martedì 11 maggio 2021

NOMADLAND

 


Chloé Zhao
USA 2020

Il mio ritorno in sala cinematografica dopo il lock down non poteva che essere inaugurato nel migliore dei modi: Nomadland racchiude tutto quello che mi piace in un film, a cominciare dalla straordinaria interpretazione dell'attrice protagonista, Frances McDormand, fino ai paesaggi solitari dell'America di oggi.
I film sono la mia passione e andare al cinema a vederli è per me un'esperienza totalizzante, un vero e proprio momento irrinunciabile per godere appieno del lavoro di un regista. Quando poi, condividi questo piccolo piacere della vita con la persona amata, andare al cinema diventa quasi un rituale: le luci si abbassano, ci si augura a vicenda una buona visione, magari sgranocchiando M&M, e si conservano i biglietti dei film preferiti per usarli come segnalibri.
Il film non ha una trama vera e propria: seguiamo semplicemente la protagonista, Fern (Frances McDormand) per un anno della sua vita itinerante, che inizia nel periodo delle festività natalizie con un lavoro stagionale presso la sede centrale di Amazon. La donna, come preferisce lei stessa definirsi, è una “senzacasa” (non una “senzatetto”, precisa) che vive in un furgoncino convertito ad abitazione, spostandosi di luogo in luogo, in base ai lavori stagionali che riesce a trovare in giro per gli Stati Uniti.
Fern è da poco vedova e proviene da una piccola comunità del Nevada, Empire, dove la gente è rimasta senza lavoro per la crisi economica del 2008. Dicembre porta con sé un picco di ordini on line, per cui Fern, come tante altre persone disoccupate e senza una casa, trova impiego temporaneo alla multinazionale americana, e alloggia nel suo furgone nelle piazzole di sosta messe a disposizione dall'azienda per i suoi dipendenti che non possono permettersi un'abitazione. Freddo, solitudine e scomodità si percepiscono con maggiore eco immersi nel contesto asettico e piegato alla produzione senza sosta del colosso delle vendite on line. Non servono parole o dialoghi, di cui il film in generale è scarno, per criticare il sistema di disuguaglianza in cui viviamo: a parlare sono le immagine e la condizione dell'esistenza del popolo di invisibili e silenziosi.
La donna, terminato il contratto con Amazon, vaga in cerca di altri impieghi, e viene a conoscenza del raduno di nomadi a La Paz County, nel deserto dell'Arizona. Questo singolare insediamento in mezzo al nulla è organizzato da Bob Wells (figura che esiste veramente nella realtà), uno stravagante guru della vita minimalista e nomade.
Qui Fern, seppure solitaria e indipendente, viene in contatto con gente simile a lei. Conosce persone che abbracciano la vita nomade per scelta e chi, nella maggior parte dei casi, per necessità.
A poco a poco si apre anche con Swankie, un'anziana donna che le insegna i trucchi per sopravvivere nella natura arida del deserto, senza comodità, e come organizzarsi al meglio per prevenire ogni sorta di imprevisto.
Fern è forte e temprata come i tanti cactus che la circondano nel deserto: sopravvive alle condizioni più estreme e disperate, anche quando, terminato il raduno, si rimette in viaggio alla ricerca di nuovi impieghi temporanei.
In questo lungo anno di spostamenti, dal Nebraska al Sud Dakota, Fern avrà anche modo di tornare, seppur per pochissimo, a contatto con la vita “normale” di chi ha un tetto sulla testa: prima in California, dalla sorella, alla quale chiederà un prestito per riparare un guasto al van, e successivamente dalla famiglia di Dave, un uomo nomade conosciuto lavorando in una tavola calda e che ha deciso di fermarsi in pianta stabile dal figlio. Fern, tuttavia, non si farà lusingare dalle comodità offerte dai suoi cari e non abbandona il suo van.
Fern è irrequieta, a tratti malinconica, eppure è tenace e propositiva di fronte a quello che la vita le riserva.
Il ciclo si chiude, inclemente, con il ritorno al lavoro stagionale da Amazon, pronta a lucrare sulle richieste natalizie degli utenti di tutto il mondo.
Nomadland ha vinto innumerevoli premi – un Leone D'Oro, due Golden Globe e tre Oscar – ed è certamente un film che consiglio, seppure non sia per niente di facile visione: introspettivo, silenzioso e meditativo, il film richiede un approccio empatico che predisponga il nostro animo a cogliere la bellezza di un fiore colto nel deserto.

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