sabato 28 novembre 2015

Dal libro Aria sottile di Krakauer al film Everest, storia di una tragedia annunciata



E’ ufficiale: la montagna e le scalate in quota sono ormai la moda del momento nel settore dello sport. Sugli scaffali delle librerie ci sono numerosi libri scritti da alpinisti-giornalisti e nelle sale cinematografiche il fenomeno inizia a diffondersi grazie il film Everest (2015), ambientato appunto sulla vetta più alta del mondo. E poi ci si mette pure la tv, con il reality ambientato sul Monte Bianco,
Scrivo da amante delle tranquille camminate domenicali in montagna. Il mio primissimo esordio su una montagna anni fa fu letteralmente «Io non sono fatta per la montagna», frase sospirata per tutta la durata del tragitto. Eh sì, perché la montagna richiede sicuramente passione e amore per la natura, ma anche preparazione fisica, determinazione e forza di volontà. Sulla montagna, insomma, non ci si può improvvisare. E pensare che ci sono persone – trattasi di turisti e non di professionisti – disposte a pagare migliaia di dollari per scalare le montagne più impervie del mondo, con tanto di società che, a suon di denaro contante, organizzano le ascese in gruppo, mettendo a disposizione guide alpine e tutta l’attrezzatura necessaria all’impresa.
È quello che è successo sull’Everest, nel maggio del 1996, la cui scalata da parte di alcuni gruppi di spedizioni commerciali è finita in tragedia. Gli avvenimenti sono stati raccontati dal giornalista e alpinista Jon Krakauer (già autore della biografia Into the Wild – Nelle terre selvagge, da cui Sean Penn ha tratto l’omonimo film) nel saggio-reportage Aria sottile (1997), dal quale è stato tratto il film Everest di Baltasar Kormákur.
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