giovedì 21 aprile 2016

“Amabili resti”, dal libro di Alice Sebold al film di Peter Jackson



Ricordo Amabili resti (2009) di Peter Jackson come uno dei film più tristi e svuotanti che abbia mai visto. E questo non perché non sia bello, anzi. È uno di quei film che ti lascia l’amaro in bocca e un’infinita tristezza dentro, tanto è l’immedesimazione e il coinvolgimento con la tragedia della famiglia Salmon, la cui giovane figlia Susie è brutalmente uccisa dal vicino di casa, George Harvey, e il cui omicidio rischia di rimanere impunito.
Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Alice Sebold del 2002, che ha avuto un notevole successo di pubblico. Ancor prima che l’autrice terminasse la stesura definitiva del libro, la casa di produzione cinematografica inglese Film4 si era mossa per acquistarne i diritti d’autore, sicura del successo del romanzo. Poi, per una serie di rinvii legati alla produzione, il film uscirà solo nel 2009.
Tra le cause di questo ritardo vi è stato anche il problema della scena finale, quella in cui l’assassino muore in un dirupo, che è stata completamente riscritta e rifatta: il pubblico che aveva visto in anteprima il film prima dell’uscita si era dichiarato insoddisfatto della morte dell’assassino che, secondo loro, avrebbe dovuto soffrire maggiormente e perire di una morte più tragica.
In effetti, grazie all’interpretazione da candidatura all’Oscar, l’attore Stanley Tucci dà vita a un personaggio così malvagio, impassibile e privo di sentimenti che il finale del film (diversamente dal romanzo, in cui il killer resta impunito) è un sollievo per lo spettatore.
Guardando il film si partecipa con ansia e suspense alle ricerche della famiglia Salmon per trovare e incastrare l’assassino della figlia quattordicenne, Susie.
Per sapere come prosegue la storia di Susie, cliccate qui, sulla rivista Libreriamo..

Edward mani di forbice, dal film al fumetto



Molti dei film del regista Tim Burton sono per me veri e propri capolavori gotici. Basti pensare a Il mistero di Sleepy Hollow (1999), La sposa cadavere (2005), Sweeney Todd (2007), Alice in Wonderland (2010), Dark Shadows (2012) o, ancora, Frankeweenie (2012). Si tratti di un film d’animazione o di un lungometraggio con attori in carne e ossa, sono numerosi i personaggi a cui è riuscito a dare vita e che sono entrati nella storia del cinema.
Lo stravagante – e un po’ inquietante – Edward, protagonista di Edward mani di forbice (1990), ne è sicuramente uno dei più famosi. Credo che chiunque, seppur non abbia visto il film, possa facilmente riconoscerne l’icona. Già, perché alcune delle creature scaturite dalla fantasia di Tim Burton sono diventate vere e propri simboli del cinema, proprio come Edward, un essere “speciale” in quanto dotato di forbici al posto delle mani.
Edward (interpretato da Johnny Depp) è stato creato da uno scienziato che, come un moderno  dottor Frankenstein, ha dato la vita al giovane ragazzo, senza tuttavia completarlo poiché morto prematuramente.
Edward ha sempre vissuto solo e isolato nel castello in cima a una collina di un’anonima cittadina americana, finché viene trovato da Peggy Boogs (Dianne Wiest nel film), che decide di portarlo a casa sua ed educarlo alle convenzioni sociali. 
Per proseguire la lettura dell'articolo cliccate qui, sulla rivista Libreriamo..

lunedì 4 aprile 2016

AMERICAN BEAUTY

di Sam Mendes
USA, 1999
con Kevin Spacey, Annette Bening, Thora Birch e Mena Suvari




Dieci riscritture della sceneggiatura e un minuzioso lavoro su personaggi, inquadrature, ambienti e musiche per cinquanta giorni di riprese. Ecco come è nato uno dei capolavori del cinema contemporaneo, American Beauty di Sam Mendes, il quale ha vinto l’Oscar come miglior regista.
Niente male, se si pensa che è stato il primo film che Mendes ha diretto come regista cinematografico, dopo numerosi anni trascorsi nel teatro.
Il progetto di American Beauty nasce dalla mente di Alan Ball, che nel 1997 scrive la sceneggiatura del film (per la quale vincerà l’Oscar come migliore sceneggiatura originale), i cui diritti vengono acquistati dalla DreamWorks di Steven Spielberg. Dopo diversi registi scartati, la sceneggiatura viene sottoposta a Sam Mendes, il quale ne è entusiasta e viene incoraggiato dallo stesso Spielberg a dirigerne il progetto.
Sicuramente Mendes ha compiuto un ottimo lavoro, realizzando un film divenuto cult, soprattutto per la famosissima scena in cui il protagonista, Lester Burnham, sogna l’amica della figlia adolescente, Angela, nuda sotto una pioggia di petali di rose rosse, della specie “American Beauty”.
Queste rose sono quelle che la moglie di Lester, Carolyn, coltiva nel loro perfetto giardino, nella loro perfetta e immacolata villetta. I due sono, insomma, la tipica quanto stereotipata famiglia borghese americana.
La voce fuori campo di Lester ci racconta della sua vita, che trascorre in un tranquillo sobborgo tra le pretese di una moglie petulante e frustrata che cerca di affermarsi nel settore dell’immobiliare, un lavoro d’ufficio per nulla appagante e una figlia adolescente, Jane, che si rifiuta di parlare con lui.
L’esistenza di Lester sembra volgere al peggio, quando una sera si manifesta ai suoi occhi l’immagine di una visione paradisiaca: Angela, un’amica della figlia sedicenne, in tenuta da cheerleader che sgambetta sul campo da gioco di una partita della scuola. La ragazza è l’esatto opposto di Jane: tanto Jane è solitaria, chiusa e intelligente, quanto Angela è superficiale e attenta solo all’apparenza.
L’uomo rimane ammutolito dinnanzi ad Angela, come un adolescente alla sua prima cotta. Sua figlia Jane se ne accorge subito, mentre Carolyn, sempre interessata solo a se stessa, non nota il cambiamento del marito.
Deciso a sedurre Angela, come se si fosse improvvisamente svegliato da un incubo, Lester capisce la banalità della sua vita, soggiogata dalla regole sociali e dalle aspettative che gli altri hanno su di lui. Darà così luogo a una serie di cambiamenti drastici: si licenzia per trovare un lavoro privo di responsabilità in un fast-food, si compra l’auto dei propri sogni, inizia a fare attività fisica in vista della conquista di Angela e inizia a fumare marijuana.
Lo spacciatore che rifornisce Lester è il suo giovane vicino di casa, Ricky, nonché nuovo fidanzato di sua figlia. Ricky è un ragazzo molto sensibile e solitario, che ama riprendere tutto con la sua videocamera. Suo padre, il colonnello Frank Fitts, è un uomo violento e repressivo che cerca di mantenere il controllo sul figlio. Ricky, tuttavia, è molto scaltro nel tenere nascosta la sua attività di pusher, che gli permette di comprare molte apparecchiature tecnologiche di cui ama circondarsi nella solitudine della sua stanza.
Nel frattempo, mentre la relazione tra Jane e Ricky diventa sempre più seria tanto che i due pianificano una fuga d’amore, Lester passa al piano d’attacco per sedurre finalmente Angela.
Il momento tanto sognato da Lester sta per diventare realtà: è riuscito a rimanere solo in casa con Angela che, dopo un litigio con Jane e Ricky, cerca conforto proprio nell’uomo, ben consapevole delle sue intenzioni. L’incontro tanto agognato non andrà esattamente come Lester immaginava da mesi, ma emergerà di lui un lato umano e sensibile che lo farà rivalutare nonostante la sua pessima idea di sedurre la sedicenne Angela.
In questa notte, che potrebbe essere come tante altre ma non lo sarà, ha inizio un crescendo di eventi ed emozioni che travolgono tutti i personaggi, che si ritroveranno tutti, chi per un motivo e chi per un altro, nella casa dei Burnham, segnandone per sempre il destino: un colpo di pistola e la fine di una vita.
La bravura interpretativa degli attori – basti citare Kevin Spacey – porta i personaggi a un livello eccellente di credibilità tale per cui lo spettatore si lascia coinvolgere nei loro litigi e nella loro vita al punto da schierarsi con l’uno piuttosto che con l’altro.
E, tuttavia, si deve molto anche al lavoro di Sam Mendes: le musiche, la fotografia, le inquadrature e gli ambienti contribuiscono a completare il quadro perfetto di questa imperfetta famiglia americana.
Il film tratta inoltre di numerose tematiche, quali la famiglia come trappola, la frustrazione della vita quotidiana, gli schemi sociali, l’apparenza, l’incomunicabilità nelle relazioni, l’egoismo e, soprattutto, la ricerca della bellezza. C’è chi coltiva la bellezza apparente, quella effimera ed esteriore (come Angela e Carolyn) e chi invece è alla ricerca della vera bellezza, quella che va oltre l’apparenza ed è negli occhi di guarda, magari attraverso una videocamera come fa Ricky, o rivalutando la propria esistenza, come ha fatto Lester.

Jack Frusciante è uscito dal gruppo di Enrico Brizzi, dal libro al film



Ho scoperto il romanzo Jack Frusciante è uscito dal gruppo (1994) di Enrico Brizzi quando ormai ero già ventenne. Scrivo “ormai” perché, a mio avviso, per calarsi appieno nelle vicende dei due protagonisti, Alex D. e Aidi, bisognerebbe leggerlo mentre si è adolescenti, proprio come loro due.
Quando lessi il libro frequentavo già l’università e mi ero lasciata alle spalle i difficili anni del liceo. Da giovane imbranata quale ero, per cinque anni avevo varcato ogni giorno la soglia dell’aula già sapendo che la giornata si sarebbe divisa tra interrogazioni da incubo, insegnanti-dittatori e compagne-arpie (riuscire a sopravvivere in una classe composta da una ventina di ragazze si è poi rivelato utile nella vita!).
Ammetto che fui attratta dal romanzo soprattutto per il richiamo di Frusciante (John, il chitarrista dei Red Hot Chili Peppers, che nel romanzo diventa Jack per motivi di copyright) nel titolo: all’epoca impazzivo letteralmente per questo gruppo, che proprio in quel periodo era tornato alla ribalta dopo una lunga assenza.
L’università mi aveva fatto scoprire nuovi orizzonti: la voglia di imparare, di viaggiare, di essere economicamente indipendente, di conoscere persone nuove, la curiosità di approfondire i miei gusti letterari e cinematografici e sconfinare senza limiti nella cultura. Avevo, insomma, ufficialmente superato la fase dell’adolescenza, ed ero una nuova persona. O, meglio, come direbbe Alex D., ero finalmente “uscita dal gruppo”: avevo abbandonato le stupide convenzioni che ti fanno sentire parte di un gruppo ma che, in realtà, ti tarpano le ali e ti impediscono di essere te stesso. È quello che cerca di fare anche Alex D., ragazzo bolognese di 17 anni. Se volere scoprire la sua storia, cliccate qui, sul mio articolo per la rivista Libreriamo..