venerdì 23 dicembre 2016

LABBRA ROSSO FUOCO (racconto inedito)



Ecco di seguito il secondo racconto che ho scritto in occasione del Make With Christmas Love Market e interpretato dal bravissimo Enrico Viscardi.
Buona lettura!
 
Ho freddo. Sono ore che me ne sto seduto qui, cercando inutilmente di scaldarmi seduto sulle grate di aria calda.

Le dita che sbucano dai guanti rattoppati stanno diventando blu. O forse viola. O forse di qualche altro colore. “Sei un bambino speciale”, mi diceva sin da piccolo mia madre, quando si degnava di chiedermi come stavo, chiamandomi da chissà quale località esclusiva, mentre la balia reggeva la cornetta del telefono e mi puliva il moccio dal naso. Ma io, in lacrime, non capivo perché i miei compagni ridessero di me e non mi sentivo affatto speciale. Piuttosto, mi sentivo scemo.

Chiamiamo le cose con il loro nome. Dire rosso anziché verde o verde anziché marrone ed essere preso per un idiota, questo non è essere speciali, questo è essere daltonici! E qualcuno, a sei anni, forse avrebbe dovuto spiegarmelo!

Adesso che sono cresciuto, cerco di scacciare via dalla mente quelle labbra rosso fuoco, contratte a culo di gallina, che mi dicono cosa devo e cosa non devo fare.

Mia madre, un incubo ricorrente. Papà, quasi un santo. Quasi, perché se sposi una donna-trofeo da esibire al golf club, poi non ti puoi lamentare se non fa che pensare a se stessa. Lei e la sua lotta contro il tempo che le affloscia le guance.

Le gambe iniziano a formicolare. Cerco di allungarle ma subito me ne pento perché sento ancora più freddo. Però, se le lascio incrociate anche solo per un minuto di più, rimarrò bloccato qui a terra sul marciapiede.

Me ne devo andare prima che la via si svuoti. Sono arrivati alcuni tizi con facce poco raccomandabili. Iniziano a tirar fuori stracci e giornali dai grandi sacchetti di plastica che si trascinano appresso. Hanno tutta l'aria di voler passare la notte qui, nella Galleria del Centro.

I miei occhi si sono ormai abituati alle luminarie. Luci verdi (o blu?), rosse (o forse arancioni?), oro e argento, illuminano il cielo scuro. La città luccica come il Paese dei Balocchi.

Lo scalpicciare della gente nelle pozzanghere di neve sciolta diventa sempre più frenetico. Sciami di stivali, scarpe da ginnastica, mocassini, zampe di cani al guinzaglio per la passeggiata serale. Una sfilata incessante mi passa sotto il naso. Non c'è persona, stasera, che non avvinghi tra le mani almeno un pacchetto: chi regali piccoli, chi enormi sacchetti griffati, non importa. Quello che conta è fare felici i parenti, dalla nipote alla nonna, fino alla prozia di cui non te ne frega niente ma che incontri una volta l'anno al cenone della Vigilia.

La gente si esalta davanti alle vetrine che trasudano Natale. I bambini strattonano i genitori, stremati dalle compere, implorandoli di comprare tutto quello che luccica e si muove al di là del vetro.

Sono stordito. Grida, confusione, risate, ragazzini che corrono, neonati che piangono, adulti al volante che si insultano e calcano la mano sul clacson. Un paradiso, in confronto a quello che devo sorbirmi ogni giorno a casa. Quelle labbra rosse che, quando non sono in una clinica per un ritocchino, sputano ordini senza sosta. Bla bla bla bla... ormai non la sto nemmeno più a sentire.

Ho freddo, molto freddo.

Darei qualsiasi cosa per una cioccolata calda, ma non ho un soldo.

Accidenti a loro, che questa mattina sono rincasati prima del previsto. I miei non sono mai arrivati puntuali alle recite scolastiche e alle mie partite. E, invece, proprio quando mi stavo rilassando in camera mia per affrontare il cenone serale, all'improvviso mi ritrovo quelle labbra rosse contratte in una smorfia di disgusto che mi sorprendono mentre mi fumo una canna steso sul letto.

Bla, bla, ma sei impazzito?? Una canna? Bla bla bla, un figlio drogato! Cosa penseranno i miei amici, bla bla bla...” sbraitavano le rosse labbra, che si contorcevano sputando insulti misti a preoccupazione non tanto per 'il figlio drogato' ma per cosa ne potessero pensare gli altri. Apparenza, nient'altro che apparenza, il mondo di mia madre. Non l'avrei sopportata un secondo di più.

Così, eccomi qua, al freddo e senza la minima idea di dove passare la notte.

Pensare a quelle labbra pompate rosso fuoco, che starnazzano ordini ai domestici per ritrovare il sottoscritto, finito chissà dove, proprio la sera del cenone, questo sì, che mi riscalda.


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