venerdì 27 marzo 2015

LA VITA E' BELLA



di Roberto Benigni
con Roberto Benigni, Nicoletta Braschi, Giorgio Cantarini
Italia, 1997
Attenzione: contiene spoiler


«La vita è bella. Invito le generazioni future a purificarla da ogni male, oppressione e violenza e a goderla a pieno». È quanto riporta Lev Trockij – politico e rivoluzionario bolscevico – nel Testamento politico del 27 febbraio 1940. E’ anche la frase che ha ispirato Roberto Benigni per dare il titolo all’opera cinematografica che molti, critici e non, ritengono il suo massimo capolavoro.
Il titolo originariamente pensato dal regista e attore è “Buongiorno principessa” (la frase che Guido, il protagonista, usa per salutare la sua amata Dora), ma Benigni decide di cambiarlo all’ultimo, poco prima dell’uscita nelle sale cinematografiche. In questa frase di Trockij vi è racchiusa l’essenza del film: il male, l’oppressione e la violenza sono rappresentati dal nazismo e dal folle piano dello sterminio degli ebrei, mentre la bellezza della vita è rappresentata dall’amore, quello che si prova per la propria famiglia.
Nonostante il film tratti di un tema così delicato e toccante come lo sterminio degli ebrei, la violenza non è tangibile e visibile, ma è comunque intuibile e immaginabile. Gli orrori perpetrati dal regime nazista sono trattati con garbo e leggerezza, ma non con superficialità. Ciò che nel film è invece tangibile ed evidente è l’amore, che pervade le due parti in cui esso è nettamente diviso.
La prima parte si svolge ad Arezzo, nel 1938, anno in cui Mussolini introduce le leggi razziali in Italia. Guido Orefice è un giovane italiano ebreo che sogna di aprire una libreria e, nel frattempo, si guadagna da vivere lavorando come cameriere nell’hotel in cui lavora anche suo zio Eliseo. Guido possiede una personalità spiccata e una comicità innata, caratteristiche che gli consentono di essere benvoluto da tutti, eccetto da Rodolfo, un arrogante burocrate fascista, che non vuole concedergli i permessi per avviare l’attività di libraio. La vita di Guido è allietata dagli incontri fortuiti e casuali con la dolce Dora, maestra della scuola locale, che rapisce il suo cuore. Questi, inizialmente ignaro che lei sia fidanzata con Rodolfo, comincia un corteggiamento serrato, dimostrandole di essere veramente innamorato di lei e disposto a tutto per lei, ma sempre con ironia, tenerezza e un pizzico di follia. Guido, nella sua “stranezza” e particolarità, dimostra a Dora di essere un uomo di gran cuore e disposto a tutto pur di conquistarla, come ad esempio rapirla durante la sua festa di fidanzamento con Rodolfo, portandola via in sella ad un cavallo che i fascisti hanno sfregiato con la scritta “cavallo ebreo” e colorato di verde.
Passano sei anni e lo spettatore è condotto nella seconda parte del film. Guido e Dora sono ormai  sposati e hanno un figlio, il piccolo Giosuè. Siamo nel 1944 e la vita della famiglia Orefice trascorre abbastanza tranquillamente, nonostante il periodo storico sia ancora critico a causa delle dittature fascista e nazista. Guido ha finalmente aperto la libreria e Dora continua a insegnare a scuola. Il piccolo Giosuè è molto amato dai genitori, che vivono un’esistenza serena e appagante. Un giorno, all’improvviso, il loro mondo crolla: Guido, Giosuè ed Eliseo, in quanto ebrei, vengono prelevati dalle SS e caricati sui vagoni di un treno destinato al campo di concentramento di Gries (Bolzano). Dora, che non è ebrea, supplica la guardia di lasciarla salire sul treno: non vuole abbandonare la propria famiglia e lo dimostra con questo grande gesto di amore e sacrificio.
Guido intuisce immediatamente il destino al quale stanno andando incontro e decide di proteggere il figlio inscenando un gioco: racconta al piccolo che si tratta di uno speciale regalo di compleanno, in cui è necessario superare delle difficili prove per vincere un carro armato. Nonostante i toni della vicenda siano ora più cupi, Guido mantiene sempre il sorriso e con le sue parole riesce a trasformare la prigionia e le sue rigide regole in divertimento agli occhi di Giosuè, che rimane ignaro del presagio di morte che aleggia nel campo. Come tutti i bambini, Giosuè è sveglio e curioso e con le sue domande riesce spesso a mettere in difficoltà Guido, che ha comunque sempre una risposta pronta per dissipare i dubbi del bambino.
L’amore di questo padre per il proprio figlio supera le difficoltà  e le torture fisiche e psicologiche alle quali i detenuti sono quotidianamente sottoposti. Guido salva la vita del piccolo Giosuè una prima volta quando tutti i bambini prigionieri vengono condotti alle camere a gas: egli nasconde il figlio nella baracca degli uomini e, sempre attraverso il gioco, lo convince a non uscire mai dal nascondiglio. La vita del campo subirà un drastico cambiamento con l’invasione delle truppe alleate: i nazisti, ormai circondati dagli americani e dai sovietici, intendono attuare la “soluzione finale” per eliminare ogni prigioniero e, con essi, le prove delle loro nefandezze.
Una notte, mentre le guardie del campo sono in preda a una grande agitazione per l’avvicinarsi dei nemici, Guido intuisce che la fine è vicina e mette in salvo Giosuè nascondendolo all’interno di una cabina, mentre egli cerca disperatamente di trovare Dora. L’uomo verrà però scoperto dalle SS e fucilato. L’indomani giungono gli alleati americani per liberare il campo e Giosuè, uscito dal nascondiglio, può finalmente salire sul carro armato e avere il suo premio, come promesso dal padre. Si ricongiungerà presto alla madre, sopravvissuta allo sterminio.
Sulla tragedia della Shoah, dei campi di sterminio e dei sopravvissuti alle efferatezze del nazismo si è scritto e parlato – fortunatamente – moltissimo, e mai ci si stancherà di farlo, per mantenerne viva la memoria. Nonostante si possano leggere libri, vedere documentari e film sull’argomento, guardare per la prima volta o riguardare per l’ennesima volta La vita è bella è sempre magnifico. Il film non vuole essere una ricostruzione storica degli avvenimenti; vuole, piuttosto, narrare una storia “di amore”: l’amore di Guido per Dora, l’amore di Guido per Giosuè e quello di Dora per la famiglia. L’amore che, in tutte le sue declinazioni, vince sul male e sulla paura, anche quella più viscerale per la morte, e spinge a compiere prodezze incredibili per salvare la vita dei propri cari, con il sorriso sulle labbra come Guido.

mercoledì 18 marzo 2015

IL SEGGIO VACANTE




di J. K. Rowling
U.K. 2012

J. K. Rowling abbandona le vesti di “mamma” di Harry Potter per esordire con il romanzo Il seggio vacante nella letteratura destinata al pubblico degli adulti. I temi affrontati in questo lungo romanzo sono numerosi: la tossicodipendenza, lo stupro, il suicidio, la crisi matrimoniale, la scoperta della sessualità, le relazioni extraconiugali, le false apparenze, la violenza domestica e la brama di potere. Si tratta indubbiamente di temi profondi e impegnati, attraverso i quali Rowling indaga nella vita degli abitanti di un pittoresco e idillico – ma non troppo – paesino inglese, Pagford, per portarne alla luce il marcio che vi si nasconde.
Il racconto evoca il genere del romanzo corale, nel quale non vi è un unico protagonista ma tutti i personaggi partecipano equamente alle vicende, ciascuno influenzando, con le proprie azioni, il corso degli eventi. La vicenda da cui tutto ha inizio è la morte di Barry Fairbrother, consigliere locale progressista che lascia, con la sua dipartita improvvisa, il seggio vacante. Questo seggio è ambito da molte persone di Pagford, che non esitano a sferrare colpi bassi o diffondere malelingue per screditare gli avversari in corsa per l’elezione. I candidati che ambiscono al seggio vacante sono cittadini modello solo all’apparenza; in realtà, ciascuno di essi nasconde segreti e “scheletri nell’armadio”.
Il primo candidato è Miles Mollison, figlio prediletto di Howard e Shirley. Miles è spronato dai genitori a partecipare alla corsa al seggio, con lo scopo di consolidare, di rimando, il prestigio e il potere di cui già godono nella piccola comunità. Howard è un vecchio e grasso salumiere, che nasconde alla moglie una tresca decennale. Shirley, dal canto suo, gioca al ruolo della moglie perfetta che non si scompone mai, nemmeno nei momenti più imbarazzanti, al centro dei quali si trova spesso la nuora, Samantha, prosperosa donna in decadimento che si crede ancora un’adolescente e che disprezza apertamente la suocera. Non solo, disprezza anche il marito, che considera un uomo senza spina dorsale e sottomesso al volere materno.
Il secondo candidato, Colin Wall, è il vicepreside della scuola di Pagford, sposato a Tessa Wall, di professione psicologa scolastica. Entrambi lavorano nell’ambito dell’educazione, sono quotidianamente a stretto contatto con i ragazzi, ma sono incapaci di educare e farsi rispettare dal loro unico figlio, Stuart detto “Ciccio”. Anche in questa famiglia si cela un grosso segreto, che riguarda la vulnerabilità e la salute mentale di Colin e la nascita di Stuart.
Ad ambire al seggio vacante si presenta anche Simon Price, uomo scontroso e violento che non ha mai vissuto integrato nella comunità e si candida solo perché crede, erroneamente, che Barry Fairbrother prendesse mazzette di sottobanco. Egli maltratta, verbalmente e fisicamente, la moglie Ruth e i due figli, Andrew e Paul. Il clima in cui vive questa famiglia è un clima di terrore, nel quale è necessario prestare la massima attenzione affinché nulla possa turbare Simon e far scatenare la sua ira funesta.
Infine, Parminder Jawanda, medico di Pagford, è la quarta candidata al seggio. Donna intelligente e in aperto contrasto con i Mollison, la donna non è altrettanto brava a capire i problemi dei figli, soprattutto quelli della sensibile Sukhvinder, vittima del bullismo.
Le vicende di queste famiglie, di cui l’autrice porta alla luce i segreti più inconfessabili, sono costellate da una serie di altri personaggi, adulti e ragazzi. Sono soprattutto questi ultimi al centro della narrazione, che spesso è condotta proprio dal loro punto di vista. A differenza degli adulti, che tendono a complicarsi la vita e costruirsi relazioni di comodo, i ragazzi protagonisti della vicenda sono spontanei e naturali. Questo non significa però che la loro vita sia più semplice di quella dei grandi. Anche gli adolescenti sono alle prese con problemi da superare e Rowling non risparmia loro difficoltà, anche gravi, da affrontare; nessuno di loro ha vita facile.
Sukhvinder, per esempio, è vittima del bullismo sia a scuola che on-line, e viene considerata la “pecora nera” della famiglia perché non eccelle nello studio e nello sport come gli altri fratelli. L’unica sua consolazione è data da una lametta che usa sulle braccia quando si sente incompresa da tutti. L’unica amica che Sukhvinder ha è Greta, una ragazzina che viene da Londra e che suscita le invidie della sue compagne per la sua bellezza. Nonostante Greta sia popolare, vive un’esistenza infelice a causa della madre, l’assistente sociale Kay Bawden, che mette al primo posto la sua relazione con Gavin Huges, amico del defunto Barry e segretamente innamorato di sua moglie, la vedova Mary Fairbrother. Greta diventa ben presto il pensiero fisso – e torbido – che assilla la mente del compagno di scuola Andrew.
Il ragazzino non ha vita facile, a causa della violenza e delle fobie del padre, e il desiderio di baciare Greta e avere una relazione con lei è il suo unico raggio di sole in un’esistenza passata a scansare i ceffoni paterni. Il migliore amico di Andrew è Ciccio, ragazzino il cui unico obiettivo nella vita è farsi beffa dei genitori, atteggiandosi a bullo. È anche disposto a mettere incinta Krystal, pur di arrecare dispiace a Tessa e Colin. Dal canto suo, Krystal ne sarebbe più che felice, perché questo significherebbe per lei potersene andare dalla casa della madre, Terry Weedon, tossicodipendente incallita che non è in grado di prendersi cura di se stessa e dei suoi figli.
Il romanzo è costellato di questi e numerosi altri personaggi, ognuno dei quali, con una minima e semplice azione influenza il corso degli eventi, che iniziano con la morte di Fairbrother, proseguono con messaggi accusatori nei confronti dei candidati pubblicati sul sito del Consiglio locale a nome del “Fantasma di Barry Fairbrother” e si conclude con una tragedia annunciata. Mentre gli adulti sono occupati a colpevolizzarsi a vicenda per i messaggi che rivelano i loro “scheletri negli armadi”, la tragedia incombe e non si accorgono dei problemi dei loro figli e delle loro scarse doti di genitori. Emerge il ritratto di una realtà impietosa, corrotta, nella quale prevalgono odio, individualismo e meschinità, dove tutto è però nascosto dal velo dei sorrisi di facciata, delle relazioni di comodo e della menzogna.
L’autrice non dà scampo a nessuno: non vi è personaggio che si salvi dalla tragedia, tutti ne sono coinvolti. I temi trattati sono indubbiamente seri e profondi, soprattutto laddove vengono raccontati dal punto di vista dei ragazzi, incompresi e lasciati in balìa delle loro emozioni, senza punti di riferimento nella vita, in quanto i genitori sono impegnati a fare altro. La famiglia non è più un rifugio sicuro dove i più piccoli possono sentirsi protetti dagli adulti, ma diventa una prigione in cui la convivenza forzata scatena i peggiori istinti. Rowling propone al lettore un ottimo affresco di una società allo sbando, ormai priva dei valori tradizionali, con uno stile che potrebbe tuttavia essere maggiormente personalizzato e meno didascalico, più sotteso e ugualmente comprensibile ad un pubblico adulto.

 

lunedì 9 marzo 2015

BIRDMAN (OR THE UNEXPECTED VIRTUE OF IGNORANCE)



di Alejandro González Iñárritu
con Michael Keaton, Edward Norton, Emma Stone e Naomi Watts
USA, 2014

Hollywood vs Broadway, l’eterna rivalità tra il cinema e il teatro americani. È questo il tema principale che il regista messicano Iñárritu mette in scena in Birdman, svelando allo spettatore i limiti, le follie e il lato oscuro che si celano dietro le due realtà.
Riggan Thompson è una star cinematografica ormai decaduta: un tempo famoso per il personaggio di Birdman, supereroe alato protagonista di un film blockbuster, si trova ora a voler dimostrare al pubblico di avere delle doti di recitazione e di essere un vero attore. L’occasione della rivalsa è uno spettacolo teatrale, al quale prendono parte diversi attori, tra cui la dolce Lesley, il cui sogno è sempre stato il grande debutto sul palco, e Mike Shiner, uomo irruento e avvezzo all’improvvisazione in scena.
La tensione tra il cast è palpabile: si prova freneticamente, senza sosta, in vista delle tre anteprime e della prima, alla quale sarà presente la critica del New York Times. A mettere a dura prova Riggan ci sono anche la figlia Sam, giovane ex-tossicodipendente che rinfaccia al padre di essere stato sempre assente, la sua nuova compagna, che fa parte del cast, e la ex-moglie. Ma non ci sono solo le tre donne ad assillare e tormentare Riggan; nella sua testa c’è la voce di Birdman, che cerca di dissuaderlo dalle fatiche della recitazione teatrale per convincerlo a tornare al cinema per riguadagnare la fama perduta attraverso un sequel del blockbuster. Riggan non solo sente Birdman, ma lo vede anche.
Irrequieto, stanco, fisicamente e mentalmente provato, Riggan arriva finalmente al debutto della prima dello spettacolo (le tre anteprime sono un disastro a causa di Shiner). La prima avrà un successo clamoroso e Riggan Thompson sarà catapultato nuovamente nell’olimpo delle star, ma questo non grazie alle sue doti recitative, bensì a un cuop de théâtre che egli riserva agli spettatori presenti in sala (e a quelli che stanno guardando il film).
In questo complesso film, Iñárritu ci svela gli ingranaggi della macchina di Broadway e di Hollywood. Queste macchine possono essere fatali, se non mortali, per gli attori, che vengono schiacciati dai meccanismi che le alimentano, in primis il business e il successo. Questo aspetto è molto più palese a Hollywood. Il cinema si innalza a demiurgo e, come un dio creatore, sforna a ritmo incessante una star dietro l’altra, catapultandole tutte, ma solo momentaneamente, nella dimensione della celebrità. Solo i migliori vi rimangono, gli altri vengono cacciati e banditi dal regno, indegni di convivere accanto ai veri talenti, coloro cioè che hanno doti quali bellezza e talento e che piacciono al pubblico di massa.
Anche Broadway, i cui attori spesso guardano ai divi del cinema con disprezzo, non ha scrupoli: lo dimostra lo stesso film Birdman, che ben descrive la vita di teatro dietro le quinte. Dal film traspaiono infatti la frenesia, la tensione, la rivalità che aleggiano tra gli attori e gli operatori dietro le quinte. Anche a Broadway, nonostante i sacrifici degli attori e il lavoro della troupe, il successo dello spettacolo è decretato dal dio denaro; lo dimostrano infatti gli investimenti economici del produttore e di Riggan stesso, disposto a “giocarsi” la casa destinata alla figlia. Non solo: sul capo di attori e produttori pende la spada di Damocle della critica, che con i suoi giudizi lapidari può stroncare o celebrare uno spettacolo.
Il film Birdman è spietato: il regista ci descrive lo stato in cui versa impietosamente una vecchia star decaduta del cinema – con problemi di stress, alcol e soldi – alla ricerca di una rivincita. Chissà, forse Riggan avrebbe veramente dovuto accettare di fare un reality o un altro blockbuster? Ironia della sorte, nella sua opera cinematografica Iñárritu beffeggia il mondo di Hollywood, che premia il film con ben quattro Academy Awards!
 


venerdì 6 marzo 2015

LE CONSEGUENZE DELL'AMORE



di Paolo Sorrentino
con Toni Servillo e Olivia Magnani
Italia, 2004

Un anonimo albergo in una cittadina svizzera, un uomo solo, una giovane barista e una valigia. Con questi pochi elementi Sorrentino riesce a costruire un noir dagli sviluppi drammatici e inaspettati in cui si intrecciano temi quali solitudine, mafia, corruzione e amore.
Titta Di Girolamo passa le sue giornate seduto nella hall di un albergo, fumando e osservando le persone che gli stanno attorno, restio a condividere anche la più banale delle conversazioni e allontanando i ficcanaso che avanzano domande troppo personali. Titta, che soffre di insonnia e fa uso regolare di eroina (ma solo il mercoledì mattino alle 10:00), spezza la monotonia di questa vita consegnando due volte alla settimana una valigia piena di denaro in una banca del posto. La routine opprimente, che schiaccia la vita di Titta, viene esasperata dalle inquadrature che si stringono ora sul volto imperturbabile dell’uomo, ora sugli ambienti che si ripetono sempre uguali e immutati nel tempo, giorno dopo giorno (la claustrofobica camera da letto, il bunker della banca, le scale mobili di un centro commerciale, il desolato parcheggio sotterraneo).
Improvvisamente, questa routine si incrina quando Sofia, la barista dell’albergo, si ribella alla scontrosità di Titta ed esige da lui una risposta cortese al suo saluto. Ecco che l’uomo inizia a guardare con occhi diversi la ragazza, che sino a quel momento era stata semplicemente una figura anonima sullo sfondo delle sue giornate all’hotel. Titta confessa alla ragazza, e allo spettatore ormai rassegnato alla banalità della vita dell’uomo, il suo segreto inconfessabile: un tempo era un importante commercialista e, a causa di investimenti azzardati, ha perso ingenti somme di denaro provenienti dalla mafia. La mafia ha però deciso di graziarlo e, anziché condannarlo a morte, lo ha condannato a vivere recluso nell’albergo in attesa della consegna settimanale della valigia, con il compito di depositare in banca a suo nome il denaro riciclato.
Titta è compiaciuto e al contempo turbato dalle attenzioni di Sofia perché scopre che esiste altro al di fuori della sua prigione. Il coinvolgimento dell’uomo nei confronti della ragazza non si manifesta con effusioni e romanticismo, bensì con un gesto eclatante e rischioso: Titta sottrae centomila dollari dalla valigia per regalare a Sofia una lussuosa auto. Ed ecco che il proposito fugacemente annotato su un blocco da Titta – che recita “Progetti per il futuro: non sottovalutare le conseguenze dell’amore” – diventa profezia: da questo momento in poi un avvicendarsi di fatti negativi cambierà il corso della vita di Titta, che si troverà dinnanzi al boss mafioso a dover rendere conto della sparizione della valigia. Da qui l’epilogo finale: Titta, chiuso nel suo silenzio e con espressione imperturbabile, che viene calato in una vasca di cemento fresco, deciso a non rivelare dove ha nascosto la valigia.
L’unica consolazione che rimane allo spettatore è sapere che Titta, prima di morire, abbia potuto aprire il suo cuore a una giovane donna in grado di portare un raggio di sole nella sua tetra vita e che questo lo abbia indotto a ribellarsi alla sua prigionia. Certo, ci si potrebbe chiedere perché Titta non sia fuggito con la valigia in un paese lontano e soleggiato, a godersi i soldi rubati. Ma Titta, con la sua scelta, ci dimostra di essere un uomo integro e di avere espiato le sue colpe con la morte, riscattando una vita messa al servizio della mafia.
 

martedì 3 marzo 2015

IL MIO VICINO TOTORO




di Hayao Miyazaki
Giappone, 1988


Stupisce sempre la sensibilità con cui Miyazaki tratta temi molto delicati. Il grande registra, maestro indiscusso dell’animazione giapponese, con Il mio vicino Totoro, ci porta in un mondo incantato per trattare temi quali l’infanzia, lo spauracchio della morte e le piccole ma grandi sfide che i bambini devono affrontare per crescere.
La piccola Mei, insieme alla “sorellona” Satsuki e al padre, si trasferisce in una grande casa di campagna a Tokorozawa, alla periferia di Tokio, per stare vicina alla madre ricoverata nell’ospedale del posto. Sin dal primo momento, allo spettatore appare chiaro che deve abbandonare il suo sguardo di adulto se vuole lasciarsi trasportare nel mondo fantastico di Mei. Il primo indizio è costituito dai “nerini del buio”, spiritelli della fuliggine che vivono nella casa che le sorelline e il padre stanno ripulendo prima di stabilirvisi: essi possono essere visti solamente dai bambini e non dagli adulti.
Il secondo indizio è costituito da un buffo troll bianco in fuga, che somiglia ad un coniglietto, che semina ghiande nel bosco retrostante la casa e che solo Mei riesce a vedere. Il richiamo a fiabe quali Alice nel paese delle meraviglie e Pollicino è evidente; e infatti la piccola Mei, proprio come Alice, si lancia all’inseguimento di questa sorta di Bianconiglio, sino a smarrirsi nel bosco. Ma, si sa, i bambini non si lasciano intimorire da niente, grazie al loro spirito di curiosità; e Mei, infatti, è entusiasta della scoperta dello strano essere gigantesco, a metà tra un orso e un procione, che sonnecchia beatamente nel bosco. Si tratta di un gigantesco e peloso troll, il tororu, che Mei ribattezza, storpiandone il nome, Totoro. La bambina, eccitata dalla scoperta di questo magico animale, ne parla con il papà e la sorella e cerca di condurli all’albero di canfora sotto cui ha trovato Totoro, senza però trovarlo. La creatura, spiega il padre alla figlia delusa, non sempre si fa trovare e vedere quando lo si cerca.
Totoro, ben presto, apparirà alle sorelle in una sera piovosa, alla fermata dell’autobus dove le due aspettano il ritorno del padre dal lavoro. Il buffo animale non aspetta però un autobus comune, bensì il Gattobus, un veicolo volante a forma di gatto – con un sorriso sornione che evoca lo Stregatto di Alice nel paese delle meraviglie – che porta via Totoro nel cielo stellato. Il troll, prima di innalzarsi in cielo, offre a Satsuki dei semi da piantare in giardino per ringraziarla dell’ombrello offertogli per ripararsi dall’acqua. Totoro tornerà da loro una notte per portarle con lui in cielo per una gita notturna e per far magicamente spuntare i germogli dalla terra; Totoro è infatti lo spirito della natura e della fertilità, oltre che il protettore del bosco.
La vicenda assume improvvisamente toni drammatici quando la piccola Mei, arrabbiata alla notizia che la madre non sarà dimessa dall’ospedale come previsto, scappa da casa per andare da lei, ma si perde. Satsuki, accortasi della fuga di Mei, inizia le ricerche, ma invano. La ragazzina invoca allora, disperata, Totoro affinché la aiuti nelle ricerche. A bordo del Gattobus, il troll porterà Satsuki dalla sorella e la condurrà in salvo. Il padre e la madre rimarranno all’oscuro dell’intera vicenda, che si conclude con le due sorelle depositate da Totoro su un albero ad osservare da lontano i genitori nella stanza dell’ospedale, che discutono fiduciosi sulla guarigione della mamma.
Il mio vicino Totoro rappresenta una sorta di romanzo di formazione, genere letterario nel quale si narrano le vicende di giovani protagonisti che devono affrontare un percorso a ostacoli per raggiungere la maturità e diventare grandi. È quanto accade a Satsuki e Mei, le quali devono affrontare la paura di crescere, una paura caratterizzata dalla consapevolezza di avere una madre malata e lontana. Le sorelle convivono con la preoccupazione che la madre potrebbe non guarire o, peggio, morire da un momento all’altro. Questa è una realtà dei fatti che lo stesso Miyazaki ha vissuto da piccolo, avendo egli una madre malata di tubercolosi spinale e che ha passato nove anni in ospedale.
Satsuki, sorella maggiore che si prende cura di Mei e sbriga le faccende domestiche, è probabilmente consapevole della malattia della madre; forse il padre le ha parlato, spiegandole che la madre ha una grave malattia e che dovrà essere forte e dimostrarsi matura occupandosi della sorellina e della casa, senza potersi concedere i capricci dei bambini della sua età. Mei invece prende consapevolezza della gravità della malattia della madre all’improvviso, quando meno se lo aspetta, quando cioè la madre dovrebbe essere dimessa dall’ospedale ma, a seguito di una ricaduta, è ancora costretta a letto.
Ed è proprio a questo scopo che serve la comparsa di Totoro nella vita della piccola: in quanto spirito della crescita, la presenza del troll indica un momento di passaggio nell’esistenza di Mei: si trova ora costretta a maturare, nella piena consapevolezza che anche un genitore, figura forte e di riferimento per ogni figlio, può diventare d’un tratto debole e bisognoso di cure e di conforto, in un’inversione di ruoli. E non c’è capriccio che tenga.

 

lunedì 2 marzo 2015

ZIA MAME





di Patrick Dennis
USA, 1955



Il romanzo Zia Mame narra le vicende dell’irriverente Mame Dennis, un’eccentrica donna dell’alta società americana, dedita alle feste, ai viaggi e al lusso. Mame è anche una donna straordinaria, di grande cultura e apertura mentale. Mame, in realtà, è l’alter ego di Patrick Dennis, autore americano omosessuale, costretto a reprimere la propria sessualità in un’epoca, quella degli anni Cinquanta, di tolleranza zero.
È il 1929: Patrick si presenta nel lussuoso appartamento newyorkese di sua zia Mame, dopo la morte del padre, uomo freddo e taciturno. L’orfanello viene affidato alle cure della zia, mentre le ricchezze di cui è erede sono gestite dal tutore, Mr. Babcock, a cui spetta anche il compito di vigilare sull’operato di Mame. La voce narrante di Pat, ormai adulto, accompagna il lettore per undici capitoli ripercorrendo le numerose avventure che egli ha vissuto con la zia a partire dalla fine degli anni Venti fino al secondo dopoguerra.
Pat, grazie a Mame, passa da un’infanzia solitaria e priva di affetto ad un’esistenza piena di incontri stimolanti, avventure inverosimili e divertenti equivoci. La vita serena di Mame e Pat si interrompe bruscamente il 29 ottobre 1929 con il crollo della Borsa e la Grande Depressione. Sebbene Mame goda di una rendita di duecento dollari al mese, decide di adeguare il suo stile di vita al periodo di crisi e cerca un lavoro. Nel 1930 Mame prova a svolgere numerose mansioni, ma fallisce miseramente a causa della sua spiccata personalità che le impedisce di adeguarsi alle regole imposte dai datori di lavoro. Tuttavia, il congedo dall’ultimo impiego di commessa le vale l’incontro con un ricco petroliere del Sud, Mr. Beauregard Burnside, che in poche settimane diventa suo marito. I problemi economici di Mame si risolvono con il matrimonio, ma una nuova avventura l’attende: conoscere la suocera, Euphemia, una vecchia dispotica sudista. Mame e Pat partono alla volta della Georgia per conoscere la famiglia di Beauregard; ad attenderli c’è una moltitudine di personaggi bigotti, tra cui la giovane Sally, che ambisce a conquistare Beauregard. Il suo piano fallirà grazie all’intervento di Pat e Mame sarà finalmente accettata dalla famiglia del marito. L’idillico matrimonio tra Mame e Beauregard è destinato però ad essere breve, poiché tredici mesi dopo l’uomo muore in un incidente a cavallo. Nel frattempo, Pat ha ormai sedici anni e frequenta il collegio maschile St. Boniface.
Mame, durante la vedovanza, decide di scrivere la storia della sua vita in un libro. Per l’occasione assume una segretaria, l’impacciata Miss Agnes Gooch, e un ghostwriter, Brian O’Bannion, affascinante cialtrone che approfitta del suo ascendente su Mame per vivere a sue spese durante l’interminabile lavorazione del libro. L’avventura di Mame come scrittrice si interrompe quando Agnes e Brian fuggono insieme. Agnes, tuttavia, farà ritorno da Mame a distanza di un anno poiché abbandonata da Brian dopo aver scoperto di essere incinta. Ovviamente, la gravidanza di Agnes si trasforma in una nuova avventura per Mame che decide di stare vicina alla ragazza, portandola in una località segreta per proteggerla dalle malelingue. Mame si stabilisce nella stessa città in cui si trova il St. Boniface e Pat sarà quindi, suo malgrado, coinvolto nell’iniziativa di Mame, rischiando di essere espulso dal collegio quando viene scoperto a evadere dalla stanza ogni notte per aiutare la zia e la giovane.
Il racconto di Pat approda al 1937, anno in cui diventa maggiorenne e proprietario dell’eredità; egli è fidanzato con la bella quanto frivola Gloria Upson, che intende sposare. Decide quindi di presentare la ragazza e i suoi genitori a Mame, la quale si accorge immediatamente che si tratta di una famiglia di borghesi bigotti e razzisti. Mame cerca di dissuadere Pat dallo sposare una simile ragazza; dopo alcune incomprensioni con la zia, egli capisce il suo errore e annulla il fidanzamento.
Qualche anno dopo scoppia la Seconda Guerra Mondiale e Mame decide di mettersi al servizio della nazione adottando sei orfani di guerra. Inizia così una nuova e rocambolesca avventura, che si concluderà con l’esplosione della dimora in cui Mame alloggia con i sei piccoli vandali e l’abbandono da parte di Mame di qualunque valore patriottico dopo questa esperienza. Al termine della guerra Mame si concede un periodo di vacanza nel Maine insieme a Pat. Qui Mame escogita un piano per iniziare il nipote alla vita da adulto, mettendolo alla prova con bellissime ragazze, interessate però solo alle sue ricchezze. Pat, come sempre, non deluderà la zia e tra tutte le ragazze sceglierà Pegeen, l’umile ma tenace e intelligente figlia del gestore della locanda dove egli alloggia.
Infine, nell’ultimo capitolo, Pat riporta il lettore al tempo presente e rivela che ha sposato Pegeen e che hanno un figlio, il piccolo Michael, che ora si trova in vacanza in India insieme alla zia Mame, la quale è felice di avere una nuova piccola mente da stimolare.
Il romanzo, pubblicato nel 1955, diventa un caso editoriale e Mame diventa il personaggio letterario più amato dal grande pubblico. All’epoca nessuno è a conoscenza dell’omosessualità di Patrick Dennis e nessuno è in grado di cogliere il vero significato della sua opera: il romanzo costituisce una spietata critica alla società americana, chiusa nel suo bigottismo e incapace di accettare il “diverso”, l’omosessuale.
Il lettore dell’epoca non si accorge né di tale critica né dei rimandi omosessuali contenuti nel romanzo; questo accade perché l’autore non tratta questi argomenti esplicitamente: egli non avrebbe mai potuto esporsi apertamente con critiche mirate. Dennis sceglie invece una sottile ironia, chiamata “camp”, che consiste nel trattare qualcosa di serio in modo frivolo e spensierato, prendendosene così gioco. Non è solo lo stile di Dennis ad essere camp, ma anche Mame stessa lo è: Patrick le dà voce per esprimere quello che non potrebbe mai dire in prima persona, ovvero che la società americana è bigotta, omofoba, sessista e falsamente moralista, incapace di accogliere il “diverso”, il quale è costretto a vivere sotto mentite spoglie o ad essere “curato” con l’elettroshock – tutte esperienze che Dennis ha vissuto in prima persona e che hanno  creato squilibri psicologici non indifferenti, spingendolo a tentare il suicidio tre volte nella vita.