mercoledì 3 gennaio 2018

MA GLI ANDROIDI SOGNANO PECORE ELETTRICHE?

 
di Philip K. Dick
1968
 
Da qualche tempo a questa parte mi sono addentrata in punta di piedi nel mondo della letteratura fantascientifica, grazie ad autori come Douglas Adams, Kurt Vonnegut e Herbert George Wells.
E poi sul mio percorso ho incontrato Philip K. Dick, che costituisce un punto di non ritorno e che mi ha risucchiata nel tunnel della fantascienza: una volta che ci entri è impossibile uscirne.
Questo perché la fantascienza permette agli scrittori di rendere possibile l'inverosimile e immaginare mondi in cui le persone, le cose e i fatti non hanno limiti. Ed è così che, mentre te ne stai seduto sui messi pubblici, in una fredda mattina, a leggerti Philip K. Dick, la tua mente prende una direzione opposta a quella verso cui stai andando: fisicamente sei diretto al lavoro, mentalmente sei in viaggio per Marte o chissà quale altro Mondo.
Philip K. Dick esercita un forte fascino sugli amanti del genere, nonostante i suoi mondi siano contornati da un'aurea nichilista e tetra e l'essere umano sia destinato alla distruzione di se stesso. La profondità dei temi che l'autore affronta getta le basi per una riflessione che va oltre la letteratura e sconfina nella filosofia. La sua intera opera è infatti intrisa di misticismo, esistenzialismo e pessimismo. Emerge in lui l'esigenza di comprendere e descrivere la storia dell'umanità, caratterizzata dalla lotta per il potere, dalle guerre e dal controllo sociale tramite la religione e l'autoritarismo.
Se in Dick non traspare nemmeno un barlume di positività è certamente dovuto alla vita turbolenta che ha vissuto: dall'infanzia caratterizza dalla morte prematura della gemella, dal divorzio dei genitori e dalla depressione della madre, all'età adulta caratterizza da cinque matrimoni e dall'uso medico di anfetamina – per curare la depressione dovuta alla schizofrenia – di cui è diventato dipendente. Pare che se ne servisse anche per scrivere a ritmi disumani. Il risultato sono infatti oltre quaranta romanzi e cento racconti, scritti fino al 1982, l'anno della sua morte e dell'uscita del film Blade Runner di Ridley Scott tratto dal suo romanzo Ma gli androidi sognano pecore elettriche?
Purtroppo per Dick, morirà prima di potersi godere la fama internazionale raggiunta grazie al film, divenuto nel frattempo un cult della fantascienza cinematografica. L'autore ebbe giusto il tempo di visionare alcune delle scene del film in fase di montaggio, apprezzandone il lavoro.
Il romanzo Ma gli androidi sognano pecore elettriche? affronta grandi temi quali le conseguenze che odio e guerra portano all'umanità (condannandola a vivere in un tetro mondo in cui piove polvere corroborante), le droghe e le allucinazioni, la religione come forma di controllo e la mancanza di relativismo, l'autorità e il controllo delle menti, l'apatia e la mancanza di emozioni (tanto che i protagonisti si servono di una macchina umorale, la Panfield, per generare e comandare i sentimenti) e, infine, il rapporto uomo / androide.
Siamo nel 1992, in una San Francisco desolata e quasi disabitata, come ormai tutta la Terra, a causa di una guerra atomica che ha spinto gli uomini a partire per le colonie extra-mondo. Solo pochi sono rimasti. Tra di loro c'è il cacciatore di taglie Rick Deckard, che vive in città insieme alla moglie Iran e alla loro pecora elettrica. Gli animali veri sono diventati una rarità e i pochi esemplari rimasti sono un bene di lusso che quasi nessuno può permettersi di acquistare.
Il lavoro di Deckard consiste nell'eliminare – in gergo “ritirare” – gli androidi (ovvero, macchine con fattezze umane) che si ribellano o che non hanno più alcuna utilità. Gli viene affidato il compito di ritirare sei replicanti di ultima generazione, modello Nexus 6, particolarmente pericolosi e fuggiti da una colonia extra-mondo.
Deckard accetta il difficile incarico, attirato dalla generosa ricompensa, con la quale vuole acquistare una pecora vera. Non sa ancora che questo incarico cambierà per sempre la sua concezione degli androidi e del lavoro che svolge.
La storia si sviluppa seguendo i canoni del romanzo poliziesco noir, insinuando nel lettore molti dubbi sull'innocenza dei personaggi, Deckard in primis. Durante la sua missione, l'uomo conoscerà alcuni androidi che lo spingeranno a dubitare di se stesso e della sua vita: l'affascinante Rachael, nella quale sono stati impiantati ricordi umani per renderla inconsapevole di essere una macchina, e il cacciatore di taglie Phil Resch, che gli mostrerà una visione diversa del mondo androide.
Uno dopo l'altro, Deckard riuscirà a ritirare tutti gli androidi, arrivando alla scontro finale (che, personalmente, mi aspettavo più epico, date le premesse) con quello più pericoloso.
Nonostante l'impronta noir, Ma gli androidi sognano pecore elettriche? resta a tutti gli effetti un romanzo di fantascienza che indaga a fondo il tema uomo versus macchina: così fragile e incapace di sfruttare le sue potenzialità il primo, tanto forte ma – fortunatamente – limitata la seconda.
È così che l'uomo riversa le sue conoscenze nella costruzione di una macchina destinata a volerlo distruggere per superarlo e prenderne il posto. Ciò che può salvare l'uomo non sono il potere o l'esercito, ma qualcosa che gli androidi non possono avere: i sentimenti e, nello specifico, l'empatia, ovvero la capacità di capire lo stato d'animo altrui.
E, tuttavia, pare che l'uomo, non l'abbia ancora capito e si ostini a volgere verso l'autodistruzione, in una lotta al potere in cui il più forte vince sul più debole. Proprio per questo, i romanzi di Philip K. Dick, scritti nel passato e rappresentati il futuro, sono in realtà molto attuali.

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