mercoledì 25 ottobre 2017

DUNKIRK



di Christopher Nolan
USA, UK e Francia 2017


Era da molto che non mi capitava di gustare un film che mi tenesse incollata allo schermo dal primo all'ultimo istante. Ebbene, con Dunkirk sono stata accontentata: ci si ritrova col fiato sospeso sulla spiaggia di Dunkerque (al confine tra Francia e Belgio) a combattere a fianco dei soldati coinvolti nella “operazione Dynamo”, sperando fino alla fine che non muoiano.
Siamo nel 1940, in piena Seconda Guerra Mondiale, e le forze alleate – inglesi, francesi e belgi – sono reduci dalla sconfitta della battaglia di Dunkerque. I soldati si trovano intrappolati dai tedeschi, stipati sulla costa francese e senza via di fuga. L'unica soluzione per portare in salvo le truppe alleate è via mare: per questo motivo la Royal Navy (la Marina britannica) chiede ai civili in possesso di qualunque tipo di imbarcazione di attraversare il mare verso la costa di Dunkerque per imbarcare quanti più militari da portare in Inghilterra. L'esercito inglese sceglie di rivolgersi ai civili e non utilizzare le navi da guerra per lasciare queste ultime a guardia delle coste inglesi, poiché si teme un'avanzata tedesca via mare con attacco diretto all'Inghilterra.
La difficile evacuazione avrà luogo tra il 27 maggio e il 4 giugno, in un susseguirsi di difficoltà dovute ai bombardamenti tedeschi via cielo, che sganciano bombe sulle migliaia di soldati in addiaccio sulla spiaggia e sulle imbarcazioni che cercano di portarli in salvo.
La missione sembra impossibile: ci sono 338.226 uomini da portare oltremanica. Sembra anche impossibile raccontare tutto questo in meno di due ore di pellicola, eppure Nolan ci riesce alla perfezione, attraverso una sceneggiatura brevissima, poiché quasi priva di dialogo, e costituita per lo più dall'azione. Le immagini e i gesti dei personaggi guidano la storia, che si sviluppa in tre filoni, senza un vero e proprio protagonista unico.
Il primo filone è “Terra”: l'azione dura una settimana, ovvero la durata dell'intera evacuazione. Il soldato Tommy, unico sopravvissuto della sua truppa, spera di imbarcarsi dalla spiaggia, cercando di guadagnarsi un posto su una barca. L'impresa è difficile, poiché ogni soldato, spinto dall'istinto di sopravvivenza, pensa a se stesso e alla stretta cerchia dei compagni. Oltre a ciò, Tommy dovrà anche far fronte ai bombardamenti, che non solo mettono a repentaglio la vita di chi è in spiaggia, ma anche di chi si trova sulle navi che vengono sistematicamente affondate, trascinando in fondo al mare centinaia di uomini.
Il secondo filone è “Mare”, elemento naturale protagonista dell'intero film. In questo episodio, in cui l'azione si estende all'intera giornata, seguiamo le vicende del signor Dawson, un civile inglese che parte dal Dorset (a sud del Regno Unito) con la sua imbarcazione, portando con sé il figlio Peter e l'amico George. Totalmente impreparati agli orrori della guerra, il trio salverà alcuni soldati raccogliendoli dal mare. Avranno modo di vedere direttamente sulla pelle dei superstiti gli effetti, non solo fisici, ma anche psicologici, lasciati dalla battaglia.
L'ultimo filone, la cui storia dura un'ora, è “Aria”: la guerra si combatte anche via cielo, a bordo dei Supermarine Spitfire. A bordo dei caccia monoposto, i piloti Collins e Farrier cercano di contrastare gli aerei nemici con manovre spettacolari ad alta quota. I due rappresentano l'opposto dei soldati spiaggiati a Dunkerque: questi ultimi sono sporchi, affamati e sconvolti dai combattimenti faccia a faccia col nemico e sono pronti a uccidere per avere un posto per il rimpatrio; i piloti, invece, appaiono spavaldi e abili, quasi eleganti nelle loro uniformi e, forse, ignari della lotta alla sopravvivenza che avviene sulla terraferma.
Dunkirk è un film potente, capace di svelare gli aspetti più bassi della natura umana in guerra. Molto diverso dai tradizionali film hollywoodiani, in cui i protagonisti lottano per la patria e l'onore da vincitori, l'opera di Nolan mostra uomini – europei, non americani – distrutti dagli eventi e desiderosi di salvarsi la pelle, dopo una clamorosa sconfitta.