venerdì 23 dicembre 2016

LABBRA ROSSO FUOCO (racconto inedito)



Ecco di seguito il secondo racconto che ho scritto in occasione del Make With Christmas Love Market e interpretato dal bravissimo Enrico Viscardi.
Buona lettura!
 
Ho freddo. Sono ore che me ne sto seduto qui, cercando inutilmente di scaldarmi seduto sulle grate di aria calda.

Le dita che sbucano dai guanti rattoppati stanno diventando blu. O forse viola. O forse di qualche altro colore. “Sei un bambino speciale”, mi diceva sin da piccolo mia madre, quando si degnava di chiedermi come stavo, chiamandomi da chissà quale località esclusiva, mentre la balia reggeva la cornetta del telefono e mi puliva il moccio dal naso. Ma io, in lacrime, non capivo perché i miei compagni ridessero di me e non mi sentivo affatto speciale. Piuttosto, mi sentivo scemo.

Chiamiamo le cose con il loro nome. Dire rosso anziché verde o verde anziché marrone ed essere preso per un idiota, questo non è essere speciali, questo è essere daltonici! E qualcuno, a sei anni, forse avrebbe dovuto spiegarmelo!

Adesso che sono cresciuto, cerco di scacciare via dalla mente quelle labbra rosso fuoco, contratte a culo di gallina, che mi dicono cosa devo e cosa non devo fare.

Mia madre, un incubo ricorrente. Papà, quasi un santo. Quasi, perché se sposi una donna-trofeo da esibire al golf club, poi non ti puoi lamentare se non fa che pensare a se stessa. Lei e la sua lotta contro il tempo che le affloscia le guance.

Le gambe iniziano a formicolare. Cerco di allungarle ma subito me ne pento perché sento ancora più freddo. Però, se le lascio incrociate anche solo per un minuto di più, rimarrò bloccato qui a terra sul marciapiede.

Me ne devo andare prima che la via si svuoti. Sono arrivati alcuni tizi con facce poco raccomandabili. Iniziano a tirar fuori stracci e giornali dai grandi sacchetti di plastica che si trascinano appresso. Hanno tutta l'aria di voler passare la notte qui, nella Galleria del Centro.

I miei occhi si sono ormai abituati alle luminarie. Luci verdi (o blu?), rosse (o forse arancioni?), oro e argento, illuminano il cielo scuro. La città luccica come il Paese dei Balocchi.

Lo scalpicciare della gente nelle pozzanghere di neve sciolta diventa sempre più frenetico. Sciami di stivali, scarpe da ginnastica, mocassini, zampe di cani al guinzaglio per la passeggiata serale. Una sfilata incessante mi passa sotto il naso. Non c'è persona, stasera, che non avvinghi tra le mani almeno un pacchetto: chi regali piccoli, chi enormi sacchetti griffati, non importa. Quello che conta è fare felici i parenti, dalla nipote alla nonna, fino alla prozia di cui non te ne frega niente ma che incontri una volta l'anno al cenone della Vigilia.

La gente si esalta davanti alle vetrine che trasudano Natale. I bambini strattonano i genitori, stremati dalle compere, implorandoli di comprare tutto quello che luccica e si muove al di là del vetro.

Sono stordito. Grida, confusione, risate, ragazzini che corrono, neonati che piangono, adulti al volante che si insultano e calcano la mano sul clacson. Un paradiso, in confronto a quello che devo sorbirmi ogni giorno a casa. Quelle labbra rosse che, quando non sono in una clinica per un ritocchino, sputano ordini senza sosta. Bla bla bla bla... ormai non la sto nemmeno più a sentire.

Ho freddo, molto freddo.

Darei qualsiasi cosa per una cioccolata calda, ma non ho un soldo.

Accidenti a loro, che questa mattina sono rincasati prima del previsto. I miei non sono mai arrivati puntuali alle recite scolastiche e alle mie partite. E, invece, proprio quando mi stavo rilassando in camera mia per affrontare il cenone serale, all'improvviso mi ritrovo quelle labbra rosse contratte in una smorfia di disgusto che mi sorprendono mentre mi fumo una canna steso sul letto.

Bla, bla, ma sei impazzito?? Una canna? Bla bla bla, un figlio drogato! Cosa penseranno i miei amici, bla bla bla...” sbraitavano le rosse labbra, che si contorcevano sputando insulti misti a preoccupazione non tanto per 'il figlio drogato' ma per cosa ne potessero pensare gli altri. Apparenza, nient'altro che apparenza, il mondo di mia madre. Non l'avrei sopportata un secondo di più.

Così, eccomi qua, al freddo e senza la minima idea di dove passare la notte.

Pensare a quelle labbra pompate rosso fuoco, che starnazzano ordini ai domestici per ritrovare il sottoscritto, finito chissà dove, proprio la sera del cenone, questo sì, che mi riscalda.


lunedì 19 dicembre 2016

GRINFIA E IL MARZIANO (racconto inedito)


Come promesso, ecco il mio racconto inedito Grinfia e il marziano, letto insieme a Enrico Viscardi, domenica 18 dicembre in occasione del Made With Christmas Love.
Buona lettura.


Grinfia e il marziano

Questa che state per sentire è la storia di Grinfia, il primo abitante della Terra ad avere incontrato un marziano.

Mancavano pochi giorni al Natale e Grinfia se ne stava a bighellonare per le vie della città. La gente correva senza sosta da un negozio all'altro per gli acquisti dell'ultimo momento e le strade erano invase da chilometri di macchine ferme in coda.

Grinfia, invece, passeggiava tranquillo sbirciando con occhio indifferente le vetrine luccicanti.

La sua indole, pacata e profondamente pigra, gli permetteva di non essere contagiato dall'ansia altrui.

Non capisco perché si dannano l'anima in questo modo. Sembrano tutti impazziti. Daniel, per esempio, non ha fatto che uscire quasi tutte le sere: la cena con i colleghi, la pizza con gli amici, il ritrovo con i cugini, lo scambio di auguri con i compagni di calcetto. Beato me, che di amici non ne ho e posso fare quello che voglio.

Mentre stava proseguendo la sua passeggiata spingendosi fuori dal centro, Grinfia deviò in uno vicolo per svuotare la vescica.

Conclusa la manovra, mentre il decoro che aveva lasciato sul muro stava colando giù, colorando di giallo una pozzanghera di neve sciolta, si girò per tornare sulla strada principale.

Ora me ne torno a casa, al calduccio, e mi spaparanzo sul....

Le parole gli morirono sulla bocca, aperta a mezz'aria, mentre guardava il fondo del vicolo. Qualcosa si muoveva tra i sacchi dei rifiuti abbandonati.

Ma che diavolo succede laggiù?

Grinfia era indeciso se tornare sulla strada o andare fino in fondo al vicolo per vedere chi o cosa ci fosse. Alla fine prevalse la curiosità e Grinfia si diresse verso il cumulo di immondizia.

Con cautela smosse i sacchetti ed ecco che 'la cosa' che vi si dimenava sotto, d'un tratto, si immobilizzò. Grinfia rimase sbalordito. Due grandi occhioni blu lo stavano fissando, perplessi. Le braccia di quell'esserino, corte e paffute, iniziarono a muoversi nella sua direzione, come a volerlo toccare, ma Grinfia, disgustato, indietreggiò.

Non avere paura – disse l'esserino – non ti farò del male.

Tra i rifiuti ci si aspetta di trovare topi, gattini randagi o, in casi estremi, neonati abbandonati. Ma quello che Grinfia trovò quel giorno non era nulla di tutto questo. Lo strano esserino, alto meno di un metro e ricoperto da capo a piedi di una folta pelliccia verde e dotato di quattro arti che parevano tentacoli, era un extraterrestre.

Era giunto da Marte in visita sulla Terra per studiare le forme di vita intelligenti. Dopo aver viaggiato per deserti, giungle, montagne e oceani, aveva deciso di fermarsi in una città, per studiarne le sue creature.

Come ti chiami? – chiese il marziano con aria amichevole.

Io sono Grinfia. Tu chi sei?

Mi chiamo PK444 e vengo da Marte. Sono qui in pace.

Grinfia lo guardò scettico. Lo strano essere sembrava un peluche, così morbido e piccolo.

Come faccio a sapere che non mi strangolerai con quei tentacoli?

Ehi, per chi mi hai preso? Sono un marziano e la parola data è sacra. Non funziona così anche per voi, qui sulla Terra?

Non sempre, in realtà. Siamo piuttosto individualisti quaggiù.

Tu, però, mi sembri un tipo simpatico. Ti andrebbe di mostrarmi come vivono i terrestri?

Va bene. Ma, prima, toglimi una curiosità: com'è che capisci e parli la mia lingua?

Grazie a questo. – disse PK444 togliendo dalla bocca una piastrina minuscola – E' un Poliglo-Traduktor. Basta attaccarlo al palato e ti permette di parlare e comprendere il linguaggio di chi hai di fronte. Per ora funziona solo con centosette lingue intergalattiche. I nostri ricercatori ne stanno mettendo a punto una nuova versione, così noi PK potremo comunicare con un maggior numero di forme di vita.

Grinfia ascoltava il marziano con gli occhi sgranati. Stava forse sognando? No, impossibile. D'accordo, la sera prima aveva fatto le ore piccole, ma ricordava fin troppo bene di essersi svegliato quella mattina e di essere uscito di casa. No, quello non era un sogno.

Scusa – disse PK444 – ti sto annoiando. Chissà quante tecnologie avete già qui, sulla Terra.

Ehm... veramente non siamo proprio così evoluti come pensi.. Anni fa qualcuno è andato sulla Luna, ma ancora oggi molti credono che si sia trattato di una messa in scena.

Già, era il 20 luglio 1969. Detto tra noi, non è poi così sbagliato quello che molti credono sull'allunaggio...

PK444 si accorse dello stupore suscitato in Grinfia, quindi ritenne doveroso dargli ulteriori spiegazioni: – Sai, noi PK prima di ogni viaggio intergalattico studiamo a fondo la storia della popolazione a cui faremo visita.

Cosa è un PK?

PK sta per Poliglo-Komunicator. Viaggiamo per le galassie alla ricerca delle civiltà per studiarne le tradizioni, la lingua e il modo di vivere. Cerchiamo di metterci in contatto con gli abitanti dei pianeti e instaurare relazioni intergalattiche per promuovere la pace tra i popoli. Il sogno di PK000, il fondatore della scienza di Poliglo-Komunication, è quello di creare una RSU, Rete Solidale Universale.

Grinfia ascoltava ipnotizzato la voce gentile di PK444, sempre più convinto che lo strano marziano non avesse cattive intenzioni. Era anche convinto che le sue parole fossero farneticazioni senza speranza. Come diavolo credeva, quel piccolo peloso, di poter mettere d'accordo tutte le popolazioni extraplanetarie – ammessa la loro esistenza – quando gli uomini sulla Terra non riuscivano a mettersi d'accordo nemmeno su quale colore usare per dipingere la facciata di un condominio?

Tu, invece, di cosa ti occupi? – PK444 interruppe i pensieri di Grinfia.

Io, ehm... Nulla di che. Al momento dormo sul divano di Daniel. Condivido con lui il suo appartamento.

Allora – lo interruppe impaziente il marziano – mi porteresti in giro per la città a vedere come si vive qui?

Beh, ok. Ma come farai a camminare tra la gente? Senza offesa, amico, ma si spaventeranno tutti se ti vedono..

Useremo questo. – lo tranquillizzò il piccolo marziano estraendo dalla pelliccia un mantello che pareva fatto di plastica – E' un Poliglo-Cloak. Ogni PK ne ha uno in dotazione. Indossandolo si diventa invisibili. Con questo si può girare indisturbati e vedere da vicino ogni specie vivente, senza che se ne possa percepire la presenza. Tieni, indossane uno anche tu.

Grinfia e il marziano si avvolsero nei loro Poliglo-Cloak e si diressero fuori dal vicolo, verso la strada principale.

Se le mie ricerche non mi ingannano, qui da voi sta per arrivare il Natale, vero?

Esatto. E, come puoi vedere, la gente sta impazzendo per la corsa agli acquisti dell'ultimo minuto. Ogni anno la stessa storia: tutti si ripromettono di non ridursi all'ultimo momento per comperare i regali, ma ecco che, come sempre, le strade sono intasate da ingorghi di automobili e gente spazientita che pare fuori di testa.

Devono essere molto importanti, questi regali, se tutti si impegnano così tanto – osservò il piccolo marziano.

In realtà per molti è un obbligo. Ci si sente in dovere di fare un dono a tutti quelli che conosci, anche se non te ne frega niente.

E tu, Grinfia, ne farai a qualcuno?

Io non ho nessuno, quindi niente regali. Sono un tipo solitario, io.

Mentre i due fissavano la strada ingrigita dalle nuvole di smog, una Ferrari zigzagò tra le auto ferme in coda cercando di superare tutti.

Già, lo vedo. Dimmi, perché la gente usa ancora questi veicoli così antiquati e inquinanti?

Grinfia fece spallucce: – io nemmeno ce l'ho, la patente.

Noi marziani sfruttiamo un gas naturale, estratto dai geyser della Pianura Orion, per guidare le nostre mini-astronavi. Qui l'aria è irrespirabile.

Hai ragione, amico. Ormai siamo tutti intossicati da questo schifo di smog. Senza contare i treni, gli aerei e le fabbriche.

Vi servirebbero i nostri Convertitori Areali: enormi generatori in grado di riciclare l'aria, rimettendola in circolo pulita. Ma, tornando al Natale, spiegami cosa succede esattamente.

Beh, amico, io non mi entusiasmo molto per il Natale. Le persone organizzano feste, incontri e scambi di regali, anche se nei restanti giorni dell'anno magari si ignorano e nemmeno si parlano. Li vedi lì, tristemente seduti attorno a una tavolata la sera della Vigilia, il sorriso tirato, costretti a sopportare una zia antipatica o un cugino odioso che non vedono mai.

Capisco – annuì PK444. – E perché ciascuno non sceglie con chi passare questi momenti? Non è possibile evitare tutto questo?

Credimi, è impossibile – Grinfia scuoteva la testa, memore della telefonata che Daniel aveva ricevuto da sua madre per obbligarlo a passare il Natale con il parentado al completo.

Vedo che c'è anche l'usanza di appendere dappertutto queste luci colorate.

Esatto. Sono tutti in fissa per luminarie, alberi di Natale, stelle, palline, Babbi Natale in miniatura. Addobbi, ovunque. Cercano di abbellire ogni posto, fingendo per qualche settimana che tutto sia scintillante come i festoni.

Grinfia e PK444 camminavano sul marciapiede, protetti dai mantelli, dribblando la folla che veniva loro incontro. Si fermarono davanti alla vetrina di un negozio. Da Mario, delizie per ogni palato recitava l'insegna in ferro battuto e avvolta in un serpente di lucine gialle. Dall'altra parte del vetro era allestito un tavolo traboccante di ogni delizia: panettone, pandoro, torrone, cioccolato, frutta secca, biscotti, zampone con lenticchie, ravioli, funghi, pasta, tartine, insomma un tripudio di prelibatezze avvolte da festoni sgargianti. Questa volta, a rimanere a bocca aperta fu PK444.

Tutto questo è il vostro cibo, vero?

Sì. La gente si siede a tavola e non solo deve sopportare il parentado, ma deve anche ingozzarsi come un maiale e mangiare tutto, dall'antipasto al triplo dolce, altrimenti la mamma e la nonna non sono contente perché ti vedono sciupato.

Noi marziani mangiamo solo Red-Pil. Sono pillole rosse e contengono la sintesi di tutti i nutrienti di cui abbiamo bisogno per vivere in salute. Ne basta una e sei apposto per una settimana.

Grinfia, di natura vorace e golosa, strabuzzò gli occhi. Al solo pensiero di campare con una misera pillola alla settimana, il suo stomaco emise un brontolio. Già pensava alla cena, quando PK444, meravigliato davanti a un'altra vetrina, si inserì nei suoi pensieri indicando un albero addobbato:

Come riuscite a far crescere gli alberi dai pavimenti? Quale invenzione straordinaria vi permette di coltivare alberi senza bisogno della terra?

Frena, frena, amico. Sono di plastica. Sono finti.

Sul volto di PK444 calò un velo di delusione.

Plastica? Non ne avete già in abbondanza, qui sulla Terra? Dai calcoli che ho fatto sulla longevità del vostro pianeta, risulta che è destinato a vita breve. E una delle cause principali del suo deperimento è proprio la plastica. Mi spiace dirtelo, caro Grinfia, ma non siete messi molto bene. Nessuno ha ancora trovato materiali alternativi non inquinanti?

Ehm, temo di no.

Noi, su Marte, sono secoli che usiamo il Bio-Iron e abbiamo ridotto a zero le materie tossiche.

Credo che qui sulla Terra non siamo così intelligenti come voi marziani credete.

No, no. Sono sicurissimo dei miei studi. Qui ci sono forme di vita ultra raffinate.

Beh, meglio così – disse Grinfia, poco convinto.

I due, sempre protetti dall'invisibilità dei Poliglo-Cloak, continuarono a camminare per le vie della città. Mentre il viavai di persone si affievoliva e il manto della notte scendeva sulle strade, Grinfia e PK444 si scambiarono molte informazioni sulle usanze dei rispettivi pianeti. Fu così che Grinfia venne a sapere che i marziani vivono in gruppi parentali estesi e abitano in grandi strutture eco-compatibili; il loro sistema immunitario è così resistente che non si ammalano mai; la vita ha una durata media di duecentodue anni e una marziana ha una media di dieci figli. Inoltre, i marziani sono tipi molto pratici e semplici, ma hanno grande cura della loro folta pelliccia verde, che lavano con uno speciale spray alla molecola di clorofilla.

Persi nella loro conversazione, i due arrivarono davanti alla casa di Grinfia.

Questa è la casa in cui vivo.

Sembra accogliente – osservò il piccolo extraterrestre.

Diciamo che non mi posso lamentare. E poi, Daniel, è così gentile con me.

Proprio in quel momento Daniel apparve sulla soglia, urlando il nome di Grinfia.

E' meglio che vada, ora – disse Grinfia, rivolto a PK444. Si tolse il mantello dell'invisibilità e si materializzo davanti a Daniel che, felice di vederlo, esclamò:

Eccoti finalmente. Ma dove sei stato, gatto girovago? Vieni dentro, che è l'ora delle crocchette.

Grinfia si strusciò tra le gambe del ragazzo e, voltandosi in direzione di PK444, lo salutò: – Spero di esserti stato d'aiuto, amico mio, e che un giorno tu possa trovare la forma di intelligenza che stai cercando qui sulla Terra.

Il marziano alzò un tentacolo peloso in segno di riconoscenza e sorrise compiaciuto, consapevole di aver passato un pomeriggio in compagnia di uno degli esseri superiori che stava cercando.






giovedì 15 dicembre 2016

MADE WITH CHRISTMAS LOVE

 
Passione, dedizione, manualità e creatività. Queste le parole chiave del Made With Christmas Love che si terrà domenica 18 dicembre presso lo spazio di Corte 105 di Bergamo.
Un artisan market tutto al femminile, nel quale le espositrici proporranno le loro creazioni, tutte rigorosamente fatte a mano.
Con L'arte del batik di Raffaella Simoncini scopriremo i foulard dipinti con l'antica omonima arte, il batik appunto. Si tratta di una tecnica, risalente all'antico Egitto, che consiste nel colorare il tessuto servendosi di tinture e cera per realizzare disegni variopinti.
L'arte del batik
 
Cogli l'attimo di Paola Volpati ci farà conoscere l'arte di realizzare preziosi e originali bijoux con fiori e resina, tutti prodotti con materiali anallergici.
Cogli l'attimo
Il giardino botanico di Simona Provesi ci condurrà alla scoperta degli oli essenziali, con i quali crea profumazioni naturali in grado di soddisfare le esigenze dei nasi più esigenti. 
Il giardino botanico
 
Marina Acerbis ci proporrà invece i suoi prodotti di cosmesi naturali, come saponi, tonici per il viso e lozioni e scrub per il corpo.
Cosmesi naturale
Infine, La magia del ricamo di Elena Marchesani ci proporrà l'arte del ricamo, grazie alla quale può personalizzare e rendere unico qualsiasi oggetto in stoffa.
La magia del ricamo
Non ci saranno solo preziosi oggetti e idee regalo natalizie in questa edizione, ma anche letture di racconti realizzati per l'occasione dalla sottoscritta. La voce del nostro narratore, Enrico Viscardi, accompagnerà i visitatori a partire dalle ore 16:00. Verranno letti alcuni miei racconti inediti, che troverete pubblicati qui, sul blog Ciak, si legge!, nei giorni successivi.
Se siete di Bergamo e volete lasciarvi stupire dalla bravura delle artiste presenti al Made With Love Christmas, vi invito a partecipare numerosi!


lunedì 28 novembre 2016

Suite francese, il nazismo, la guerra e la fuga raccontati da Irène Némirovsky



Il romanzo che ho tra le mani, e che ho appena finito di leggere, viene da molto lontano. Quest'opera è frutto della vita travagliata e al contempo brillante di una donna di grande intelletto. Il manoscritto ha attraversato la Seconda Guerra Mondiale ed è rimasto chiuso in una valigia per decenni, finché la figlia dell'autrice si è decisa ad aprirla per visionarne il contenuto.
Si tratta di Suite Francese di Irène Némirovsky (1901-1942). Figlia di un ricco banchiere ebreo di Kiev, Irène passerà l'infanzia tra una vita agiata e numerose fughe (dall'Ucraina alla Russia, dalla Finlandia alla Svezia e, infine, la Francia) a causa dei Soviet che perseguitarono il padre.
Trova una stabilità a Parigi, dove si laurea alla Sorbona, iniziando a scrivere, giovanissima, racconti e romanzi. Introdotta nei salotti letterari francesi, donna colta e poliglotta, sposerà un ingegnere russo e si convertirà al cattolicesimo. Diviene una scrittrice in lingua francese affermata e riconosciuta, ma questo non le basterà per ottenere la cittadinanza francese, che il governo Vichy della Francia occupata dai nazisti le rifiutò.
Sarà vittima, come migliaia di ebrei, delle leggi antisemite e costretta a portare la stella gialla cucita sugli abiti. Subirà la censura e le sue opere non saranno più pubblicate. Il tragico epilogo, nell'estate del '42, quando sarà deportata ad Auschwitz, dove morirà, probabilmente per malattia, il 17 agosto. Analoga sorte per il marito, che verrà deportato in ottobre nello stesso campo di sterminio e ucciso nelle camere a gas. La coppia riesce a salvare le due figlie, Denise ed Elisabeth, affidandole a una coppia di amici e cambiando loro identità.
Se volete leggere l'intero articolo e scoprire il romanzo incompiuto di questa grandiosa intellettuale, cliccate qui sul link di Libreriamo..

venerdì 11 novembre 2016

Indiana Jones, archeologo avventuriero. Dalla saga di Spielberg al mercato editoriale



Indiana Smith, questo il nome inizialmente pensato per l'archeologo del grande schermo famoso in tutto il mondo. Poi, George Lucas (l'autore) e Steven Spielberg (il regista) ci hanno ripensato e hanno deciso di battezzarlo Indiana Jones.
Tom Selleck, invece, l'attore scelto per la parte. Almeno, all'inizio. Selleck è vincolato dal contratto per la serie tv che sta girando, Magnum P.I., quindi non può recitare per altre produzioni. Si opta allora per l'emergente Harrison Ford, lo Ian Solo di Guerre Stellari, di cui Lucas è ideatore e regista.
Un uomo rude ma di bell'aspetto, eroe umano con alcuni difetti, cinico e disincantato quanto basta, colto professore poliglotta e avventuriero archeologo, cacciatore di reperti mitici. Cappello, frusta e tracolla sono gli accessori che lo indossa per sconfiggere il cattivo di turno. Il tutto condito con l'inconfondibile leitmotiv curato da John Williams. Gli ingredienti per una saga di successo ci sono tutti, tanto che a oggi siamo a quattro film: I predatori dell'arca perduta (1981), Indiana Jones e il tempio maledetto (1984), Indiana Jones e l'ultima crociata (1989) e Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo (2008).
Vi dico già da subito che chi scrive è una purista della serie, che rimarrà nella mia mente una trilogia: associo difficilmente il quarto capitolo della saga ai primi tre episodi, perché da piccola sono cresciuta a “pane e Indiana Jones” e quindi per me Indiana non può invecchiare. Ho visto e rivisto una quindicina di volte circa ciascuno dei primi tre film, mentre il quarto solo due volte e non mi cattura come i suoi predecessori.
Per leggere l'intero articolo e scoprire altre curiosità sull'archeologo più famoso del grande schermo, cliccate qui, sulla rivista Libreriamo...

lunedì 24 ottobre 2016

The Heroine's Journey of Valentina Morlacchi (ovvero, io!)




Con grande piacere vi presento...me stessa! Ho avuto l'onore di essere intervista da Peter De Kuster nell'ambito del suo progetto The Heroine's Journey, in cui raccoglie e racconta le storie di donne che hanno reso la loro passione un lavoro.
Io, al momento, sono ancora nella fase “aspiro a rendere la mia passione un lavoro” (tradotto: non ci guadagno una lira e per campare mi devo “accontentare” – ben consapevole della fortuna di averne uno – di un lavoro che nulla ha a che vedere con i miei studi in editoria e che mette a dura prova i neuroni sani che mi restano).
Coltivo quotidianamente il mio blog, nonostante non siano presenti articoli nuovi ogni giorno. Anzi, è difficile districarsi tra gli impegni quotidiani, il lavoro e la gestione delle pagine social dedicate al blog. Ma il mio cervello incessantemente lavora, elabora, produce, appunta schizzi, bozze, idee, frammenti che raccolgo poi – ancora alla vecchia, con penna e carta – sui miei taccuini, per elaborare articoli, approfondimenti e riflessioni, che la mia mente partorisce dopo giorni e notti di congetture.
In attesa di poter rendere davvero questa mia immensa passione un lavoro e che questa utopia si avveri – e che mia madre commenta con un “ma sei sicura che ne vale la pena?” alzando preoccupata il sopracciglio – vi lascio il link all'intervista:

https://theheroinejourney2016.wordpress.com/2016/10/05/the-heroines-journey-of-valentina-morlacchi/

L'inglese con cui ho risposto a questa intervista è molto elementare e semplice, facile quindi da capire. Per chi me lo ha richiesto, o per chi non avesse voglia di cimentarsi con l'inglese, ecco qui la traduzione:
 
Quale è la miglior cosa che amo del mio lavoro?
Sono una blogger e scrivo recensioni e articoli di libri e film. Amo investigare i dettagli e scoprire curiosità sugli scrittori o sui registi e le loro opere.

Quale è la mia idea di felicità perfetta?
Lasciatemi saccheggiare una libreria o una biblioteca, ecco la mia felicità perfetta.

Quale è la mia più grande paura?
Non avere abbastanza tempo in questa vita per leggere i libri sugli scaffali della mia libreria.

Quale è la caratteristica che deplori di te stessa?
Fare tutto di fretta, sempre.

Quale è la mia più grande stravaganza?
In un mondo pieno di tecnologia in cui la gente ha un cellulare alla mano ovunque vada, io preferisco tenere in mano i libri.
 
In quale occasione mentirei?
Non mentirei mai. Odio le bugie.

Quale è l'influenza dei modelli di ruolo nel mio lavoro e nella mia vita?
Stimo le persone che lavorano tenacemente per i loro obiettivi.

Quale è la cosa che non mi piace nel mio lavoro?
Nessuna. Amo ogni aspetto del mio lavoro.

Quando e dove sono la persona più felice, nel mio lavoro?
Quando i miei lettori provano emozioni o reazioni, anche opinioni contrastanti. Lo scambio di idee con i miei lettori mi rende felice.

Se potessi, cosa cambierei di me stessa?
Vorrei essere più riflessiva e calma.

Quale è il più grande risultato nel lavoro?
Immergermi nelle mie passioni: scrittura, lettura e cinema.

Quale è il luogo di maggior ispirazione, nella mia città?
Le biblioteche pubbliche, assolutamente.

Quale è il mio posto preferito per mangiare e bere, nella mia città?
Ovunque possa condividere una fetta di pizza con la mia famiglia.

Chi è il mio più grande fan, sostenitore, complice?
I miei più grandi fan sono mio padre Donato (legge tutto ciò che scrivo) e il mio compagno di vita Marco (mi supporta sempre).

Con chi mi piacerebbe lavorare nel futuro?
Con le persone che condividono le mie stesse passioni.

Verso quale progetto, nel futuro immediato, mi sto proiettando?
Dedicare tempo a recensioni di opere minori e autori meno noti.

Come potete contattarmi?
Link al mio blog: ciak-si-legge.blogspot.com
Mi trovate anche su Facebook https://www.facebook.com/CiakSiLegge e su Twitter https://twitter.com_vale_morlacchi

ps: in risposta alla mamma - giustamente - preoccupata: “certo, che ne vale la pena!”

mercoledì 7 settembre 2016

POVERA PICCINA


di Patrick Dennis
USA, 1961

Il romanzo Povera piccina. Le memorie intime di Belle Poitrine diva del teatro, del cinema e della televisione  è frutto della collaborazione creativa tra Patrick Dennis e Cris Alexander, l'artista e fotografo che introdusse l'autore al mondo dell'omosessualità (qui una dettagliata biografia sulla vita travagliata dello scrittore).
Ispirato da alcune foto appese nello studio di Cris, che sta lavorando a un'inchiesta sulla vita dei pazienti nei manicomi, Patrick gli chiede di scattare una serie di immagini che ritraggano una ‘finta’ star del cinema decaduta per documentare la sua vita. La proposta si concretizza con 165 foto e la stesura della storia di Belle Poitrine, star del palco, dello schermo e della televisione, come cita il sottotitolo del romanzo.
E proprio questo interminabile sottotitolo anticipa l’intento irrisorio dell’autore e anticipa quella che sarà la carriera lavorativa della protagonista, che dopo anni di gavetta, riesce a diventare la star che ha sempre sognato di essere. Una star, tuttavia, priva di talento e ‘piena’ di uomini ricchi e potenti, che Belle sfrutta per la sua ascesa nell’olimpo di Hollywood, nonostante venga riconosciuta e ricordata dal pubblico come una pessima attrice. Ma l’importante, nel bene o nel male, è essere ricordata ed è questo che lei desidera.
Belle Poitrine, nata Belle Schlumpfert da padre ignoto nel 1900, vive e cresce nella città di Venezuela, nell’Illinois, ospite del bordello in cui la madre lavora. Nel 1911, dopo essere stata per la prima volta al cinematografo, decide che la sua vita sarà votata alla carriera di attrice. Inizia così la smodata passione per le luci della ribalta che la porterà a percorrere tutte le strade possibili per ottenere la fama.
Raggirata da Mr. Musgrove, un fotografo che le propone foto di ‘nudo artistico’ e un corto a luci rosse, Belle fugge a Chicago. All’arrivo in stazione l'ingenua Belle viene adescata da Mrs. Potter, che gestisce un bordello. A seguito di una retata nel bordello, Belle viene arrestata e messa in un riformatorio. Dopo essere evasa, Belle viene scritturata per spettacoli di burlesque al Teatro Cameo.
In una sola serata diventa la Signora Poitrine sposando un soldato appena conosciuto, Fred Poitrine, che ben presto troverà la morte al fronte durante la Prima Guerra Mondiale. Intascata l’assicurazione del marito, Belle si trasferisce a New York, in cerca di successo a Broadway, ma ben presto capisce che per rimanere al passo con i tempi deve trasferirsi a Hollywood, la Mecca del cinema.
Dopo alcuni ruoli come comparsa senza successo, decide di tornare a New York per fare la ballerina di fila. In pochissimo tempo riesce a sposare un conte inglese, Cedric Roulstoune-Farjeon. Belle accantona la carriera nello spettacolo per volare con il marito a Londra e cercare di essere accettata nell’alta società aristocratica inglese.
Il matrimonio con Cedric è destinato al fallimento e, di ritorno in America con una figlio in grembo, Belle sposa Morris Buchsbaum, produttore della casa cinematografica Metronome.
Ora che è la moglie di un produttore, Belle ha la possibilità di recitare in numerosi film come protagonista, che sono però un insuccesso dietro l’altro. Sentendosi una star dal talento incompreso, Belle continua imperterrita la sua carriera di attrice. Tra gli attori che lavorano con lei c’è il giovane Letch Feeley, che diventerà il suo partner fisso non solo nei film ma anche nella vita privata extraconiugale.
Di nuovo vedova, Belle eredita la Metronome e la rivoluziona licenziando tutti gli attori che non l’hanno mai apprezzata e affida la gestione finanziaria alla madre, che nel frattempo si è fatta viva quando ha scoperto che la figlia è diventata famosa. Dopo l'ennesimo, fallimentare matrimonio – questa volta con Letch – e ormai sull'orlo della bancarotta, Belle cade vittima dell’alcol.
Dopo altri guai giudiziari, senza sapere come, Belle si trova ubriaca e sposata con un ricco e anziano vedovo, Mr. Frobisher, che di lì a poco la renderà nuovamente una ricca e allegra vedova.
Ora Belle – siamo nel 1960 – si trova nel Connecticut, nella sua lussuosa residenza Belledame Farm, e condivide le sue ricchezze con la madre, un'amica e la figlia. Belle afferma di essere ormai una donna completa e di essersi ritirata dalle scene, felice della sua vita.
Patrick Dennis, dopo il successo di Zia Mame (qui trovate la recensione), ha abituato i lettori a stravaganti personaggi e a romanzi strabilianti; anche per Povera piccina il successo di pubblico è elevato: il romanzo è stato per nove mesi nella classifica dei best-seller del New York Times.
Povera piccina è molto più di un usuale romanzo poiché è nato da una serie di fotografie scattate al personaggio di Belle e attorno alle quali Patrick Dennis ha inventato questa autobiografia fittizia. Belle Poitrine nelle foto è interpretata dalla giunonica modella e attrice teatrale Jeri Archer, all’epoca poco conosciuta ma artista poliedrica.
Il lavoro di Cris Alexander, che ritrae senza sosta Jeri, e di Patrick Dennis, che di volta in volta scrive la vita di Belle ispirato dalle fotografie, dura nove mesi e ricorda le riprese di un vero e proprio film. Patrick ricerca la perfezione, sia per quanto concerne gli allestimenti e le ambientazioni e per i dettagli della storia che rendono realistica la vita di Belle. Inoltre, amici e parenti sono arruolati per interpretare i vari personaggi.
Il risultato di questa collaborazione è un romanzo esilarante: il lettore non cessa di ridere di Belle dalla prima all’ultima pagina a causa dell’ingenuità con cui affronta le sue avventure tragicomiche. Tuttavia, Patrick Dennis, come ha già dimostrato con il romanzo Zia Mame, è un attento scrutatore della realtà sociale e degli esseri umani; anche in questo romanzo, ad un’attenta lettura, si colgono infatti critiche su diversi fronti: critiche alle vecchie glorie decadute del cinema, allo spietato mondo dello star system, alla società americana bigotta, ipocrita e omofoba.

Post scriptum
Ecco a voi una serie di immagini tratte dall'edizione del 2010 pubblicato da Adelphi Edizioni:

La divina Belle Poitrine p. 254
La "vedova allegra" Belle Poitrine p. 224
Belle e Letch sul set di un kolossal pp. 204-205
 
Belle "rivisita" un classico della letteratura p. 173

martedì 30 agosto 2016

22/11/'63


di Stephen King
2011

22/11/'63, la data della morte del 35° presidente americano, John Fitzgerald Kennedy.
22/11/'63, a mio avviso, uno dei migliori romanzi di Stephen King.
Il più controverso presidente della storia e il re del brivido letterario si incontrano in un volume di 767 pagine che, nonostante la mole, si leggono tutte d'un fiato.
22/11/'63 è senza dubbio un grande romanzo di fantascienza – il protagonista cerca di impedire l'assassinio di Kennedy attraverso un varco temporale che lo riporta alla fine degli anni Cinquanta – ma è anche, per molti critici, un romanzi storico, data la dovizia dei dettagli della vita negli Stati Uniti degli anni Cinquanta e Sessanta.
Personalmente, mi immagino Stephen King che sguinzaglia i suoi aiutanti per biblioteche e archivi storici alla ricerca di tutte le informazioni sullo stile di vita e la mentalità dell'epoca. I più critici ritengono addirittura che King non sia nemmeno l'autore materiale dei suoi ultimi libri, che farebbe scrivere da ghostwriter, per apporvi solo alla fine la sua redditizia firma.
Questo, ovviamente, non ci è dato sapere. Quello di cui sono sicura è che 22/11/'63 è un'immensa mole di lavoro, che è stata perfettamente gestita e dove ogni elemento trova il proprio posto: l'anima dei personaggi è indagata nel profondo, gli eventi e le storie si intrecciano in modo impeccabile e coerente, i colpi di scena non mancano e la curiosità di sapere cosa succederà al protagonista è sempre alta.
Finita la lettura mi è parso di dover dare l'addio al protagonista, Jake Epping, come se fosse una persona reale alla quale mi ero affezionata.
Jake è un insegnate che vive nel Maine, a Lisbons Fall, ed è appena stato abbandonato dalla moglie. L'uomo, per arrotondare lo stipendio, tiene dei corsi serali per adulti. Mentre corregge il tema di Harry Dunning, il bidello claudicante della scuola, Jake viene a conoscenza della sua tragica storia. Nella notte di Halloween del 1958 Dunning, all'epoca bambino, sopravvive alla furia omicida del padre alcolizzato che uccise l'intera famiglia con un martello. Questa storia colpisce profondamente Jake.
Nel frattempo l'anno scolastico giunge al termine e Jake si ritrova, solitario e depresso, a mangiare come d'abitudine alla tavola calda di Al Tempelton. L'uomo, all'improvviso, gli rivela un segreto che darà una svolta alla sua vita: nel retro del locale c'è un varco temporale che porta al 9 settembre del 1958. Al Tempelton gli spiega inoltre che è sua intenzione sfruttare questo varco per cambiare il corso della storia e impedire l'assassinio del presidente Kennedy al fine di evitare la guerra del Vietnam e la morte di tantissimi soldati.
Jake ha modo di appurare che Al non mente, provando a varcare di persona la soglia temporale e trovandosi effettivamente nel 1958. Al racconta all'insegnate tutti i dettagli che è riuscito a scoprire sul funzionamento del varco durante i suoi ripetuti viaggi nel passato: ogni volta che si fa ritorno al 1958, le modifiche fatte in precedenza agli eventi si annullano e la storia si “resetta”. Al scopre inoltre che il passato è restio a essere cambiato, come se fosse governato da una forza animata che oppone resistenza ai cambiamenti e a chi cerca di provocarli.
Al rivela a Jake di essere gravemente malato e cerca quindi di convincere l'insegnate a compiere il salvataggio di Kennedy al suo posto. Jake, scettico sulla possibilità di riuscita dell'impresa, decide di pensarci. Nel frattempo, vuole testare il varco temporale e tornare indietro nel tempo per sventare la strage della famiglia del bidello Dunning. Giunto nel 1958, Jake assume una nuova identità: sarà George Amberson, scrittore in cerca di tranquillità per scrivere il suo romanzo.
Si stabilizza così nella cittadina natale di Dunning, Derry, in attesa che giunga la notte del 31 ottobre. Durante questo periodo Jake/George faticherà molto a integrarsi nella comunità, a causa del clima di tensione e sospetto nei confronti dei forestieri. La cittadina è infatti succube di un misterioso killer di bambini. Si tratta di It, il clown assassino protagonista dell'omonimo romanzo di King del 1986, che non viene però menzionato direttamente dal narratore.
Jake/George riesce a sventare in extremis la strage dei Dunning e a salvare l'intera famiglia. Fatto ritorno al 2011 scopre però che Harry Dunning è morto successivamente nella guerra del Vietnam.
La situazione per Jake si complica quando Al si suicida per indurlo a compiere la missione di salvare JFK. Jake si vede così costretto a ritornare al 1958 e ri-salvare Dunning e restare nel passato fino al 1963 per impedire la morte di Kennedy, evitando così la guerra del Vietnam e la morte di Dunning.
Ritorna quindi nel 1958 e ricomincia la vita di scrittore a Derry. Questa volta sventerà facilmente la strage dei Dunnig e partirà subito alla volta di Dallas, in Texas, in attesa del giorno fatidico, il 22 novembre 1963. Resterà tuttavia ben poco in città. Jake/George avverte un'oscura presenza che permea Dallas e decide così di trasferirsi in una piccola cittadina, Jodie.
Tra il '58 e il '63 Jake vivrà una doppia vita: insegnate e scrittore di giorno, investigatore improvvisato di notte. Si dividerà tra una bella casa in una comunità dove è amato da tutti e un appartamento fatiscente in periferia, dal quale potrà seguire le mosse di Lee Harvey Oswald, l'assassino di JFK.
Le indagini di Jake/George lo condurranno a conoscere ogni dettaglio della turbolenta vita di Oswald – personaggio realmente esistito e ritenuto unico responsabile della morte di Kennedy – un fanatico comunista e uomo violento. Quando non è alle prese con le indagini, Jake/George vive la sua nuova vita in stile anni Sessanta, facendo non poca fatica ad adattarsi alle abitudini di quell'epoca. Una volta entrato nel pieno spirito di quegli anni, l'uomo trova anche l'amore.
Sadie, la nuova bibliotecaria della scuola, conquista Jake/George con la sua spontaneità e i due iniziano una relazione. La loro storia d'amore è così profonda che l'uomo decide che, dopo la sua missione del 22 novembre, resterà negli anni Sessanta per sposare Sadie, senza fare più ritorno al 2011.
Tuttavia, Jake/George era stato avvertito da Al: il passato non vuole essere cambiato e oppone resistenza. Il 22 novembre 1963 è alle porte e, dopo una serie di peripezie e colpi di scena, arriva per Jake/George il momento di cambiare il corso della storia.
La missione avrà esito positivo, ma questo costerà una tragica perdita per l'uomo che, dopo il salvataggio di JFK, diventa un eroe nazionale.
Messo in fuga dai servizi segreti, che lo ritengono una spia sovietica, Jake è costretto a tornare al 2011. Scoprirà che la sua azione ha avuto conseguenze catastrofiche per l'America e il mondo intero, che versa in uno stato selvaggio e anarchico a causa di disastri ambientali e bombe atomiche.
All'uomo non resta che prendere una decisione: salvare l'intera umanità o tornare dalla sua amata Sadie?
Stephen King sfrutta una trama avvincente e ricca di suspence per trattare in maniera critica la cultura americana dei primi anni Sessanta, caratterizzata da razzismo, segregazionismo, bigottismo, tabù sessuali, fobia per il comunismo e isteria collettiva per le testate nucleari.
Finzione e realtà storica si fondono in maniera perfetta per raccontare le ansie e le fobie di un'America che oggi, forse, non è poi così diversa da quella degli anni Sessanta.

martedì 26 luglio 2016

Mary Poppins, la magia dell’infanzia da Pamela Travers a Walt Disney


Abbandonare ogni sorta di senso logico e non imporsi limiti alla fantasia, ecco lo spirito giusto con il quale guardare il film-musical Mary Poppins (1964) di Robert Stevenson se si è già adulti.
Ricordo di aver guardato questo film una volta, da piccolina, su una videocassetta a casa di una cuginetta, poiché a casa mia – udite udite – non esistevano videoregistratore e vhs e la tv la si guardava di rado. Eppure sono sopravvissuta e sono cresciuta comunque senza traumi pur non essendomi sorbita tutti i film di Walt Disney come i miei coetanei.
È vero, le favole targate Disney sono abbastanza stereotipate e, per i miei gusti, ci sono troppe principesse in rosa. Quando ero piccola, addosso a me un vestitino elegante si sarebbe subito sporcato e nessuna acconciatura con fiocchi sarebbe durata più di un minuto.
Confesso che adesso, ormai adulta, non disdegno però di guardare qualcuno di questi cartoni animati o film Disney per capire che cosa mi sia persa durante l’infanzia.

Uno di questi è appunto Mary Poppins, del quale ho scoperto alcune informazioni curiose riguardandolo poco tempo fa. La famosissima super-tata londinese nasce dalla penna della scrittrice inglese Pamela Lyndon Travers, di origini australiane, che aveva creato il personaggio di Mary Poppins per donare un po’ si svago a se stessa e alle sorelline, alleviando così il clima teso nel quale vivevano a causa dei problemi di salute della madre.
Per continuare la lettura delle avventure di Mary Poppins, cliccate qui, di rimando allo rivista Libreriamo..

lunedì 11 luglio 2016

About a boy, quando crescere è un gioco di squadra. Dal romanzo di Nick Hornby al film dei fratelli Weitz

Nick Hornby è uno scrittore poliedrico e di talento che, grazie ai suoi romanzi, riesce a trasmettere emozioni profonde del quotidiano, nelle quali il lettore riesce a riconoscersi.
Hornby, il cui successo letterario inizia con Febbre a 90° (1992), sconfina anche nel mondo della musica e del cinema. Ha scritto saggi sulla musica pop e ha composto le canzoni per l’album Lonely Avenue di Ben Folds.
Ha partecipato in veste sceneggiatore in alcuni film, tra cui Wilde (2014) di Jean-Marc Vallée. Non solo: ha sempre contribuito alla sceneggiatura dei numerosi adattamenti cinematografici dei suoi romanzi: Alta fedeltà con John Cusack e L’amore in gioco con Jimmy Fallone e Drew Barrymore (tratti entrambi da Alta fedeltà, 1995), Non buttiamoci giù con Pierce Brosnan, tratto dall’omonimo romanzo del 2005.
I suoi romanzi incontrano sempre grande favore di pubblico, ed è forse per questo motivo che vengono spesso portati sul grande schermo. Con sensibilità, ironia e realismo Hornby crea storie e personaggi ai quali è difficile non affezionarsi. Esattamente quanto succede per una delle storie più conosciute di Hornby: About a Boy del 1998 e trasposto al cinema dai fratelli Weitz nel 2002.
Il romanzo About a Boy ha venduto più di un milione di copie, diventando così uno dei romanzi più venduti nel Regno Unito, patria dello scrittore.  
About a boy (in italiano tradotto con il titolo Un ragazzo) narra le vicende dell’incontro inaspettato tra due persone, Will, scapolo impenitente, e Marcus, un ragazzino chiuso in se stesso, e dell’amicizia che nascerà tra loro e che, poco per volta, diventerà un rapporto pari a quello tra fratello maggiore e minore – se non tra padre e figlio.
Per proseguire la lettura della storia di Will e Marcus sulla rivista Libreriamo, cliccate qui..  

Julieta, storia di una donna da Alice Munro a Pedro Almodóvar


L’atteso film di Pedro Almodóvar – ispirato a tre racconti della raccolta In fuga (2004) del Premio Nobel Alice Munro – è finalmente nelle sale cinematografiche e io, da amante di questo regista, mi sono fiondata a vederlo. E, quando vai a vedere un suo film, sai già cosa ti aspetta: storie di donne, storie di solitudine, relazioni complicate e uno scavare profondo nell’anima dei personaggi.
Tuttavia, Almodóvar riesce sempre a stupire proponendo delle storie che non annoiano, caratterizzate da sorprese e colpi di scena. Inoltre, a mio parere, la calda e confortevole ambientazione latina delle vicende favorisce l’immedesimazione nei personaggi, che paiono molto più vicini rispetto a quelli interpretati dai divi hollywoodiani.
E pensare che inizialmente, nel 2009 (anno in cui Almodóvar acquistò i diritti di In fuga), per la parte di Julieta era stata scritturata Meryl Streep e il regista aveva pensato di girare le scene tra il Canada (dove sono ambientati i racconti di Alice Munro) e New York. Ma il regista, poco propenso a scrivere una sceneggiatura in inglese, abbandonò l’idea e per anni accantonò il progetto del film.
Tempo dopo, spinto dai suoi collaboratori, Almodóvar decide di rimettere mano al lavoro ma di ambientare la storia in Spagna, a Madrid, di scrivere la sceneggiatura nella sua madrelingua e scritturare attrici spagnole, meno note al grande pubblico internazionale.
Almodóvar scrive la storia di Julieta ispirandosi a tre dei racconti presenti nella raccolta In fuga: Fatalità, Fra poco e Silenzio. Inizialmente decide di intitolare il suo lavoro Silencio (Silence in inglese) ma, in post-produzione, cambia idea per evitare che venga confuso con Silence di Martin Scorsese, anch’esso in uscita nel 2016. L’opera ultimata prende il titolo dal nome della protagonista, Julieta per l’appunto.

Julieta (Emma Suàrez nel film) è una donna di mezza età che vive a Madrid e sta per trasferirsi in Portogallo con il fidanzato. È tutto pronto per la partenza e ogni oggetto di casa sua è imballato negli scatoloni. Julieta sembra decisa ad abbandonare per sempre Madrid, una città piena di dolorosi ricordi e dove ha passato parte della sua vita.
Per scoprire l'intera vicenda di Julieta, cliccate qui per proseguire la lettura sulla rivista Libreriamo.. 

mercoledì 8 giugno 2016

FUOCOAMMARE



di Gianfranco Rosi
Italia, 2016

Un anno intero passato a vivere su un lembo di terra di 20 km² in mezzo al mar Mediterraneo e con una telecamera in spalla, a filmare la vita degli isolani e gli sbarchi degli immigrati. È così che nasce Fuocoammare, il documentario di Gianfranco Rosi che racconta di Lampedusa.
Lampedusa, isola molto più vicina alle coste africane che non a quelle italiane, è certamente nota a tutti per gli sbarchi dei profughi che fuggono da molti Paesi dell’Africa e che raggiungono proprio quest’isola ubicata nel Canale di Sicilia alla ricerca della salvezza.
Rosi ha girato personalmente tutte le scene, senza l’aiuto di nessuna troupe. Solo lui, la telecamera e l’isola nella sua purezza. Ha scelto di raccontare la vita degli abitanti di Lampedusa attraverso le vicende del piccolo Samuele, un bambino che proviene da una famiglia di pescatori.
Samuele è molto diverso dai bambini iper-tecnologici a cui siamo abituati oggi. Niente tv, cellulare o videogiochi. Gli bastano pochi oggetti per costruire una fionda e divertirsi con l’amico, in mezzo alla natura, a dare la caccia agli uccelli.
Samuele rappresenta la genuinità di una popolazione che da vent’anni a questa parte si sta facendo carico di una tragedia che pare essere senza fine e senza soluzione. Eppure, Samuele non incontra mai nessun immigrato o, almeno, durante il periodo delle riprese. Il mezzo con cui lui e la sua famiglia si tengono aggiornati è la radio locale, che trasmette musica e notizie relative agli sbarchi.
È proprio alla radio che la nonna di Samuele, instancabile massaia che prepara manicaretti, affida una dedica con l’augurio che le condizioni meteo migliorino e i pescatori possano lavorare in mare. Chiede di ascoltare una canzone siciliana che si intitola “Fuocoammare”. Già in precedenza questa parola, “fuocoammare” ovvero il mare che va a fuoco, era stata evocata proprio da lei, quando racconta al nipote che ai tempi della Seconda Guerra Mondiale – quando Lampedusa era avamposto delle forze armate per la sua posizione centrale nel mar Mediterraneo – i bombardamenti riflettevano sul mare dei bagliori rossi come il sangue.
Nella vita della famiglia di Samuele non ci sono tv e programmi-spazzatura che puntano a spettacolarizzare la tragedia per far salire gli ascolti e che ci riempiono la testa di informazioni faziose o distorte, piene di pregiudizi. C’è solo lo sguardo innocente che vede senza filtri la situazione per quella che è (e che il regista sceglie di farci vedere). Eppure, un piccolo “difetto” c’è: Samuele ha un occhio “pigro”, che non vede bene come dovrebbe e saprebbe fare perché non manda le immagini al cervello. L’oculista prescrive al bambino un paio di occhiali e un occlusore, con il quale oscurare l’occhio sano per costringere l’occhio pigro a lavorare e recuperare la vista.
Questo dell’occhio potrebbe essere un fatto come un altro nella vita del ragazzino, ma potrebbe anche significare qualcosa di più: essere metafora della nostra condizione, quella di spettatori passivi dinnanzi alle tragedie dei profughi, che guardiamo ma non vediamo veramente, perché anche noi abbiamo l’occhio pigro, assuefatto dai pregiudizi alimentati dall’infotainment televisivo e dal razzismo.
Oltre alla famiglia di Samuele vi è anche un’altra presenza sull’isola che viene ripresa, quella preziosissima del Dottor Pietro Bartólo, il medico di Lampedusa. Oltre ad occuparsi degli abitanti in qualità di medico, Bartólo lavora al centro di accoglienza per prestare le prime visite e l’assistenza medica necessaria ai profughi che approdano sulla terraferma dopo i giorni passati in mare sulle navi.
Le condizioni in cui queste persone arrivano dal mare sono disperate ed è proprio Bartólo (unica voce esplicativa in tutto il documentario) a spiegare come funziona la traversata: in base a quanto pagano, dagli 800 ai 1.500 dollari, i migranti vengono stipati dai piani più bassi (nella stiva) a quelli più alti della barca. Vengono poi abbandonati in mare e recuperati dalle forze dell’ordine e dai volontari, che li traghettano sino all’isola di Lampedusa, dove ricevono le prime cure mediche e dove vengono anche ritrovati i cadaveri di coloro che non hanno superato il viaggio.
Il regista riprende due salvataggi e le scene sono oggettive, crude e reali, prive di commento: si sentono solo le incitazioni e le domande dei volontari e militari e le voci sommesse e disperate degli immigrati. Gli sbarchi si commentano da sé, senza il bisogno di un conduttore tv che descriva la tragedia per suscitare compassione ed inutili sentimentalismi.
La tragedia non è gridata, è presentata così come la vedono quotidianamente coloro che ne fanno parte, che la subiscono o che la arginano.
Sono poche le scene forti, ma quelle poche bastano per imprimere nella memoria la portata dell’evento e la sofferenza vissuta dai naufraghi e a ricordarci che questa tragedia si sta ripetendo ormai da anni senza che venga trovata alcuna soluzione per aiutare i profughi e supportare gli abitanti di Lampedusa a far fronte a quella che viene banalmente definita “emergenza”, che dura però da oltre vent’anni e che, per definizione, non può più essere tale.
Inutile dire che Fuocoammare è un film che tutti dovremmo vedere e che, magari, ci dovremmo mettere tutti un occlusore come il piccolo Samuele per sforzarci di capire davvero la portata di questi eventi e il dolore di questa gente che viene dal mare. 

lunedì 6 giugno 2016

Dead Ringers, vita morbosa di due gemelli inseparabili da Wood&Geasland a Cronenberg


Ho appena finito di guardare il film Dead Ringers (Inseparabili) di David Cronenberg e mi accorgo di essere ancora aggrappata al bracciolo del divano per il turbinio di emozioni che ha suscitato in me. Ansia e inquietudine miste a una sensazione di spaesamento che ti lascia qualcosa di ‘disturbante’ e ‘perverso’.
E, aggiungo, anche un po’ di sana ‘paura’ da film horror (un genere che non amo particolarmente). Eppure, nel film non ci sono mostri, sangue a fiumi, mutilazioni o assassini che sbucano da dietro una porta con una motosega in mano. Tuttavia, l’intera storia dei gemelli monozigoti Mantle è pervasa da un clima malato, insano e inquietante che fa da preludio a una tragedia annunciata.
Lui, David Cronenberg, è il regista che ha inventato il genere del body horror (che intreccia l’aspetto psicologico con l’orrore dell’uomo dinnanzi al corpo mutato dalla malattia) e quello di cui vi racconto oggi è un film capolavoro, reso tale dalla sua genialità, oltre che dall’interpretazione di un magistrale Jeremy Irons, che recita entrambi i protagonisti, i due gemelli inseparabili Beverly ed Elliot Mantle.

Il film è uscito nel 1988 ed è tratto dall’omonimo romanzo del 1977, che in origine fu pubblicato col titolo Twins e ripubblicato successivamente come Dead Ringers. Il romanzo fu scritto a quattro mani da Jack Geasland e Bari Wood, noto autore di horror e fantascienza, che si ispirarono a fatti di cronaca nera realmente accaduti a New York negli anni Settanta.
Continuate qui la lettura dell'articolo, sulla rivista Libreriamo.. 

Psycho, dal romanzo di Bloch al film di Hitchcock


Oggi voglio raccontarvi di due capolavori, uno della letteratura e uno del cinema. In comune hanno lo stesso titolo: Psycho. Il primo è stato scritto da Robert Bloch nel 1959, il secondo (probabilmente il più conosciuto) è stato diretto da Alfred Hitchcock nel 1960.
Il maestro del brivido, che si è ispirato al romanzo di Bloch per il suo film forse più famoso, è stato anche un maestro nello scovare autori e racconti geniali, ma poco noti soprattutto al di fuori dell’America, e farli conoscere al grande pubblico, me compresa. Sono infatti numerosi i romanzi ai quali si è ispirato per i suoi film e Psycho ne è un esempio.
Robert Bloch è uno scrittore che si è dedicato principalmente ai generi horror, pulp, fantasy e giallo, collaborando anche come sceneggiatore nel mondo del cinema (ha scritto la sceneggiatura di tre episodi di Star Trek). La sua opera più nota è appunto Psycho, un romanzo che unisce elementi del thriller, del giallo e dello psicologico, dosando sapientemente la suspence e i colpi i scena (ho contato ben tre colpi di scena in una delle pagine finali). Tutto questo ti tiene incollato al libro fino alla fine. Ovviamente, avendo visto prima il film, sapevo cosa aspettarmi e quale sarebbe stato il finale, ma lo stile di Bloch rende la storia così imprevedibile e movimentata – e per certi versi macabra – che non ho smesso di stupirmi comunque fino alla fine.

La protagonista è Mary Crane (che nel film avrà il nome di Marion), un’impiegata di città che fugge dal proprio ufficio con i soldi di un cliente. Con questi 40.000 dollari la ragazza ha intenzione di iniziare una nuova vita insieme a Sam Loomis, proprietario di una ferramenta di provincia e pieno di debiti, nonché ignaro del furto e con il quale ha una storia a distanza. I due tardano a sposarsi in quanto prima, il metodico e razionale Sam, vuole appianare i debiti del padre e garantirsi un futuro stabile con Mary.
Per sapere come andrà a finire la fuga di Mary e molte curiosità sulla storia da cui sono tratti libro e film, continuate qui la lettura, sulla rivista Libreriamo..