martedì 3 marzo 2015

IL MIO VICINO TOTORO




di Hayao Miyazaki
Giappone, 1988


Stupisce sempre la sensibilità con cui Miyazaki tratta temi molto delicati. Il grande registra, maestro indiscusso dell’animazione giapponese, con Il mio vicino Totoro, ci porta in un mondo incantato per trattare temi quali l’infanzia, lo spauracchio della morte e le piccole ma grandi sfide che i bambini devono affrontare per crescere.
La piccola Mei, insieme alla “sorellona” Satsuki e al padre, si trasferisce in una grande casa di campagna a Tokorozawa, alla periferia di Tokio, per stare vicina alla madre ricoverata nell’ospedale del posto. Sin dal primo momento, allo spettatore appare chiaro che deve abbandonare il suo sguardo di adulto se vuole lasciarsi trasportare nel mondo fantastico di Mei. Il primo indizio è costituito dai “nerini del buio”, spiritelli della fuliggine che vivono nella casa che le sorelline e il padre stanno ripulendo prima di stabilirvisi: essi possono essere visti solamente dai bambini e non dagli adulti.
Il secondo indizio è costituito da un buffo troll bianco in fuga, che somiglia ad un coniglietto, che semina ghiande nel bosco retrostante la casa e che solo Mei riesce a vedere. Il richiamo a fiabe quali Alice nel paese delle meraviglie e Pollicino è evidente; e infatti la piccola Mei, proprio come Alice, si lancia all’inseguimento di questa sorta di Bianconiglio, sino a smarrirsi nel bosco. Ma, si sa, i bambini non si lasciano intimorire da niente, grazie al loro spirito di curiosità; e Mei, infatti, è entusiasta della scoperta dello strano essere gigantesco, a metà tra un orso e un procione, che sonnecchia beatamente nel bosco. Si tratta di un gigantesco e peloso troll, il tororu, che Mei ribattezza, storpiandone il nome, Totoro. La bambina, eccitata dalla scoperta di questo magico animale, ne parla con il papà e la sorella e cerca di condurli all’albero di canfora sotto cui ha trovato Totoro, senza però trovarlo. La creatura, spiega il padre alla figlia delusa, non sempre si fa trovare e vedere quando lo si cerca.
Totoro, ben presto, apparirà alle sorelle in una sera piovosa, alla fermata dell’autobus dove le due aspettano il ritorno del padre dal lavoro. Il buffo animale non aspetta però un autobus comune, bensì il Gattobus, un veicolo volante a forma di gatto – con un sorriso sornione che evoca lo Stregatto di Alice nel paese delle meraviglie – che porta via Totoro nel cielo stellato. Il troll, prima di innalzarsi in cielo, offre a Satsuki dei semi da piantare in giardino per ringraziarla dell’ombrello offertogli per ripararsi dall’acqua. Totoro tornerà da loro una notte per portarle con lui in cielo per una gita notturna e per far magicamente spuntare i germogli dalla terra; Totoro è infatti lo spirito della natura e della fertilità, oltre che il protettore del bosco.
La vicenda assume improvvisamente toni drammatici quando la piccola Mei, arrabbiata alla notizia che la madre non sarà dimessa dall’ospedale come previsto, scappa da casa per andare da lei, ma si perde. Satsuki, accortasi della fuga di Mei, inizia le ricerche, ma invano. La ragazzina invoca allora, disperata, Totoro affinché la aiuti nelle ricerche. A bordo del Gattobus, il troll porterà Satsuki dalla sorella e la condurrà in salvo. Il padre e la madre rimarranno all’oscuro dell’intera vicenda, che si conclude con le due sorelle depositate da Totoro su un albero ad osservare da lontano i genitori nella stanza dell’ospedale, che discutono fiduciosi sulla guarigione della mamma.
Il mio vicino Totoro rappresenta una sorta di romanzo di formazione, genere letterario nel quale si narrano le vicende di giovani protagonisti che devono affrontare un percorso a ostacoli per raggiungere la maturità e diventare grandi. È quanto accade a Satsuki e Mei, le quali devono affrontare la paura di crescere, una paura caratterizzata dalla consapevolezza di avere una madre malata e lontana. Le sorelle convivono con la preoccupazione che la madre potrebbe non guarire o, peggio, morire da un momento all’altro. Questa è una realtà dei fatti che lo stesso Miyazaki ha vissuto da piccolo, avendo egli una madre malata di tubercolosi spinale e che ha passato nove anni in ospedale.
Satsuki, sorella maggiore che si prende cura di Mei e sbriga le faccende domestiche, è probabilmente consapevole della malattia della madre; forse il padre le ha parlato, spiegandole che la madre ha una grave malattia e che dovrà essere forte e dimostrarsi matura occupandosi della sorellina e della casa, senza potersi concedere i capricci dei bambini della sua età. Mei invece prende consapevolezza della gravità della malattia della madre all’improvviso, quando meno se lo aspetta, quando cioè la madre dovrebbe essere dimessa dall’ospedale ma, a seguito di una ricaduta, è ancora costretta a letto.
Ed è proprio a questo scopo che serve la comparsa di Totoro nella vita della piccola: in quanto spirito della crescita, la presenza del troll indica un momento di passaggio nell’esistenza di Mei: si trova ora costretta a maturare, nella piena consapevolezza che anche un genitore, figura forte e di riferimento per ogni figlio, può diventare d’un tratto debole e bisognoso di cure e di conforto, in un’inversione di ruoli. E non c’è capriccio che tenga.

 

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