla navicella pubblica per volare fino all'Istituto Universitario di Chimica Ipermolecolare.
Ed eccolo lì, fremente e in attesa di partecipare alla Riunione del Gran Consiglio dei Maestri Scienziati. In qualità di Allievo, Nolan non avrebbe potuto proferire parola durante la seduta. Il suo Maestro era stato chiaro: avrebbe solo potuto osservare in silenzio le discussioni dei Maestri Scienziati.
Nolan pensò che non era poi così male: nessun Allievo di sua conoscenza era stato mai ammesso nella Sala Riunioni. E poi, da quando lo aveva raccontato a tutti i suoi compagni del corso di Chimica Organofosfatica, aveva notato che Lucy lo guardava con occhi diversi.
Le infinite ore passate in laboratorio, chino sul Microscopio a Propulsione Millesimale, e le notti trascorse sui Video Libri per studiare i pesticidi, i diserbanti e il DDT, gli erano valse una ricerca che il Maestro aveva definito “ammirevole”. Da qui, la decisione del Maestro di premiarlo facendolo assistere alla Riunione, durante la quale i Maestri Scienziati avrebbero discusso di tutte le sostanze chimiche studiate da Nolan e gli effetti che si riscontravano sulla salute degli umani.
Per ingannare l'attesa, iniziò a fantasticare sull'idea di chiedere a Lucy un appuntamento. L'avrebbe portata a cena al NutriPils per una scorpacciata di pillole di titanio e poi a bere un Cocktail Quick in quel nuovissimo Scomparto Cubo sulla A17.
L'arrivo di Leila, la Segretaria del Gran Consiglio, restituì a Nolan il contatto con la realtà.
- Accidenti a quella stupida Stampante 4D che continua a incepparsi! Non trovi mai un Robot Tecnico libero che ti aiuti, quando serve!
Presa dalla fretta di posizionarsi di fronte al Rilevatore Ottico della porta della Sala Riunioni, Leila si fece sfuggire di mano tutti i fascicoli che reggeva. Nolan si chinò prontamente per aiutarla a raccoglierli. Solo allora lei si accorse della sua presenza.
- Tu devi essere Nolan. Saresti così gentile da aiutarmi a preparare la Sala e distribuire il materiale per i Maestri?
Mentre i due si rialzavano da terra, Nolan notò che i fascicoli erano rilegati con una fascia nera su cui svettavano il ghigno di un teschio e la scritta rossa “documenti riservati”.
Varcata la soglia, i due entrarono nella Sala. Il posto era un'enorme aula vuota in cui l'unico rumore era l'eco dei passi. Al centro del pavimento, riluceva un enorme disco ovale di metallo. Quando Leila premette un pulsante sulla parete, il disco si staccò da terra, fluttuando fino a fermarsi sospeso a mezz'aria. Dal pavimento levitarono poi dieci piccoli dischi tondi che si posizionarono attorno alla circonferenza del disco ovale. Il tavolo e le sedie per i Maestri erano così sistemati.
Leila si chinò sotto al disco ovale e, alla pressione di un pulsante nascosto, sul soffitto si aprì una lunga fessura dalla quale scesero dieci monitor, uno per ogni Maestro.
Nolan aspettava sulla soglia, senza osare entrare nella Sala. Quello era il luogo in cui le migliori menti scientifiche avevano elaborato teorie e scoperte ipermolecolari riconosciute in tutta la Galassia. Mentre Nolan osservava le pareti, completamente ricoperte da formule chimiche incomprensibili anche agli studenti più brillanti come lui, Leila lo riprese:
- Che fai lì impalato? Vieni qui e prendi questi. Mettili sul tavolo, uno per ogni Maestro. Io devo scappare, sta arrivando una Congregazione Scientifica Interstellare e devo andare ad accoglierla.
Leila se ne andò, consegnando i fascicoli a Nolan. Questi li appoggiò sulla superficie fredda e perfettamente liscia del disco e guardò la Cyber-Clessidra. Mancavano ancora venti grani all'inizio della riunione.
Nolan prese a girare lentamente intorno al disco. A ogni fascicolo che disponeva sul tavolo, ripensava alle scoperte che aveva fatto durante le sue ricerche. Il Maestro gli aveva assicurato che le avrebbe sottoposte all'attenzione dell'Assemblea e che avrebbero di certo contribuito allo sviluppo del progetto Terra1.
Nolan aveva prove dimostranti che l'introduzione su larga scala di sostanze come il DTT, i pesticidi e i diserbanti impiegati dagli anni dal Secondo Dopoguerra in poi, soprattutto nell'agricoltura, con il passare del tempo avrebbero causato malattie umane molto gravi. Accumulandosi nelle ghiandole endocrine attraverso una costante assunzione, seppure in minime dosi, queste sostanze avrebbero corroso il corpo fino a ucciderlo a causa di forme tumorali. Le previsioni di Nolan indicavano che nel futuro ci sarebbe stato un netto aumento dell'incidenza dei tumori, che sarebbero diventati una vera piaga per l'umanità.
L'eccitazione di Nolan si stava trasformando in impazienza. Ancora nessuno all'orizzonte. Divorato dalla curiosità, senza pensarci troppo, Nolan si allungò sul fascicolo e ne sfilò la fascia con il teschio. Iniziò a leggere la prima pagina:

PROGETTO TERRA1 – 5° incontro
Ordine del giorno:
- discutere della 3° fase – attualmente in corso – del piano di distruzione del pianeta Terra, ovvero: l'introduzione delle sostante pesticida nell'alimentazione degli umani;
- pianificare le successive fasi del piano, ovvero: introdurre nuovi fattori di accelerazione della morte umana, quali inquinamento, plastica e grassi idrogenati nel cibo di cui si nutrono gli umani.

Il progetto Terra1 si basa su esperimenti condotti sugli abitanti del primo prototipo di un pianeta inferiore chiamato Terra1, noto anche come Terra. Siamo ormai giunti alla fase centrale dell'esperimento: la somministrazione graduale ma letale di sostanze tossiche per gli umani permetterà presto al nostro pianeta Orion5 di trovare un antidoto per adattare i nostri corpi all'atmosfera.......

Un tentacolo verde sfiorò Nolan, che con uno scatto richiuse il fascicolo.
- Mi perdoni, Maestro, non volevo..
Con il cenno di una delle sue due teste, il Maestro indicò a Nolan di prendere posto. La riunione stava per iniziare.









lunedì 13 marzo 2017

CIME TEMPESTOSE

 
di Emily Brontë
1847

Era da molto tempo che non dedicavo le mie letture ai grandi classici, presa dalla foga di leggere tutti i libri di scrittori contemporanei impilati sul comodino. Ed ecco che, un sabato pomeriggio, girovagando per la biblioteca della mia città (Bergamo) mi sono imbattuta nel volantino del gruppo di lettura. Libro in programma: Cime tempestose di Emily Brontë.
In men che non si dica mi ritrovo iscritta all'incontro e a frugare tra gli scaffali della mia libreria, nella sezione in cui sono stipati i libri in attesa di essere letti (da quanto, poi??). Eh sì, perché tra la miriade di volumi che ho in casa c'è anche Cime tempestose.
Ammetto che all'inizio ho avuto qualche difficoltà con l'approccio alla scrittura dell'autrice e ai suoi personaggi pallidi e cagionevoli che passano le ore nell'ozio. Avevo appena terminato Godetevi la corsa di Irvine Welsh (di cui trovate la recensione cliccando qui), che attraverso una scrittura sperimentale ai limiti del pulp mi aveva catapultato nella Edimburgo di un tassista superdotato e attore porno a tempo perso.
Capirete dunque il mio momento di smarrimento quando ho iniziato Cime tempestose. Ma è proprio questo il bello della lettura: ci trasporta da una parte all'altra dei mondi e dei secoli.
Il mondo di Cime tempestose è quello di fine Settecento e inizio Ottocento, nella brughiera arida e ventosa dello Yorkshire. Il paesaggio, come da tradizione letteraria romantica, ha un ruolo centrale e accompagna lo stato d'animo dei personaggi: essa muta al loro mutare interiore, per cui sarà una natura rigogliosa quando gli uomini sono in pace con se stessi e sarà tetra e inospitale quando questi saranno tormentati. Il titolo “cime tempestose” denota chiaramente che nella storia prevarrà il lato più oscuro e irrequieto dell'animo umano.
La storia viene narrata da Nelly, la domestica delle tenute Wuthering Heights (in italiano “cime tempestose, che dà il titolo al romanzo) e Thrushcross Grange. L'espediente di utilizzare un narratore quasi onnisciente, presente ovunque alle liti e alle riappacificazioni dei personaggi è, a mio avviso, saggio da un lato ma, dall'altro, un po' limitativo poiché seppur avendo una completa consapevolezza di tutto quello che succede, non permette un approfondimento psicologico dei personaggi. In questo caso, molto è lasciato all'immaginazione del lettore.
Nelly racconta a Lockwood, nuovo affittuario di Thrushcross Grange, l'epopea di passione e vendetta che ha distrutto le famiglie che hanno popolato le due magioni. Il perno della storia, da cui si scatena poi la vicenda di intrichi e rancori, è il legame tra Catherine e Heathcliff. Lei è la figlia ribelle del rude proprietario di Wuthering Heights e lui è un trovatello che l'uomo porta a vivere nella tenuta. Catherine e Heathcliff vivono un'adolescenza felice e spensierata, priva di regole. Tutto cambia all'improvviso quando la ragazza trascorre alcuni mesi presso Thrushcross Grange, dove vive la ricca famiglia Linton. Qui Catherine ha modo di conoscere le regole sociali, l'educazione e di apprezzare i privilegi che derivano dalla ricchezza. La ragazza intesse inoltre una forte amicizia con il figlio dei Linton, Edgar.
Tornata a casa dopo la permanenza dai Linton, Catherine, profondamente cambiata, realizza di non poter sopportare la vita mesta a cui il padre la costringe e mal sopporta Heathcliff, che ai suoi occhi appare ora come un selvaggio incolto. Non stupisce quindi la decisione della ragazza di sposare Edgar e trasferirsi a Thrushcross Grange, nonostante riveli a Nelly, sua confidente, di amare Heathcliff ma di non essere disposta a passare con lui una vita in povertà.
Ed ecco che, dopo l'abbandono, Heathcliff inizia a intessere la sua tela di vendetta, arrivando a distruggere le persone che lo circondano. Il ragazzo partirà per una destinazione ignota, dalla quale farà ritorno come un uomo d'affari ricco (affari, quasi certamente, loschi).
Impossibilitato a riconquistare Catherine, Heathcliff ne sposa la cognata (nonché sorella di Edgar) Isabella, dichiarandole apertamente di farlo solo come ripicca nei confronti di Catherine ed Edgar.
La vicenda si infittisce ulteriormente quando i rancori di Heathcliff si sposteranno dall'amata Catherine verso i loro rispettivi figli: Cathy, figlia di Catherine ed Edgar, e Linton, figlio di Heatcliff e Isabella. I due giovani cugini, Cathy e Linton, sono destinati a un matrimonio infelice, poiché la ragazza è innamorata dell'altro cugino, Hareton, un rozzo selvaggio anch'egli cresciuto senza regole nella tenuta di Wuthering Heights come Heatcliff. Su questo nuovo intreccio amoroso grava proprio la presenza di quest'ultimo, deciso a perpetrare il suo odio anche sulle generazioni future in un susseguirsi di manipolazioni e atti violenti.
Un romanzo certamente intenso e, tuttavia, controverso, quello di Cime tempestose. Dopo l'iniziale fatica per entrare nel meccanismo della narrazione e dei personaggi, la storia si sviluppa in modo molto interessante, portando a compimento un'opera che va ben oltre la tradizionale storia d'amore.



lunedì 27 febbraio 2017

GODETEVI LA CORSA

 
di Irvine Welsh
2015
 
Spassoso, irriverente, inverosimile, sboccato e maschilista: ecco come si potrebbe, a mio avviso, descrivere questo romanzo di Irvine Welsh. Se, come me, siete fan sfegatati del Welsh più “tradizionale” fatto di sesso, droga, calcio e bevute in quel di Edimburgo – ovvero quello dei tempi di Trainspotting (1993), Colla (2001) e Porno (2002) – dovete assolutamente leggere Godetevi la corsa.
Va da sé che per apprezzare questo libro dovete stare al gioco, calarvi nella mente dei protagonisti e non scandalizzarvi del loro linguaggio o di quanto siano socialmente inaccettabili alcuni comportamenti. Se pensare che incesto e necrofilia siano troppo, allora non vi conviene andare oltre la prima metà del libro (ma credo che in quel caso, avrete già chiuso il libro al primo capitolo!). Ma questo è Welsh: prendere o lasciare.
Protagonista indiscusso della storia è Gas Terry Lawson, tassista riccioluto dalla superba prestanza sessuale, il cui scopo nella vita è quello di godere – e far godere le donne – al massimo, libero da qualsiasi responsabilità, compresi i vari figli sparsi che ha in città.
Nel tempo libero Terry, che i lettori di Welsh hanno già incontrato in Colla e Porno, si dedica a recitare nei film a luci rosse di Sick Boy (altra vecchia conoscenza dai tempi di Trainspotting).
Sembra che la vita di Terry sia perfetta: donne a volontà, un lavoro che gli permette di togliersi tutti gli sfizi (droga compreso) e il rispetto di tutti in città. Eppure non tutto fila liscio: il buon Terry ha un padre in fin di vita e che odia e, a sua volta, è odiato dai suoi figli poiché è sempre stato assente.
La sua vita è destinata a prendere una piega decisamente diversa quando riceverà una brutta notizia dai medici. Sull'orlo della disperazione, Terry proverà in tutti i modi a risollevarsi occupandosi del gracile quanto “superdotato” Jonty, un giovane uomo un po' duro di comprendonio che ricorda moltissimo Spud di Trainspotting. Il ragazzo vive con una sorta di ninfomane, tale Jinty, che lavora in una casa chiusa in città e di cui egli ignora il mestiere che fa.
In tutto questo, Terry si divide tra visite mediche, corse in taxi e un incarico speciale, ovvero fare da autista a un ricchissimo americano giunto a Edimburgo per un importante affare: recuperare alcune bottiglie di whisky, il più costoso al mondo.
Terry, che dovrebbe evitare in qualsiasi modo ogni situazione di stress, si troverà invece coinvolto nella sparizione di Jinty, in risse da pub, in un torneo di golf e nella sparizione di una delle preziose bottiglie di whisky, senza contare il fatto che ogni donna di Edimburgo lo cerca per avere da lui qualche ora di piacere.
In una Edimburgo di bevitori, sussidi statali, abusi sessuali e violenza domestica Irvine Welsh ci trascina nel mondo senza controllo e limiti di Terry, mostrandoci l'involuzione di un uomo prima osannato da donne e colleghi e in seguito sull'orlo del baratro.
E, tuttavia, i fedeli lettori di Welsh sanno bene che a tutti i suoi personaggi è sempre concessa una seconda possibilità: Terry avrà modo di uscire dalla sua crisi esistenziale con un colpo di scena finale (nulla che non si sia già visto nella letteratura, ma assolutamente pertinente ai toni inverosimili dell'intera vicenda) e per Jonty ci sarà un nuovo inizio affidato alle “cure” di Sick Boy.
Welsh lancia comunque un messaggio di condanna – nemmeno troppo nascosto tra le righe delle pagine – alla società consumistica americana e alle follie che i ricchi sono disposti a compiere per soddisfare i loro capricci.
Le vicende sono talmente assurde e i personaggi così esagerati che non si riesce a scollarsi dalla lettura. Romanzo promosso a pieni voti.

lunedì 13 febbraio 2017

CENERE (racconto inedito)



Quello che leggerete di seguito è un 'esperimento' nel quale ho deciso di fare incontrare, dopo trent'anni, due dei personaggi del libro che sto per finire di leggere in questi giorni: “Suite francese” di Irène Némirovsky.
Si tratta di un romanzo corale incompiuto (a causa della morte dell'autrice in un campo di concentramento), con un susseguirsi di personaggi che si incontrano, scontrano o si incrociano per pochi attimi nella primavera del 1941, durante l'occupazione nazista della Francia. I soldati tedeschi di istanza in Francia vengono 'ospitati' presso le abitazioni dei paesini rurali conquistati, dove sono rimaste solo le donne con i bambini, mentre gli uomini sono prigionieri o a combattere.
Bruno von Frank, ufficiale tedesco di ventiquattro anni, viene alloggiato nella villa di campagna della famiglia Angellier, a Bussy, a est di Parigi. Qui vi sono la matrona, Madame Angellier, e la nuora, la dolce Lucile. L'uomo di casa, Gaston (figlio di Madame Angellier, nonché marito di Lucile) è prigioniero in un campo in Polonia.
Mi auguro che, dall'incontro immaginario tra Bruno e Lucile che leggerete di seguito, capirete cosa fosse successo tra i due nel 1941...
P.s. Cliccando qui trovate la mia recensione del romanzo “Suite francese” di Irène Némirovsky.

Parigi, 1970
In Rue La Fayette piccole barchette gialle e arancioni, cadute dai rami rinsecchiti, si lasciavano cullare nelle pozzanghere lungo il viale alberato. Il vento pungente costringeva i passanti a sollevare il bavero dei cappotti, come fosse uno scudo per combattere il freddo al quale andavano incontro a capo chino.
Quella mattina la pioggia aveva risvegliato la città sotto un cielo plumbeo e incerto. Nonostante ciò, Lucile aveva deciso di prendere posto al solito tavolino all'aperto, il terzo a destra fuori dalla porta, sotto la fioriera di ciclamini appesa alla finestra.

Si domandava se avesse fatto la cosa giusta accettando il suo appuntamento. Chiuse gli occhi e la sua mente si riempì dei ricordi che la legavano a lui: la guerra, l'occupazione nazista, il piccolo paesino di Bussy, l'enorme villa Angellier che era costretta a condividere con la suocera e le lunghe giornate vissute nella solitudine in attesa della liberazione di Gaston. E poi, quella terribile scoperta.

Lucile spalancò gli occhi per scacciare le immagini di quel passato che ormai non le apparteneva più. In quel momento desiderò stringere tra le dita una sigaretta, anche se erano passati dieci anni dall'ultima volta che aveva fumato.
Nel frattempo, aveva ordinato un latte macchiato e, in attesa che lui facesse capolino tra la folla di passanti, stringeva tra le mani la tazza colma e bollente. Lo avrebbe di certo individuato a colpo sicuro, così alto e impettito nel suo incedere impeccabile.

Un raggio di sole, sbucato da una soffice nuvola scremata di grigio, le illuminò gli zigomi delicati. Le sue labbra si distesero al contatto con quel tocco di calore che intiepidiva la pelle sottile e increspata.
I grandi occhi scuri di Lucile schizzavano da un volto all'altro così veloci da sembrare dita impazzite che eseguono al pianoforte una melodia di Franz Liszt. Per suonare Liszt alla perfezione ci aveva impiegato quasi vent'anni, ma cogliere lui tra la folla fu un attimo.

Eccolo. Avanzava impettito e le lunghe gambe conquistavano metro dopo metro la strada verso di lei. Arrivato dinnanzi al tavolino dove Lucile era seduta, l'uomo si mise sull'attenti, mentre lei, alzandosi di scatto, per poco non rovesciò la tazza fumante.
Lucile, sei proprio tu! - le disse prendendole le mani e chinandosi in un perfetto baciamano. Lucile avvertì subito il suo timbro di voce più morbido, meno spigoloso di quello di allora.
Bruno, quanto tempo, sussurrò lei.
Sei sempre così bella, Lucile, proprio come allora.
Anche tu sei tale e quale, Bruno.

Entrambi sapevano di essere invecchiati in quei trent'anni: i lunghi capelli di lei, una volta color del miele, erano ormai scuriti dalle tinture e dal tempo, mentre la chioma sottile e bionda di lui era oggi ingrigita. Eppure, nel momento in cui si trovarono seduti l'una di fronte all'altro, fu come ritornare a quell'autunno del 1941. Lui non le aveva ancora lasciato le mani, così sottili e affusolate, quando il cameriere li riportò al presente per chiedere a Bruno cosa volesse ordinare.

Bruno liberò la presa e Lucile nascose le mani sotto al tavolo. Sembrava una bambina che riceve una bacchettata dalla maestra e prova vergogna di fronte all'intera classe.
Scusa, non volevo - le disse.
Non è niente – arrossì lei mostrandogli le mani – ma cerco di averne cura, sai, per il mio lavoro.
Si accorse subito che quanto aveva appena detto era una giustificazione banale che mal celava il suo imbarazzo, ma Bruno fu pronto a riportare la conversazione sulla giusta via.
Già, Esteban dice che sei una pianista eccezionale. E pensare che quando ci siamo conosciuti non osavi avvicinarti al pianoforte.
Eravamo in guerra – sospirò Lucile – ed era fuori discussione suonare qualsiasi musica per rispetto delle circostanze. E poi, mia suocera mi avrebbe dato il tormento. – Già, la vecchia Madame Angellier non ti ha certo reso la vita facile. Chissà di cos'altro ti avrebbe accusata se ti avesse visto suonare il piano, magari in un duetto insieme a me, erklärter Feind [nemico dichiarato].

Pronunciando quelle parole, la voce di Bruno era tornata per un attimo vigorosa e dura come quella di un tempo.
Povera Madame, non posso certo biasimarla. La casa occupata da un ufficiale tedesco e il figlio prigioniero in Polonia. I suoi silenzi, la sua paura e il distacco con cui si approcciava a te erano comprensibili.
Questo te lo concedo, Lucile, ma è stata ingiusta con te. Sin dal primo istante in cui sono entrato nella vostra casa ho notato la sua freddezza nei tuoi confronti. Dopotutto, eravate nella medesima situazione. In te avrebbe trovato un'alleata, un sostegno, e invece ti trattava come una presenza sgradevole.
Era la madre di mio marito, che altro potevo fare, allora? Mi accusava di non amare abbastanza Gaston e di non essere affranta quanto lei per la situazione. Come se non lo sapesse che mi aveva sposata solo per le ricchezze di mio padre.
Nella lettera mi hai raccontato che Gaston si è salvato…
Sì, è sopravvissuto al tifo e ha fatto ritorno a Bussy alla fine della guerra. Lui è tornato, io me ne sono andata.

Gli occhi di Lucile brillavano di orgoglio mentre ripercorreva i momenti in cui aveva detto a suo marito che lo stava lasciando, sbattendogli in faccia l'atto di acquisto dell'appartamento in città che lui aveva comprato all'amante, per giunta con i soldi che suo padre le aveva lasciato in eredità. Che stupido, Gaston, così spavaldo da pensare che lei non avrebbe mai trovato quel foglio, nascosto malamente tra le scartoffie del suo studio.

Avresti dovuto vedere la faccia di mia suocera il giorno in cui ho fatto le valige e me ne sono andata per venire qui a Parigi.
L'ho sempre saputo che dietro la tua dolcezza si nasconde un guerriero. Quando mi hai scritto che hai affrontato l'amante intimandole di lasciare l'appartamento, sono rimasto incredulo.
Vivo ancora in quell'appartamento. Ormai è la mia casa. All'inizio è stato molto difficile, avevo una rendita ma allora la città era da ricostruire. Poi, poco a poco, la vita di noi francesi è tornata alla normalità, o quasi. La distruzione, la morte dei soldati, lo sterminio dei campi, è stato tutto così disumano.
A queste parole Bruno serrò la mascella, contraendo i muscoli del collo e scaricando la tensione sulle larghe spalle. Se Lucile se ne accorse, non lo diede a vedere. Ma qualcosa, nel suo tono, si era incrinato.
 
Raccontami di te, ora. Mi hai scritto che adesso vivi in Argentina. Sono curiosa di sapere come ci sei finito, a Buenos Aires. Nella tua lettera sei stato piuttosto vago.
Dopo essere partito da Bussy, io e i miei uomini siamo stati spostati in molti altri villaggi della Francia. Vivevamo alla giornata, sempre in attesa di nuovi ordini. Alla fine della guerra sono stato rimpatriato e come è andata a finire è ormai sui libri di storia. Lucile, sappi che non smettevo di pensare a te. Avrei voluto tornare da te, non appena le acque si fossero calmate, ma non potevo certo dimenticare di avere una moglie, in Germania. Era malata, per giunta. Morì pochi anni dopo. Ero ormai consumato dal dolore, mi sentivo svuotato per tutte le brutture che avevo visto in guerra, i morti, il distacco da te e la malattia che consumò mia moglie.
Speravo, un giorno o l'altro, di poterti rivedere, Bruno. Ma di anni ne sono passati quasi trenta. Perché non sei tornato in Francia, da me, quando tua moglie morì?
E' stato molto difficile, per me, superare i traumi della guerra. Ancora oggi mi sveglio, nel cuore della notte, cercando riparo dalle granate sotto le coperte. Dopo la morte di mia moglie, mio cugino mi propose di imbarcarmi con lui per l'Argentina e, senza pensarci troppo, lo feci.
Già, chissà di quanti orrori sei stato testimone. Quanti morti – rimarcò quasi con stizza – avrai visto con i tuoi occhi. E così, in Argentina, ti sei fatto una nuova vita.
Esatto. Ho iniziato a lavorare in una fazenda e oggi sono il proprietario di una multinazionale del grano.
Ed è arrivato Esteban..
Sì, nel 1950 mi sono sposato con la figlia del proprietario di quella fazenda e nello stesso anno è nato Esteban. Viviamo in una grande casa di campagna. Sai? Dovresti venire a trovarci, potresti prenderti una vacanza.
Parigi e il conservatorio sono la mia vita. Non potrei stare un solo giorno senza il mio pianoforte e i miei allievi.

Esteban mi ha raccontato che segue le tue lezioni con entusiasmo.
Sì, se la cava piuttosto bene. Il primo giorno del corso stavo quasi per svenire quando sul registro ho letto il suo nome, Esteban von Frank. Pensai che fosse uno scherzo. Riconobbi subito il tuo cognome e in lui vidi i tuoi occhi e la tua fierezza, ma non sapevo spiegarmi come potessero appartenere a uno studente di Buenos Aires che aveva vinto una borsa di studio per Parigi.
Avresti dovuto vedere la mia faccia quando Esteban mi raccontò della sua insegnante preferita, Madame Lucile Delacroix. Anche se avevi ripreso il cognome da nubile, dalla delicatezza e dalla grazia con cui ti descrisse, capii subito che si trattava della mia Lucile.
Sei mai tornato in Germania, Bruno? – domandò lei con tono deciso.
No, ho interrotto ogni contatto con i pochi parenti che mi sono rimasti ad Hannover.

Bruno aveva nuovamente perso il morbido accento acquisito in trent'anni passati a parlare lo spagnolo.
Lucile stringeva sempre più forte la tazza ormai vuota. Sul fondo erano rimasti i granelli di zucchero che non si erano sciolti e il bordo bianco indossava una collana di impronte di tenue rossetto rosa.

A Norimberga, invece, ci sei mai stato?
Che cosa stai insinuando Lucile? Ma che ti prende? Pensavo che ti avrebbe fatto piacere incontrarmi.
L'ultima notte che hai passato a Bussy hai parlato con un tuo sottoposto al telefono e io ho ascoltato l'intera conversazione. Tu sapevi tutto, fin dal '41! Sapevi dei primi campi di concentramento, sapevi che con i tuoi ordini mandavi a morire centinaia di innocenti in Polonia e in Germania. Non voglio nemmeno pensare a quanta gente tu abbia tolto la vita. E dicevate di essere in Francia solo per tenere sotto controllo la parte occupata della nostra nazione. Balle! Hai fatto molto più di quello che mi hai lasciato credere!
Lucile, lascia che ti spieghi. Io eseguivo solo gli ordini che ricevevo dall'alto. Non ho mai...
La mano di Lucile, gelida e leggermente tremante, calò sulla bocca di Bruno.
Taci! Non voglio sentire una sola parola. Tua moglie ed Esteban sanno del tuo passato e della fuga in Argentina?

Papà! Madame Delacroix!
Una voce gioiosa che proveniva dalla strada si intromise nella conversazione, giusto in tempo per evitare a Lucile di andarsene. Esteban li raggiunse in un attimo.
Esteban! Sono felice che tu sia qui – mormorò Bruno in una contrazione che voleva essere un sorriso.
Il ragazzo prese posto al tavolino.
Immagino che tu e Madame Delacroix vi siate già raccontati molte cose. E il merito di questo incontro è mio.

Esteban gongolava in un sorriso sornione, compiaciuto per aver fatto da messaggero tra il padre e la donna presso cui era stato ospite durante la guerra. Era tanta in lui la gioia che non si accorse di quanto Bruno e Lucile fossero irrigiditi sulle sedie.
In un gioco di sguardi, in cui ciascuno cercava gli occhi dell'altro senza incrociarli, fu il cameriere a irrompere sulla scena per prendere l'ordinazione di Esteban.

Lucile, spinta dalla rabbia, colse l'occasione: mentre Esteban e Bruno rivolgevano la loro attenzione al cameriere, lei si alzò e, quasi facendosi scudo con l'uomo in piedi al tavolino, si congedò: – È stato un piacere rivederti, Bruno.
Se ne andò senza aspettare una risposta. Non poté nemmeno vedere i volti stupiti di padre e figlio che la osservarono mentre veniva inghiottita dalla folla di passanti di Rue La Fayette.

venerdì 10 febbraio 2017

LA GUERRA DEI MONDI


di Herbert George Wells
1897

Nell'ultimo periodo avevo un grande desiderio di approcciarmi al mondo della letteratura fantascientifica, ma non sapevo da che parte cominciare. Nel dubbio, sono andata dritta alle origini della fantascienza con Herbert George Wells, considerato all'unisono uno dei padri fondatori di questo genere grazie al romanzo La guerra dei mondi.
Il romanzo viene pubblicato a puntate a Londra nel 1897, per essere poi promosso in forma di libro nel 1906 con le illustrazioni del brasiliano Henrique Alvim Corrêa. L'edizione che ho avuto la fortuna di leggere è proprio quella con le suggestive immagini realizzate da Corrêa, immagini che si imprimono nella mente e sguinzagliano l'immaginazione verso un mondo invaso dagli alieni e così realistico, nonostante ci si trovi alla fine dell'Ottocento.
La storia è narrata in prima persona dal protagonista, un anonimo scrittore borghese che vive a Ottershaw, una tranquilla cittadina inglese. La routine dell'uomo e della comunità viene bruscamente interrotta dall'arrivo di un oggetto non identificato che precipita in periferia, al limitare di un bosco.
Folle di curiosi, tra cui il protagonista, si avvicinano al cratere nel suolo in cui giace l'oggetto caduto dal cielo. Si tratta di un cilindro metallico dal quale escono alcune creature tentacolari e striscianti: sono i marziani. Gli extraterrestri si ritirano però immediatamente nel cilindro poiché mal sopportano l'atmosfera della Terra. Questo comportamento induce le persone a ritenere le creature innocue. Tuttavia, si sbagliano.
I marziani, infatti, mostrano subito le loro intenzioni poco amichevoli emanando un raggio laser in grado di incenerire all'istante qualsiasi cosa o persona colpisca. L'uomo protagonista si salva miracolosamente dall'azione del raggio e fa ritorno a casa. Nel frattempo i marziani restano al riparo nel cilindro, dal quale inizia a provenire un incessante rumore di martellate.
In città giunge l'esercito e la gente inizia a fuggire dalle abitazioni in direzione di cittadine limitrofe. Lo stesso protagonista partirà verso Leatherhead per portare la moglie al sicuro a casa di parenti. L'uomo farà ritorno nella deserta Ottershaw in serata e scoprirà che i marziani hanno costruito i “tripodi”, delle macchine da combattimento con cui hanno intenzione di iniziare la conquista della Terra.
Il protagonista si aggira per le strade deserte e inizialmente decide di fare ritorno alla propria abitazione per mettersi al riparo dall'avanzata dei tripodi. Ben presto però la situazione peggiora: sulla Terra arrivano altri cilindri di marziani e altri tripodi vengono costruiti. Il protagonista si rende conto che è necessario fuggire e inizierà così un viaggio a piedi per raggiungere la moglie.
Sul suo percorso l'uomo incontrerà diverse persone in preda al delirio, tra cui un soldato che paventa un futuro in cui i marziani vivranno sulla superficie terrestre e gli uomini sottoterra come i topi e un pastore che profetizza la venuta del Male e la fine del mondo per mano degli alieni.
Il protagonista non si lascia però influenzare dalla pazzia di questi personaggi e, spinto dall'istinto di sopravvivenza, prosegue nella sua fuga, stupito dalla sua stessa tenacia e forza di volontà.
L'opera di Wells non solo ha grande rilevanza dal punto di vista letterario. La guerra dei mondi è anche un'opera di critica sociale: la Terra invasa e minacciata dalla presenza aliena rappresenta le popolazioni colonizzate dalle potenze europee. L'autore abbraccia le idee del socialismo e del pacifismo in chiave positivista: auspica alla pace e alla condivisione equa delle ricchezze con l'aiuto di una scienza volta a migliorare le condizioni di vita di tutti.
Ancora oggi, a distanza di oltre cento anni, l'invasione aliena dei tripodi è viva nell'immaginario collettivo grazie a diversi film, tra cui quello diretto da Steven Spielberg nel 2005.