domenica 5 maggio 2019

MORTO CHE CAMMINA



di Irvine Welsh
2018

Uno dei miei romanzi preferiti in assoluto è Trainspotting (1993), che considero la mia personale pietra miliare che ha infuso in me l'amore per la lettura (trovate qui la recensione).
Negli anni Welsh ha scritto diversi libri in cui, in modo più o meno diretto, ha sviluppato le avventure e disavventure dei quattro ragazzi scozzesi (Mark Renton, Sick Boy, Frank Begbie e Spud) protagonisti di Trainspotting.
Eppure, nessuno di questi sequel mi ha colpita come Morto che cammina, in cui troviamo il quartetto, ormai cresciuto, che supera i cinquant'anni all'anagrafe (ma non nella testa). Qui si ritrovano nella loro purezza originaria i protagonisti, ai quali l'autore dà voce a capitoli alterni, così da entrare in sintonia con i loro pensieri.
Lo stile di Welsh non conosce rivali: pungente, ironico, spassoso, a tratti commovente e nostalgico. Potrei continuare all'infinito per descrivere il romanzo che, a mio avviso, è il degno sequel di Trainspotting.
Tutto ciò si trova concentrato in quella che è per me la scena epica del romanzo: il pallido Spud è sdraiato su un tavolo operatorio improvvisato in un capannone fatiscente e abbandonato di Berlino e Sick Boy sta guardando un video di You Tube su come eseguire un intervento chirurgico, mentre Renton gli viene in soccorso portandogli una batteria per tenere acceso il computer mezzo scarico.
Cosa ci fanno i tre vecchi soci in questa situazione paradossale e, a tratti, demenziale?
Alla fine di Trainspotting, avevamo lasciato i quattro tossici di Leith divisi e inimicati da un affare di soldi, con Renton in fuga col bottino da un furioso Begbie.
Ebbene, dopo molti anni, su un volo di lusso intercontinentale un indaffarato Renton incontrerà un abbronzatissimo e rilassato Begbie. Sembrano lontanissimi i tempi in cui il primo provava qualsiasi tipo di droga nei posti più fatiscenti di Edimburgo e il secondo accoltellava chiunque osasse guardarlo negli occhi.
Renton è diventato proprietario di un'agenzia di dj di fama internazionale e si divide tra l'Olanda e l'America, affrontando il jet lag e i capricci dei suoi clienti a colpi di sniffate.
L'unico veramente maturato pare essere Begbie che, da rissoso psicopatico, si è trasformato in acclamato e straricco artista, ammogliato a una super bionda californiana, con la quale si è stabilito nell'assolata Californiana, con tanto di prole. Welsh ha già avuto modo di approfondire l'incredibile trasformazione di Frank – che ora si fa chiamare Jim Francis – dedicandogli il romanzo L'artista del coltello (2016).
Nel frattempo, in quel di Edimburgo, ritroviamo l'incorreggibile Sick Boy, tornato in città per le feste natalizie. Il cinico Simon Williamson non se la passa male: come sempre amante del gentil sesso, è ora proprietario di un'agenzia di escort e vive a Londra, dove frequenta i posti più esclusivi. Gli basterà tornare a casa dalla famiglia per creare scompiglio e rovinare in un attimo il matrimonio di sua sorella.
Lo scherzo che gioca al cognato innescherà una serie di conseguenze che coinvolgeranno i tipi più loschi di Leith e porteranno il povero Spud – ormai ridottosi a tossico mendicante – con le budella al vento in quel di Berlino.
Nonostante i quattro conducano ormai vite completamente diverse e a chilometri di distanza, la cara vecchia Edimburgo li attira a sé e li risucchia, restituendoli trasformati e con il vecchio incomprensibile accento. Insomma, il marchio dei bassifondi di Leith è indelebile.
Leggendo il romanzo ci si chiede se sia veramente tutto come sembra, e non si può essere esenti dal fare continui paragoni tra i protagonisti così come sono adesso e come ce li ricordavamo in Trainspotting. Bisogna arrivare alla fine di Morto che cammina per capire quale dei quattro storici amici-nemici è davvero cambiato e chi, invece, è rimasto lo stesso.
Il romanzo è ricco di colpi di scena e gli intrecci delle vicende sono ben congeniati. La storia è un concentrato di emozioni: a tratti fa ridere, mentre altrove fa provare nostalgia dei vecchi tempi, oppure fa arrabbiare per gli stessi errori in cui i protagonisti ricascano come ai tempi di Trainspotting.
Il finale aperto mi lascia sperare che un giorno Irvine Welsh possa scrivere ancora dei quattro ragazzacci di Leith. Incrocio le dita!



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