lunedì 30 novembre 2015

SPECTRE


di Sam Mendes
UK e USA, 2015
con Daniel Craig, Christoph Waltz, Léa Seydoux, Ralph Fiennes, Ben Whishaw, Naomie Harris

Spectre, ovvero la mia prima volta con James Bond. Ebbene sì, lo ammetto: non avevo mai visto un film dell’agente segreto più famoso al mondo. Eppure non sono completamente digiuna dallo spionaggio: ho appena finito di leggere Diario di un killer sentimentale (1996) di Luis Sepúlveda, in passato ho letto qualche racconto pulp di Victor Banis (The man from C.A.M.P. (1966), ad esempio, che narra di un agente 007 con licenza di uccidere gli omofobi che complottano contro i gay) e mi sono sbellicata dalla risate con il film Casino Royale del 1967 con Woody Allen nel ruolo del cattivo in una parodia del vero James Bond.
E allora perché mi sono finalmente decisa ad andare al cinema a vedere proprio Spectre? La risposta è una: Sam Mendes. Tutti i film che ha diretto come regista sono tra i miei preferiti: American Beauty (1999), Era mio padre (2002), Jarhead (2005), Revolutionary Road (2008) e American Life (2009). Sam Mendes non è comunque nuovo ai film di 007 perché ha diretto anche Skyfall nel 2012, sempre con Daniel Craig nei panni di Bond.
Ancora prima di entrare al cinema, la mia mente già dava per scontata la presenza nel film di uno “stacco di coscia” femminile e di lui, Bond, che salta da un elicottero per salvarsi da un’esplosione. E infatti proprio nei primi cinque minuti del film ecco che James Bond seduce una bellissima donna messicana, per abbandonarla pochi secondi dopo per andare a uccidere il cattivo di turno e saltare da un elicottero fuori controllo.
La scena si apre a Città del Messico durante la sfilata del Día de Muertos, durante la quale Bond uccide il membro di una misteriosa organizzazione criminale. La scena spettacolare e variopinta della festa e l’inseguimento all’ultimo respiro con tanto di sparatoria ricordano molto un’analoga scena nel film C’era una volta in Messico (2003) di Robert Rodriguez. Ma questo è solo l’inizio della storia, non l’epico finale come in un film normale.
Dopo il Messico, Bond fa ritorno a Londra, dove sono in corso molti cambiamenti: il “programma 00” di cui fa parte è destinato ad essere sostituito da “Nove occhi”, un progetto che ambisce a riunire in un’unica organizzazione lo spionaggio mondiale. Inoltre James viene sospeso per aver agito senza mandato a Città del Messico. Incurante, Bond prosegue per proprio conto le indagini per smascherare la famigerata organizzazione che si nasconde dietro attentati dinamitardi nei quattro angoli del mondo e per capire chi ne è a capo.
Per arrivare alla mente malefica del piano, che è in combutta con il nuovo capo dei servizi segreti, l’agente 007 attraversa ogni continente alla ricerca degli indizi per comporre l’intero quadro. A Roma, dopo aver sedotto la vedova dell’uomo ucciso in Messico, Bond sopravvive a un inseguimento lungo il Tevere alla guida di un bolide. Riesce poi a scovare, in uno chalet delle montagne austriache, Mr. White, un ex membro ormai in fin di vita della misteriosa organizzazione e ad avere nuove informazioni per risolvere il caso. L’uomo fa promettere a Bond di trovare sua figlia Madeleine e salvarla. Recuperata la bionda e algida Madeleine sulle montagne svizzere, Bond e la ragazza vanno a Tangeri, in Marocco, sulle tracce dell’indizio decisivo fornito da Mr. White.
Bond scopre che la famigerata congregazione è la SPECTRE e riesce ad arrivare al cuore della sua sede centrale nel mezzo del deserto africano, dove scopre finalmente chi si cela dietro il piano diabolico. Dopo aver evitato una lobotomia con un orologio-bomba e aver fatto saltare per aria la SPECTRE, Bond è di nuovo a Londra per l’epilogo finale, ovvero una corsa contro il tempo per salvare la bella Bond-girl, veramente innamorata dell’intramontabile rubacuori in smoking che, pare, sia disposto a mettere la testa a posto.
Da profana del genere dello spionaggio e da non amante dei film d’azione “all’americana”, ammetto che Spectre mi è piaciuto. Ovviamente, ancor prima di mettere piede nella sala, già sapevo cosa aspettarmi: inseguimenti inverosimili, cattivi che non muoiono mai, James Bond impeccabile in giacca e cravatta anche nel deserto (e suda solo in due occasioni!), donne affascinanti e letali, il giro del mondo in pochi giorni… Insomma, tutto come da copione. Perché James Bond è ormai da decenni un’icona cinematografica (nonostante alcuni puristi della saga non apprezzino Daniel Craig e altri, che nutrivano forti aspettative dopo Skyfall, non hanno apprezzato Spectre ritenendolo lento e noioso). Bond, quindi come icona, che nasce negli anni Sessanta, epoca di grandi cambiamenti storici, sociali e culturali: la lotta al comunismo, la Guerra Fredda, la rivolta studentesca, l’emancipazione degli afroamericani, il femminismo. Per alcuni studiosi di cultura moderna, la figura di James Bond rappresenta un mito rassicurante – in un’epoca di forti cambiamenti che la classe borghese non condivide – che alimenta gli stereotipi che da sempre dividono l’uomo e la donna: James Bond, l’uomo che non deve chiedere mai e che ha la licenza di uccidere e di sedurre qualsiasi bella donna, e la Bond-girl di turno che si lascia sedurre e salvare dall’impenitente rubacuori.
Non vi è dubbio che questi stereotipi siano presenti in Spectre, come del resto in tutti i film della saga 007. Però, una volta seduta sulla poltrona davanti allo schermo, va anche bene abbandonare analisi sociali e godersi il film, lasciandosi trasportare dalle scene inverosimili, proprio come quando si legge un libro di fantascienza, consapevole che è fiction.


 

sabato 28 novembre 2015

Dal libro Aria sottile di Krakauer al film Everest, storia di una tragedia annunciata



E’ ufficiale: la montagna e le scalate in quota sono ormai la moda del momento nel settore dello sport. Sugli scaffali delle librerie ci sono numerosi libri scritti da alpinisti-giornalisti e nelle sale cinematografiche il fenomeno inizia a diffondersi grazie il film Everest (2015), ambientato appunto sulla vetta più alta del mondo. E poi ci si mette pure la tv, con il reality ambientato sul Monte Bianco,
Scrivo da amante delle tranquille camminate domenicali in montagna. Il mio primissimo esordio su una montagna anni fa fu letteralmente «Io non sono fatta per la montagna», frase sospirata per tutta la durata del tragitto. Eh sì, perché la montagna richiede sicuramente passione e amore per la natura, ma anche preparazione fisica, determinazione e forza di volontà. Sulla montagna, insomma, non ci si può improvvisare. E pensare che ci sono persone – trattasi di turisti e non di professionisti – disposte a pagare migliaia di dollari per scalare le montagne più impervie del mondo, con tanto di società che, a suon di denaro contante, organizzano le ascese in gruppo, mettendo a disposizione guide alpine e tutta l’attrezzatura necessaria all’impresa.
È quello che è successo sull’Everest, nel maggio del 1996, la cui scalata da parte di alcuni gruppi di spedizioni commerciali è finita in tragedia. Gli avvenimenti sono stati raccontati dal giornalista e alpinista Jon Krakauer (già autore della biografia Into the Wild – Nelle terre selvagge, da cui Sean Penn ha tratto l’omonimo film) nel saggio-reportage Aria sottile (1997), dal quale è stato tratto il film Everest di Baltasar Kormákur.
Per proseguire con la lettura dell'articolo pubblicato sulla rivista Libreriamo, clicca qui.

lunedì 16 novembre 2015

Into the Wild, la storia di Supertramp raccontata dallo scrittore Jon Krakauer e dal regista Sean Penn


La prima volta che ho visto il film Into the Wild – Nelle terre selvagge (2007) di Sean Penn, ho provato incomprensione mista a stupore per Christopher McCandless, il giovane protagonista della storia, che racconta di una vicenda realmente accaduta. Perché mai andare in pellegrinaggio fino in Alaska per capire che «la felicità è reale sono quando condivisa», come scrive sul suo diario di viaggio? C’era bisogno di morire in solitudine in mezzo ai ghiacciai per contestare la società consumistica, salvo poi capire troppo tardi che si può cercare di migliorare i rapporti conflittuali con la famiglia? Ho dovuto rivedere il film una seconda e poi una terza volta per comprendere meglio e farmi una ragione sulle scelte di vita di Christopher. 
Ma, andiamo con ordine. Prima che questa vicenda approdasse sul grande schermo, è stato il giornalista e alpinista Jon Krakauer a far conoscere al pubblico la storia del giovane Christopher. Krakauer è un professionista e grande conoscitore delle montagne più impervie: partecipa a numerose missioni di scalata, tra cui le cime degli Arrigetch Peaks in Alaska (1974-1975), le Ande in Patagonia (1992) e l’Everest (1992). È uno dei pochi sopravvissuti alla scalata sull’Everest e sulla vicenda ha scritto prima un articolo per la rivista Outside e poi il saggio Aria sottile (1997), dal quale è stato tratto il recente film Everest (2015) di Baltasar Kormákur. 
Per sapere come Krakauer ha ha scritto Nelle terre selvagge e come Sean Penn ha realizzato l'omonimo film, cliccate qui per leggere l'intero articolo che ho scritto per la rivista Libreriamo...

giovedì 12 novembre 2015

CARI MOSTRI

di Stefano Benni
2015


Stefano Benni è un autore poliedrico che si dedica alla cultura attraverso numerosi progetti. Non è infatti solo scrittore di romanzi e racconti, ma è stato anche sceneggiatore, poeta, regista e autore televisivo. A lui si deve il merito della pubblicazione in Italia del romanziere, suo amico, Daniel Pennac (di cui trovate un articolo sulla saga Malaussène qui e uno su Storia di un corpo qui): fu lui infatti a convincere l’editore Feltrinelli a promuove i romanzi dello scrittore francese.
Benni ci ha sempre abituati a storie raccontante con uno stile molto particolare e personale, che punta soprattutto su ironia e comicità (come non citare il celebre Bar Sport del 1976?), giochi di parole e neologismi, senza privarsi mai di una critica velata – ma sempre presente – alla società moderna attraverso una sottile satira.
Nella raccolta di brevi racconti Cari mostri (2015), Benni non priva il lettore di nessuno di questi elementi stilistici, compresa l’aspra critica all’uomo e alla società, ma lo fa attraverso un genere letterario a lui nuovo: l’horror. L’autore si diverte a sperimentare in venticinque brevi storie elementi come i mostri, la follia, il vuoto esistenziale, l’angoscia, la paura, le bugie, l’omicidio, gli incubi, la mancanza di valori e scomoda anche Satana, protagonista di uno degli episodi.
Le storie sono molto eterogenee: si passa da un uomo che acquista un Wenge, un animale metà cane e metà pesce, che porterà morte e violenza nella sua vita, a due ragazzine che sono disposte a tutto pur di andare al concerto dei loro idoli; c’è anche una versione 2.0 di Hansel e Gretel, che sfuggono alla strega che li vuole vendere ai pedofili; Antonietta, pacata guida di un museo egizio, si trasforma invece in imbalsamatrice pur di evitare la chiusura del suo reparto. E poi, ancora, la storia di Falco Bianco e Corvo Nero, stregoni indiani che si contendono una donna; un hotel infestato di fantasmi che si trovano durante serate danzanti, con un chiaro rimando a Shining (sia al romanzo di King che al film di Kubrick). Altro evidente rimando è nel personaggio MJ, star della musica ormai sul letto di morte che racconta al suo medico del patto tra suo padre e il diavolo, che rappresenta Michael Jackson.
Di personaggi ce ne sono molti altri, e tutti diversi, ma le storie sono accomunate da angoscia e paura, sentimenti viscerali che emergono dal profondo malvagio che – forse – c’è in ognuno di noi. E se ci sono persone che sanno reprimere questa parte oscura, altre la lasciano libera di esprimersi o la celano dietro una maschera, incuranti delle conseguenze spesso letali, sia per se stesse che per gli altri.
Cimentandosi con il genere horror e catapultando il lettore in un vortice di stati d’animo negativi e corrotti, Benni riesce comunque a strappare un sorriso al lettore, seppure amaro, e a descrivere in pochissime pagine storie complete ed evocative grazie a uno stile asciutto e conciso.


lunedì 2 novembre 2015

TUTTO PUO’ ACCADERE A BROADWAY


di Peter Bogdanovich
USA 2014
con Owen Wilson, Imogen Poots, Kathryn Hahn, Jennifer Aniston; special guest Quentin Tarantino 


Il regista Peter Bogdanovich rende omaggio alla screwball comedy (letteralmente “commedia svitata”) degli anni Trenta e Quaranta con un film basato su equivoci, coincidenze improbabili, imbarazzanti segreti, personaggi assurdi e un ritmo incalzante.
L’attrice Isabella Patterson, detta Izzy, racconta in un’intervista gli esordi della sua carriera in teatro, a Broadway. Attraverso lunghi flash-back la ragazza evoca l’incontro con il regista Arnold Albertson che, indirettamente, segnerà il suo destino. Arnold viaggia spesso per lavoro e conduce una vita tra alberghi di lusso e squillo, nonostante sia sposato con l’attrice Delta Simmons e abbia due figli. Quando soggiorna a New York, Arnold si affida a un’agenzia di prostitute, che gli procura ogni volta una ragazza diversa. Il regista si trova nella Grande Mela per fare un casting alla ricerca di un’attrice per la sua nuova pièce teatrale a Broadway e, anche questa volta, non esita a contattare la maîtresse, che gli manda in albergo una giovane squillo. Si tratta di Izzy, una ragazza di umili origini e aspirante attrice che arrotonda facendo la prostituta per ricchi clienti.
Arnold, presentandosi con un falso nome e ben lungi dal rivelarle che è un regista, dopo una notte passata con la ragazza, le offre trentamila dollari se in cambio smetterà di fare la prostituta e si dedicherà seriamente a diventare un’attrice. Izzy accetta i soldi e mantiene la promessa, mentre le loro strade si dividono.
Il destino li farà presto ritrovare in teatro durante le audizioni: Izzy ottiene un provino proprio per la nuova pièce di Arnold, nella quale recitano anche sua moglie Delta e Ryhs Ifans, con cui Delta ha avuto una relazione extra coniugale anni addietro e il quale ha colto sul fatto Arnold e Izzy in hotel. Nonostante la riluttanza di Arnold, Izzy ottiene la parte. La situazione si complica ulteriormente quando lo sceneggiatore dell’opera, fidanzato con Jane, si innamora di Izzy. Jane è una terapeuta nevrotica e svitata e tra i pazienti che ha in cura c’è anche il giudice Pendergast, cliente abituale dell’agenzia di squillo e così ossessionato da Izzy da assumere un improbabile investigatore privato per seguirla.
Mentre il film si sviluppa e le vicende si evolvono, cresce anche l’intreccio di relazioni e segreti che legano con un invisibile fil rouge tutti i personaggi, destinati a incontrarsi in un incontro / scontro in cui la miccia innescata dai tradimenti farà esplodere la bomba.
Il film, di primo impatto, può sembrare banale e scontato perché sfrutta canoni narrativi visti e rivisti nelle commedie degli equivoci. Tuttavia, i rimandi meta-cinematografici in esso presenti sono numerosi. Innanzitutto, il richiamo all’arte come vita e alla vita come arte: arte e vita si incontrano e si mescolano, confondendosi (ad esempio, Izzy che fa un provino per il ruolo di prostituta nella pièce di Arnold), rimescolando le carte in tavola e rinegoziando le relazioni sentimentali. Questo aspetto, unitamente alla colonna sonora dal sapore jazz, richiamano molto i film di Woody Allen.
Altro rimando alla storia del cinema è la frase con cui Arnold conquista le ragazze e fa colpo sulle squillo: una frase divertente che definisce la felicità con una metafora a proposito di scoiattoli e nocciole, che in realtà è presa dal fil Fra le sue braccia (1946) di Lubitsch.
Un altro aspetto ricco di rimandi al meta-cinema presente nel film di Bogdanovich è l’incontro tra Broadway e Hollywood. Da sempre, nell’immaginario collettivo e nella storia, Broadway rappresenta il teatro, focalizzato sulla recitazione mimica e la performance “dal vivo”, mentre Hollywood è simbolo del cinema e della recitazione del divo sul “grande schermo”. Notoriamente, la crisi e il declino di Broadway e del teatro nei primi decenni del Novecento furono causati dell’ascesa del cinema e dello star system di Hollywood, ponendo così le due realtà sul piano dell’antagonismo. Ebbene, in Tutto può accadere a Broadway si assiste alla contaminazione di cinema, che è il veicolo dell’opera di Bogdanovich, e teatro, che è il set del film e nel quale star hollywoodiane (come Owen Wilson e Jennifer Aniston) recitano. Un incrocio di rimandi tra cinema e teatro che si snodano lungo tutto il film, richiamando a tratti la messa in scena teatrale e cinematografica di Birdman del regista Iñárritu (del quale trovate la recensione qui).
Insomma, il film Tutto può accadere a Broadway è sicuramente una commedia divertente e ben riuscita che, ad attenta analisi, risulta molto più di quanto appare.