mercoledì 29 maggio 2019

IL RICHIAMO DELLA FORESTA



di Jack London
1903

Sono sempre più convinta che frequentare un gruppo di lettura sia estremamente stimolante.
È vero, comodini e scaffali di casa sono già invasi da cataste di libri in attesa di essere letti, ma una volta al mese è anche interessante uscire dai propri schemi e preferenze di genere, per dedicarsi a quei piccoli ma grandi tesori che la letteratura – soprattutto del passato – ci ha regalato e che magari ancora non abbiamo scoperto.
E così, puoi scoprire che un romanzo tanto noto, quanto personalmente ignorato, è bellissimo e ti maledici un po' per non averlo letto prima.
Sto parlando de Il richiamo della foresta di Jack London.
Il romanzo narra delle vicende e della sorprendente trasformazione di Buck, giovane esemplare di incrocio tra San Bernardo e Pastore Scozzese, che assomiglia a un gigantesco lupo. Buck vive nell'assolata California, nella fattoria del giudice Miller. Tra tutti i cani che vi abitano, Buck è il preferito e si muove indisturbato in ogni angolo della magione, scorrazzando libero, ma consapevole di avere un rifugio, coccole e un pasto caldo che lo aspettano ogni giorno.
Siamo nel 1897 e impazza la corsa all'oro nel Klondike, una remota e inospitale regione del Canada Nord Occidentale in cui gente da ogni parte del mondo si riversa per conquistarsi l'agognato metallo prezioso. Indispensabile per ogni cercatore d'oro è avere una muta di cani da slitta, unico mezzo all'epoca disponibile per percorrere le distese di ghiacciai.
Il giardiniere del giudice Miller rapisce Buck e lo vende a un trafficante di cani che, a sua volta, lo rivende a un temibile addestratore, ribattezzato “l'uomo dal maglione rosso”. Buck è costretto a subire ogni tipo di maltrattamento e violenza, ma la sua tempra gli permette di resistere alle angherie e di mostrare tutta la sua forza.
Non solo il rapporto con gli umani è terribile. Non vi è pace nemmeno tra il gruppo di cani da slitta cui Buck entra a far parte durante l'addestramento: il più forte sopravvive, il più debole muore. Il duro addestramento deve preparare la muta a resistere alle condizioni di vita più estreme.
Buck riesce ad affermarsi nel branco e a diventare il cane in testa alla slitta, un posto riservato solo al più forte.
Dopo essere passato per diversi padroni in cerca di oro, Buck passa a John Thornton, anch'egli in cerca di fortuna ma, diversamente da tutti gli uomini incontrati fino a ora, con un lato umano. Tra il cane e Thornton si instaura da subito un legame fortissimo di lealtà e affetto, tanto che Buck salverà la vita al padrone in diverse occasioni, dimostrandosi fedele e pronto a sacrificarsi.
In viaggio verso una miniera d'oro abbandonata, Buck sembra avere finalmente trovato il giusto equilibrio: una vita all'aria aperta, a contatto con la natura, ma al fianco di un padrone che lo ama e dal quale far sempre ritorno a fine giornata.
In realtà, qualcosa si muove in Buck: l'attuale condizione non è un punto di arrivo, ma uno snodo verso un'ulteriore evoluzione. Buck, a contatto con la foresta che ogni giorno esplora sempre più a fondo, inizia a sentire un richiamo, dapprima lontano e indistinto, che si fa velocemente più chiaro e nitido.
Il cane capisce che è inevitabilmente attratto dagli spazi più reconditi e oscuri della macchia verde, nella quale si spinge sempre più a fondo, allontanandosi per giorni interi dall'accampamento di Thornton. Qui, l'istinto primordiale di Buck si amplifica fino all'apice con l'uccisione di un gigantesco alce.
Di ritorno all'accampamento, Buck scopre che il padrone è stato brutalmente ucciso dai nativi americani. Ecco il punto di rottura con qualsiasi legame con l'uomo: accecato dalla sete di vendetta, Buck stanerà gli assassini di Thornton e scaglierà contro di loro tutta la sua furia omicida, fuggendo poi nella foresta.
Inizia così la leggenda del temibile lupo che domina la vallata, imbattibile e libero.
Appena terminata la lettura, ho provato dispiacere per il destino di Buck, privato dell'amore di Thornton e di una vita in perfetto equilibrio, tra natura e addomesticamento. Poi però, dopo averne ampiamente discusso con il gruppo di lettura, ci ho ripensato: il finale è quello giusto per il protagonista. L'istinto primordiale stimolato dalla foresta va assecondato, poiché risiede nella natura stessa di Buck e non deve essere represso.
Tolto dal suo contesto nativo di agio e comodità dal giudice Miller e trovatosi nella natura più selvaggia ed estrema, Buck si è abilmente – e non senza difficoltà – adattato alle circostanze, dimostrando il suo valore, consapevole che non si può tornare indietro e riavere la vita di prima alla fattoria. E di questo, deve esserne consapevole, seppure a malincuore, anche il lettore.

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